Venti di guerra
el 1810 la giovane repubblica
degli Stati Uniti d’America aveva raggiunto una popolazione di
7.240.000 abitanti, con un 1.380.000 schiavi negri e un numero di
“nativi” – i Pellirosse – che, dopo l’acquisto della Grande
Louisiana nel 1803, era aumentato di almeno 400.000 unità.
La notevole
crescita e l’espansione verso occidente, uniti al ricordo della
guerra d’indipendenza del 1775-83, avevano contribuito a mantenere
costantemente tesi i rapporti con gli Inglesi del Canada, accusati
dagli Americani di sobillare gli Indiani contro i loro insediamenti.
I sudditi della corona vedevano d’altronde una minaccia nella
continua avanzata dei coloni verso il West. Se il Kentucky, il
Tennessee e l’Ohio raggiungevano già complessivamente quasi 900.000
abitanti, vi erano più di 70.000 Americani in Louisiana, 40.000 in
Alabama e nel Mississippi ed altri 37.000 avevano occupato i
territori dell’Indiana e dell’Illinois, mentre circa 21.000 si erano
insediati nel Missouri.
Il Canada
possedeva una popolazione stimata intorno alle 430.000 persone, ma
l’Inghilterra aveva 12 milioni di abitanti e manteneva saldamente la
sua posizione di prima potenza mondiale.
Essendo
impegnati nelle guerre napoleoniche, gli Inglesi non pensavano però
minimamente ad un conflitto vero e proprio con i confinanti
americani, limitandosi a sobillare i Pellirosse della fascia di
confine e di altre regioni senza mai esporsi direttamente, come del
resto avevano fatto con Tecumseh.
Gli incidenti
fra le due nazioni cominciarono nel 1807.
In seguito alla
cattura, da parte della marina britannica, della fregata
statunitense “Chesapeake”, accusata di avere accolto alcuni
disertori della nave inglese Halifax, il 21 dicembre gli USA
approvarono un embargo generale, revocato poi, nel marzo 1809, dal
neo-presidente James Madison. Tuttavia, poco tempo dopo, un nuovo
provvedimento interdisse alle navi inglesi e francesi i porti degli
Stati Uniti, proibendo contemporaneamente alle navi americane di
attraccare nelle località che ricadevano sotto la sovranità di
questi due Paesi.
Lo stato di
tensione, accresciuto dal disegno di Tecumseh di fomentare una
ribellione con l’appoggio dei Canadesi, sfociò in una battaglia
navale nel maggio 1811, tra la fregata statunitense “President” e la
“Little Belt” inglese. A questo punto, il ministro di Sua Maestà,
Augustus John Foster, tentò inutilmente di ricomporre la crisi, ma
il Congresso americano, riunitosi in seduta straordinaria il 4
novembre, registrò una forte prevalenza dei “Falchi della Guerra”,
capeggiati da Henry Clay. Sebbene molti non ritenessero opportuno
scatenare un conflitto aperto, alcuni fautori dello scontro armato
con gli odiati vicini auspicavano addirittura che gli Stati Uniti
conquistassero l’intero continente, prendendosi anche il Canada e la
Florida.
Il 1° aprile
1812 James Madison, divenuto il 4° presidente degli USA nel 1809,
raccomandò l’adozione di un altro embargo generale per due mesi,
prolungato di altri 30 giorni su richiesta di coloro che volevano
ancora scongiurare la guerra. Nel frattempo il Congresso autorizzò
la chiamata in servizio di 100.000 uomini della milizia degli Stati
e dei Territori, con una ferma di sei mesi. Il 18 giugno gli Stati
Uniti, dopo aver accusato gli Inglesi di avere catturato 3.800
marinai americani, violato le acque territoriali, saccheggiato il
commercio ed incitato gli Indiani alla sedizione contro Washington,
dichiararono l’apertura delle ostilità.
L’entrata in
guerra, decisa in modo avventato e sopravvalutando le proprie forze,
non diede i risultati che i “Falchi” speravano.
Nel 1814 le
truppe inglesi occuparono facilmente Detroit e inviarono in America
una grossa spedizione agli ordini dell’ammiraglio Cockburn, che,
sbarcato nella Chesapeake Bay in Virginia, sbaragliò le milizie
puntando sulla capitale, occupata senza troppi sforzi dal generale
Robert Ross. Il presidente James Madison e sua moglie furono
costretti ad abbandonare Washington e a fuggire nei boschi, mentre
400 miliziani proteggevano coraggiosamente la loro ritirata al di là
del fiume Potomac.
Ma neppure le
truppe di Sua Maestà, dopo l’apparente successo iniziale, riuscirono
ad assestare il colpo decisivo all’avversario e il conflitto si
trasformò presto in una guerra di confine conclusasi, con un nulla
di fatto, con il trattato di Ghent del 24 dicembre 1814.
La guerra si
combattè prevalentemente nelle regioni di confine, soprattutto
intorno ai Grandi Laghi e nessuna battaglia risultò decisiva per i
due schieramenti. Se, da un lato, le aspirazioni di conquista
dell’intero continente da parte degli Americani più estremisti
vennero frustrate, dall’altro anche il desiderio inglese di revanche
per la sconfitta subita al tempo della Rivoluzione rimase
insoddisfatto. A parziale scusante delle forze britanniche si potè
addurre l’esiguità del contingente militare impiegato nelle
operazioni, circa 70.000 regolari e qualche migliaio di Pellirosse,
contro gli oltre 450.000 uomini mobilitati dagli Stati Uniti. Questi
ultimi si affidarono però principalmente alle milizie di Stato,
essendo il loro esercito effettivo composto di sole 10.000 unità.
L’imperizia e l’indecisione dei loro comandanti – si salvarono dal
grigiore generale l’ammiraglio Oliver H. Perry per le operazioni
condotte con successo sul Lago Erie e pochi altri, fra i quali
William Henry Harrison e Andrew Jackson – vanificarono l’ambizioso
progetto di impossessarsi del vastissimo territorio canadese.
Gli Indiani
parteggiarono soprattutto per gli Inglesi, che però non ebbero il
sostegno massiccio degli Irochesi, la cui potenza era in declino
dall’epoca in cui Sullivan li aveva duramente castigati nel 1779.
La difficoltà di
comunicazioni dell’epoca non impedì lo svolgersi di un’altra grande
battaglia, che ebbe luogo nelle paludi della Louisiana, sulla sponda
sinistra del Mississippi, l’8 gennaio 1815.
Gli Inglesi
sbarcarono 12.000 uomini al comando di Sir Edward Packenham, già
generale di Wellington contro Napoleone e trovarono ad attenderli un
esercito composto alla meglio - soldati regolari, miliziani,
volontari e cacciatori di pellicce del Kentucky e del Tennessee,
Pellirosse e persino ex bucanieri dei Caraibi - affidato al comando
del generale Andrew Jackson, nominato comandante militare delle
forze del Sud-Est dal ministro della Guerra James Monroe.
La battaglia si
risolse in un massacro per i Britannici, che avanzarono
scriteriatamente in file serrate contro le postazioni avversarie,
subendo ben 2.036 perdite, delle quali 700 furono i morti – compreso
lo stesso Packenham - ed oltre 1300 i feriti. Jackson se la cavò con
8 caduti e 13 feriti e da quel momento la sua stella fu
costantemente in ascesa.
Se gli Inglesi
avessero chiesto ai Creek, sconfitti duramente dal generale
americano poco tempo prima, questi avrebbero potuto spiegare loro di
quale tempra fosse fatto l’uomo che la gente della Frontiera aveva
soprannominato “Old Hickory”, cioè “Vecchia Quercia”.
[continua]
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