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A cura di Domenico Rizzi

Il sogno intramontabile

N

el 1803 gli Stati Uniti superavano già i 5 milioni e mezzo di abitanti e avevano acquistato dalla Francia la Grande Louisiana, pagando 15 milioni di dollari a Napoleone. Per la nuova nazione si apriva dunque uno sconfinato orizzonte di 830.000 miglia quadrate, che i capitani Meriwether Lewis e William Clark avrebbero esplorato, alla guida di un piccola spedizione, nel 1804-1806.

Nel 1810 la popolazione statunitense di razza bianca era di oltre 7 milioni di abitanti. Invece il numero degli Indiani insediato nelle regioni orientali, dal Canada al Golfo del Messico, veniva stimato in soli 150.000 individui. Anche nell’improbabile ipotesi di un conflitto che opponesse tutte le tribù indiane dell’Est ai nuovi padroni bianchi d’America, la disparità di forze sarebbe stata enorme: i Pellirosse avrebbero potuto mettere in campo 35.000 uomini, contro 1 milione e mezzo di combattenti di cui teoricamente disponevano gli Americani!

Queste considerazioni a posteriori non valevano all’epoca in cui, dopo la severa sconfitta di Fallen Timbers, i Miami, gli Shawnee e i loro alleati si interrogavano sul futuro delle rispettive nazioni. Nessuno intendeva piangersi addosso, né per la durissima lezione subita ad opera del generale Anthony Wayne nel 1794, né di fronte al crescente numero di Bianchi che oltrepassavano gli Allegheny, espandendosi a ventaglio verso i Grandi Laghi e la valle del Mississippi.

Forse, fra coloro che ancora si leccavano le ferite, erano in parecchi ad auspicare che qualcuno prendesse l’iniziativa di unificare gli Indiani. Un uomo, audace condottiero militare, ma soprattutto politico saggio ed ispirato, credeva di poter fare molto di più per il suo popolo.

La storia aveva ormai dimostrato la palese inferiorità numerica e tecnologica dei Pellirosse nei confronti degli Inglesi, dei Francesi e degli Americani. Questi ultimi non avevano esitato, al momento opportuno, a strappare il cordone ombelicale che li legava da 170 anni alla corona britannica, proclamandosi indipendenti e sovrani e la loro bandiera a stelle e strisce sventolava in centinaia di città e villaggi, di avamposti delle milizie e di stazioni commerciali di frontiera.

Gli Indiani non si sarebbero più potuti limitare a creare una semplice coalizione di guerra per contrastare i Bianchi. Era giunto il momento di pensare a qualcosa che andasse oltre la semplice alleanza militare: occorreva gettare al più presto le basi di uno Stato che riunisse le tribù ancora libere, dotandosi di leggi e regole comuni e creando dei confini che gli Americani avrebbero dovuto rispettare. Per fare ciò, era necessario avere un leader che sapesse parlare in modo convincente a tutte le tribù sparse d’America, facendo loro comprendere l’importanza e l’urgenza di realizzare in fretta tale progetto. Quest’uomo avrebbe dovuto possedere il carisma di Powhatan, la spietata determinazione di Opechancanough, il prestigio di Metacomet, la capacità strategica di Pontiac e l’abilità tattica di Piccola Tartaruga.

Il popolo pellerossa, umiliato e disperso, non tardò a riconoscere queste doti in un personaggio che i Bianchi chiamavano Tecumseh.

L’ultimo grande sogno di unificazione e l’estrema speranza di riscossa dei Pellirosse orientali avrebbero portato il suo nome.   

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Il sogno. Gli Indiani non si sarebbero più potuti limitare a creare una semplice coalizione di guerra per contrastare i Bianchi. Era giunto il momento di pensare a qualcosa che andasse oltre la semplice alleanza militare: occorreva gettare al più presto le basi di uno Stato che riunisse le tribù ancora libere

 

 

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