in dai primi
anni del secolo diciassettesimo migliaia di europei, sull’esempio
dei Padri Pellegrini, cominciarono a sbarcare sul suolo americano. I
nuovi arrivati dovettero fare i conti con la nuova realtà e i primi
tempi furono molto duri. Parecchi morirono per gli stenti e le
privazioni, ma molti riuscirono a sopravvivere nutrendosi di
cacciagione e granoturco ottenuto dagli indiani.
Col tempo
questi pionieri tentarono di creare un modello di vita simile a
quello che avevano lasciato in Europa. Essi organizzarono una
struttura sociale che si concretizzò con la realizzazione delle
colonie. Ottenuta l’indipendenza dall’Inghilterra, il nuovo stato
americano nel 1803 acquisì da Napoleone Bonaparte per sessanta
milioni di franchi la Louisiana, un vasto territorio a ovest del
Mississippi.
Nel 1819 venne
comprata la Florida dalla Spagna e con la guerra del 1848 contro il
Messico, gli Stati Uniti divennero padroni di una immensa regione
comprendente i territori del New Mexico, dello Utah e della
California.
Già nel 1846 il
Texas era stato accettato nell’Unione, mentre all’estremo nord
l’Inghilterra aveva rinunciato al territorio dell’Oregon. Dalla
costa atlantica al pacifico, quelle terre inesplorate erano abitate
per lo più da trapper, da mountain men e naturalmente dalle
numerose tribù dei nativi.
C’era una
nazione da colonizzare e la migrazione dei pionieri, dapprima
timida, divenne col tempo una inondazione. Uomini come Jedediah
Smith, Jim Bridger o John C. Fremono aprirono le strade e i coloni
le percorsero fermandosi nei territori che oggi si chiamano Wyoming,
Colorado, California, Kansas, Arizona e cosi via.
La
promulgazione nel 1862 del "Homestead Act" da parte di Lincoln
garantiva a ciascun capofamiglia un pezzo di terra nei territori
dell’ovest al prezzo nominale di un dollaro e venticinque centesimi
l’acro, per cui intere carovane di pionieri si spinsero nel west in
territori ancora inesplorati. Quei pionieri, tra mille difficoltà,
fondarono città che oggi sono unite da moderne autostrade, ma solo
centocinquanta anni fa le stesse città, costituite soltanto da poche
case di legno, erano praticamente isolate o nella miglior delle
ipotesi collegate da piste difficilmente percorribili. Comunicare
era quindi difficile. Una lettera da Boston per San Francisco doveva
passare per nave lo stretto di Panama e questo valeva anche per le
persone.
I tempi di
percorrenza erano enormi e questo incideva pesantemente
sull’economia del paese.
Una economia
certamente limitata visto che i primi mezzi di trasporto erano
costituiti dai barconi e dai battelli a vapore che percorrevano il
Mississippi.
Il grande fiume
bagnava però le terre americane da nord a sud, ragion per cui le
modalità del trasporto su fiume delle merci, della posta e delle
persone poco servivano alla spinta migratoria verso ovest. Per di
più bisognava considerare le frequenti piene dei fiumi. Il Missouri
e il Mississippi poi, trasportavano centinaia di tronchi d’albero
che il pilota doveva evitare e che impedivano la navigazione
notturna. Gli stop frequenti dei battelli influivano notevolmente
sui costi del trasporto delle merci e della posta. Frequenti erano
anche le esplosioni di caldaie, gli incendi e le collisioni con la
conseguenza che il carico delle merci finiva in fondo al fiume.
Nel 1848 gli
Stati Uniti avevano ormai raggiunto le loro frontiere attuali e
negli anni che seguirono l’insediamento dell’uomo bianco si
consolidò su tutto il continente.
Gli abitanti
della California lanciavano appelli pressanti affinché si
apprestassero mezzi di comunicazione più efficienti. Il trasporto
delle merci su carri organizzato nel 1855 da William H. Russell,
Alexander Majors e Waddell, che da St. Joseph nel Missouri
raggiungeva San Francisco in California, era un ottimo sistema di
lavoro, ma ancora troppo lento per coprire le distanze di quei
territori troppo vasti.