Presentazione
li unici testimoni oculari della battaglia del
Little Bighorn erano indiani e solo da loro ci sono arrivate
informazioni attendibili su quanto accadde quel giorno, in quelle
poche ore di combattimento. Della formazione al comando di Custer
non scampò alcuno alla morte. I soldati di Benteen e Reno poterono
fornire solamente informazioni parziali e, talvolta, inesatte.
Per
questo sul Little Bighorn non si è mai fatta completa chiarezza e,
a tutt'oggi, quella rimane una pagina sulla quale si discute
animatamente e sulla quale vanno avanti le ricerche degli studiosi.
Eppure, negli ultimi anni abbiamo assistito impotenti alla
rivisitazione dei fatti basata su fonti dell'uomo bianco
assolutamente minori e insignificanti dal punto di vista storico.
Le
descrizioni rese disponibili nel tempo dai pellerossa hanno aiutato
molto a descrivere con sufficiente precisione lo scorrere degli
eventi.
Anzitutto, tra le sorprese, vi è che non c'era un unico
campo indiano, ma più campi circolari appartenenti alle varie tribù
che si erano unite per fronteggiare l'uomo bianco. Hunkpapa,
Minneconjou e Oglala avevano organizzato i campi più grandi, ma ve
ne erano di più piccoli dei Brulè, dei Sans Arc e dei Blackfeet
Lakota. Vi era anche un accampamento di Cheyenne e gruppi di tende
appartenenti agli Arapaho e ai Santee Sioux. Questo villaggio fu, in
realtà, ben più piccolo di quanto sia stato sempre descritto.
Tutto questo lo si evince anche da un attento studio dei luoghi e,
in special modo, dell'andamento del fiume. Forse i guerrieri che vi
erano ospitati non superavano i 1200. Inoltre, non vi fu alcuna
imboscata organizzata ai danni di Custer e dei suoi soldati.
Il
campo fu preso di sorpresa dall'attacco di Reno. Tutte queste
"nuove" scoperte portano ad una conclusione ovvia: Custer
non si comportò da pazzo vanaglorioso come fu descritto dopo la
disfatta; in verità era nelle sue capacità di sconfiggere il
campo. Dopo aver respinto Reno gli indiani si accorsero dell'arrivo
di Custer, tra loro e la parte bassa del villaggio (esposta a nord),
solo all'ultimo momento. Custer riuscì a sorprenderli ben due volte
quel giorno. Le testimonianze degli indiani, ben disposte, ci
confermano che Custer non riuscì ad attraversare il Little Bighorn
(Greasy Grass per gli indiani). Egli combattè sempre ad est del
fiume. Solo il battaglione del capitano George Yates riuscì ad
avvicinarsi al fiume, ma fece presto ritorno alle colline a est (la
Cresta di Nye-Cartwright) da dove provenivano. Sempre i resoconti
degli indiani ci dicono che Cavallo Pazzo non guidò 1000 guerrieri
lungo la valle e attraverso il fiume per manovrare attorno a Custer
e coglierlo di sorpresa, schiacciandolo, a nord. Lo stesso Gall che
i bianchi hanno accreditato di un seguito di circa 1000 Hunkpapa con
i quali bloccò l'avanzata di Custer verso il fiume, in realtà non
era seguito che da una manciata di fedelissimi. Mancò di poco la
battaglia contro Reno e i suoi uomini, arrivò in ritardo al
combattimento finale sulla Custer Hill e, in definitiva, partecipò
assai poco alle manovre degli indiani.
Le descrizioni fatte dai
pellerossa ci confermano, inoltre, che nessun indiano al campo
sapeva che stava combattendo contro un soldato bianco famoso come Custer. egualmente ci dicono che nessun indiano abbia saputo che
stava combattendo un soldato bianco famoso chiamato Custer. Tutto ci
dice che i soldati combatterono efficacemente per un periodo di
tempo piuttosto lungo e che la crisi iniziò per una concomitanza di
fattori quali la poderosa carica degli indiani, il panico che colse
individualmente una parte dei soldati stessi e, infine, il collasso
della funzione di coordinamento tra le truppe.
Quando si arrivò al
combattimento corpo a corpo gli indiani, guerrieri assai abili in
quel tipo di lotta, ebbero prontamente la meglio sui militi.
Altre
testimonianze e la "conta dei corpi" dei caduti portano a
concludere che sulla Calhoun Hill non vi fu alcuna strenua
resistenza, ma che questa vi fu solo sulla Custer Hill. In questo
caso la realtà e il mito coincidono. Probabilmente è giunto il
momento di abbandonare i ragionamenti sugli errori del VII
Cavalleria che portarono alla sua sconfitta e di spostare
l'attenzione sulla validità dei combattenti indiani, spinti
disperatamente dal desiderio di difendere le loro famiglie, i loro
figli, il loro modo di vivere che sentivano minacciati dall'uomo
bianco. Oggi che si respira un clima di revisionismo, forse siamo in grado di
ricostruire in maniera abbastanza precisa quanto accadde quel 25
giugno 1876.
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