Il libro mastro della resa
sistono alcuni requisiti fondamentali,
l’ottemperanza dei quali costituisce la base per la creazione di
quello che oggi viene chiamato, con un termine un po’ abusato, un
“mito”. Una vita avventurosa, una grande popolarità e una scomparsa
precoce, meglio se tragica o violenta, sono elementi pressoché
imprescindibili del processo di evoluzione da “personaggio”
(eventualmente storico) a “mito”.
Non si sottrae a questa regola la figura del grande capo Oglala
Cavallo Pazzo. Questi ha rappresentato, ancora in vita, un modello
per i giovani Lakota che ne ammirarono le gesta eroiche e il
coraggio in battaglia, eleggendolo a simbolo della resistenza del
popolo Sioux nei confronti dell’invasione dei bianchi.
Una
venerazione che si è mantenuta nel tempo e che tutt’oggi rappresenta
uno dei più marcati elementi di congiunzione tra le nuove
generazioni e i protagonisti di quel periodo storico. A mantenere
vivo il “mito” di Cavallo Pazzo contribuisce il fatto che,
nonostante gli sforzi degli storici e anche di qualche
mistificatore, scarseggino elementi oggettivi e tracce concrete
della sua vita. Una per tutte: il fatto che non esista una sua
rappresentazione fotografica di attestata autenticità.
La mancanza
di un immagine da affiancare idealmente al nome e alle imprese del
grande guerriero, aggiunge un alone di mistero che contribuisce ad
aumentare l’interesse e la discussione su questo personaggio.
Cavallo Pazzo non ha mai firmato trattati, né tantomeno ha mai
partecipato a viaggi nelle grandi città dell’est come i capi bianchi
desideravano per poter “esporre” il grande capo guerriero come
trofeo di guerra.
Non ci sono quindi molti riscontri oggettivi dei movimenti e delle
attività di Cavallo Pazzo, al di là delle interviste e dei resoconti
verbali lasciatici dalle persone che lo hanno conosciuto. Una di
queste rare eccezioni è costituita da un documento che potrebbe
essere definito “ il libro mastro della resa di Cavallo Pazzo”.
Si
tratta di un registro, attualmente in possesso della Nebraska State Historical Society, nel quale sono registrati, a partire dal 8
novembre 1876, tutti gli indiani che si stabilirono nell’Agenzia di
Nuvola Rossa nei pressi di Fort Robinson nell’attuale Nebraska.
Delle pagine del registro è stata fatta una copia fotostatica che è
stata inserita nel volume “ The Crazy Horse Surrender Ledger”
pubblicato qualche anno fa dalla stessa Nebraska State Historical
Society.
La registrazione è organizzata “ per lodge”, vale a dire per nucleo
famigliare, e prevede il nome del capo famiglia oltre al numero dei
componenti suddivisi per maschi, femmine e bambini.
Lo studio di questo documento e dei dati in esso contenuti fornisce
tutta una serie di elementi estremamente interessanti per meglio
comprendere i movimenti di una parte consistente degli indiani delle
pianure in un periodo di tempo ristretto, ma molto significativo.
L’Agenzia di Nuvola Rossa accoglieva nell’aprile del 1876 oltre
13.000 indiani, molti di essi però, nei mesi successivi lasciarono
l’agenzia per unirsi a nord con i cosiddetti “ostili” per formare
quello che fu considerato il più numeroso gruppo di indiani mai
riunitosi nella storia delle tribù delle pianure.
Quello stesso campo che fu poi inopinatamente attaccato il 25 giugno
sul Little Bighorn, da Custer, con l’esito che tutti conosciamo.
Una conta degli abitanti dell’agenzia fatta ad agosto dello stesso
anno indica in meno di 5.000 gli indiani rimasti. Come conseguenza
della disfatta di Custer e nel tentativo di porre fine all’esodo di
indiani dalle agenzie del nord Nebraska, fino ad allora gestite da
civili, arrivò l’ordine del comandante generale Sheridan che
affidava all’esercito il controllo delle suddette agenzie.
Il cambiamento della gestione portò ad un giro
di vite nel trattamento degli indiani che subirono restrizioni nelle
loro abitudini di vita aggravate dall’esaurimento delle scorte
alimentari e conseguente riduzione delle distribuzione delle
razioni.
Paradossalmente furono proprio gli indiani
rimasti “fedeli” al governo a subire le conseguenze delle sconfitte
dell’esercito ad opera degli ostili. |