L'esodo verso occidente
orse tutti i grandi condottieri
dalla pelle rossa avevano vagheggiato, in maniera più o meno
convinta, di riunire in un’unica confederazione un gran numero di
tribù indiane del Nord America.
Lo avevano
certamente pensato Powhatan e Opechancanough, Metacomet, Pontiac e
Piccola Tartaruga, ma nessuno di essi era andato oltre il tentativo
di porre soltanto le basi di una simile alleanza. Inimicizie
ataviche, rivalità interne e incapacità di rendersi conto della
reale minaccia portata dagli Europei, avevano sempre impedito di
concretizzare questa unione, che di solito si era sfaldata di fronte
alle prime difficoltà.
Intanto il
numero delle persone dalla pelle bianca era in continua crescita,
mentre quello dei Pellirosse, già abbastanza esiguo quando il
capitano John Smith aveva posto la prima base britannica in
Virginia, calava inesorabilmente.
Dopo il ritiro
di Olandesi, Francesi e Inglesi dai vasti territori compresi fra la
Costa Atlantica e il fiume Mississippi, un nuovo nemico, forse più
determinato dei vecchi colonizzatori europei, si stava accaparrando
le terre dei nativi, sospingendoli verso occidente con la forza
delle sue armi: gli Americani. Ma diverse tribù di ceppo algonchino,
come i Cheyenne, gli Arapaho, i Kootenay e i Piedi Neri, si erano
già trasferite oltre il fiume Missouri, e molte altre di lingua
siouan, chiamate comunemente Sioux – Teton, Yankton, Santee, Mandan,
Hidatsa, Absaroka, Dhegiha, Chiwere – avevano preso la medesima
strada, invadendo le pianure centro-settentrionali comprese fra il
Mississippi e le Montagne Rocciose. Gli Assiniboine, invece, si
erano mossi verso il Nord-Ovest molto tempo prima, occupando vaste
aree del Canada e del Montana settentrionale.
Nell’arco di
qualche decennio, più di 50.000 Indiani avevano oltrepassato
spontaneamente il Mississippi, invadendo i territori che in seguito
sarebbero stati denominati Minnesota, Dakota, Montana, Wyoming,
Nebraska, Colorado e Kansas. Il motivo risiedeva quasi sempre nella
accesa rivalità con altre tribù algonchine e irochesi e nella
necessità di cercare nuove fonti di sostentamento.
Nelle terre
della Louisiana francese, nella Columbia britannica e nei
possedimenti spagnoli situati fra il Texas e le assolate coste della
California abitavano circa 450.000 indigeni dalla pelle rossa, che
alla fine del XVIII secolo si combattevano ancora aspramente fra
loro. I nuovi arrivati, che i Francesi avevano chiamato Sioux
abbreviando una definizione irochese, si erano subito scontrati con
i Kiowa e i Comanche, costringendoli a spostarsi dalle Black Hills
del Dakota alle pianure centro-meridionali attraversate dai fiumi
Arkansas, Canadian e Red. Alcune testimonianze tramandate oralmente
sostenevano che la banda kiowa dei Kuato aveva subito
l’annientamento per essersi rifiutata di abbandonare le proprie
terre.
Ma la rivalità
era accanita anche fra gli Absaroka o Crow e i Siksika, detti Piedi
Neri dagli Inglesi, mentre i Comanche restavano implacabili nemici
sia degli Apache che dei Navajo e dei Tonkawa. A loro volta i Pawnee
e gli Shoshone avevano trovato pane per i propri denti con i
confinanti Teton Sioux, spesso in lotta con i Flathead (Teste
Piatte) e gli Ute, ma in rapporti di amicizia con Cheyenne e Arapaho.
Molto più a sud, in Arizona e Nuovo Messico, i terribili incursori
apache non risparmiavano né i Navajo, dello stesso ceppo
etnico-linguistico athapascan, né i pacifici Pueblo, ormai
definitivamente sottomessi dagli Spagnoli dopo l’insurrezione di
Popè alla fine del XVII secolo.
A poco a poco,
le Grandi Pianure si erano arricchite di parecchie tribù di
provenienza orientale, che nell’arco di qualche anno avevano
radicalmente mutato le proprie abitudini. L’immensa risorsa
alimentare offerta dai 15 o 20 milioni di bisonti che pascolavano
liberamente dal Canada al Messico e l’adozione del cavallo
permettevano agli Indiani di cambiare i vecchi costumi,
trasformandoli in fieri cacciatori e predatori. I meriti, o le
colpe, di una simile metamorfosi andavano agli Spagnoli di Coronado,
che durante il lungo viaggio verso il Texas e l’Oklahoma avevano
perduto alcune decine di “mestenos”, diventate poi mandrie di
“mustang” allo stato brado, che gli Indiani catturavano per
allevarli.
Alla fine del
XVII secolo qualsiasi famiglia dei Caddo del Texas possedeva già 4 o
5 cavalcature. Nel 1720 i Pawnee e i Comanche disponevano ormai di
centinaia di cavalli e un decennio dopo anche i Piedi Neri, imitati
poi dai Sioux, stavano diventando cavalieri sempre più abili e
spericolati, rivaleggiando con i Comanche, considerati i veri
padroni delle praterie del Sud.
Nel 1780 vi
erano più di 200.000 Indiani in California e lungo la costa del
Pacifico, mentre alcune decine di migliaia popolavano le aree del
Gran Bacino e dei Deserti ad ovest delle Montagne Rocciose.
Nelle Grandi
Pianure, vivevano 10.000 Pawnee, 8.000 Piedi Neri, 4.000 Arikara,
4.000 Nasi Forati, 3.500 Cheyenne, 3.000 Arapaho e altrettanti Gros
Ventre, 2.000 Kiowa.
Il nucleo più
consistente al nord era costituito dalle popolazioni di lingua sioux,
composto da 15.000 fra Yankton e Santee, 10.000 Teton o Lakota,
10.000 Assiniboine,,6.000 Osage, 4.000 Crow, 3.500 Mandan, 2.500
Hidatsa, oltre ad un numero consistente di tribù minori, come gli
Oto, i Missouri, i Kansas e i Quapaw. Al sud, fra il Texas ed il
confine californiano, si contendevano invece il territorio circa
12.000 Comanche, 10.000 Apache, un numero uguale o superiore di
Navajo, 7.000 Ute, 3.500 Wichita e qualche migliaio di Tonkawa.
Per queste
tribù, sparse su un’immensa regione di 2 milioni di miglia quadrate,
la minaccia dei Bianchi – rappresentata dalle poche migliaia di
coloni degli insediamenti spagnoli, dallo sparuto numero di
“voyageurs” e mercanti francesi della Louisiana e dai cacciatori
inglesi della Compagnia della Baia di Hudson e della Columbia - era
ancora assai remota.
Gli Indiani
dell’Est, sempre più assediati e sospinti verso occidente
dall’avanzata americana, avrebbero invece vissuto gli ultimi decenni
della loro tormentata storia.
[continua]
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