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A cura di Domenico Rizzi

La presa di Fort Dearborn

A

guerra appena iniziata, si verificò un episodio che suscitò, fra i coloni americani della Vecchia Frontiera, sentimenti di orrore e paura. Dopo che gli Inglesi e i loro alleati pellirosse ebbero collezionato, dalla fine di giugno ai primi di agosto del 1812, una serie di successi nella regione fra Detroit e il Lago Michigan, costringendo le truppe degli Stati Uniti ad arretrare vistosamente, la guarnigione di Fort Dearborn, nel territorio dell’Illinois, non molto distante da Chicago, ricevette l’ordine di evacuazione, essendo minacciata direttamente dalla tribù dei Potawatomie, schieratasi al fianco della Gran Bretagna.

Il responsabile del presidio, capitano Nathan Heald, ordinò allora che venissero distrutte tutte le munizioni, le provviste e le scorte di bevande alcoliche, per impedire che gli Indiani ne venissero in possesso. Poi, la mattina del 15 agosto 1812, si mise alla testa di una colonna composta da 68 militari, 12 miliziani e 29 civili – 5 uomini e 11 donne con i loro 13 bambini – alla quale si aggregarono una trentina di Miami, ingaggiati tempo prima come guide.

Dopo aver lasciato il forte, il gruppo marciò per un paio di miglia lungo le rive del Lago Michigan, finchè gli scout indiani che formavano l’avanguardia non si accorsero di avere di fronte una compatta fila di guerrieri nemici. Preoccupati, i Miami si recarono in delegazione a parlamentare con i Potawatomie, scoprendo che essi disponevano di almeno 400 combattenti guidati da Uccello Nero ed altri capi importanti. Al loro ritorno, informarono Heald delle intenzioni del nemico e gli dichiararono apertamente di non voler essere coinvolti in una battaglia, perché la loro tribù era rimasta in rapporti di amicizia con i Potawatomie. Testardamente l’ufficiale comandante ritenne di poter fare a meno del loro apporto e lasciò che se ne andassero via, pensando che il loro comportamento fosse dovuto a codardìa. Quindi avanzò ancora lungo il sentiero, fino a quando non si trovò il passo sbarrato dagli Indiani ostili, attestati su una collina sabbiosa. A questo punto, con una decisione del tutto cervellotica, Heald schierò i suoi soldati ed ordinò una carica alla baionetta, esponendo i suoi uomini alle frecce e alle lance dei nemici. Quasi immediatamente i Potawatomie accerchiarono la colonna e abbatterono a colpi di tomahawk e di mazze da guerra quasi tutti i suoi componenti. Allorchè l’esaltato Heald, che era riuscito nel suo folle tentativo di raggiungere la sommità del colle, si accorse di essere rimasto con soli 15 uomini, completamente circondati, chiese di negoziare con il capo Uccello Nero. Dopo avergli consegnato la propria sciabola, il capitano accettò la resa, pregando gli Indiani di risparmiare i feriti, le donne e i pochi civili rimasti. I patti non vennero però rispettati.

I Potawatomie, dopo avere saccheggiato i carri, radunarono i pochissimi prigionieri per trasferirli al loro villaggio, ma prima finirono a colpi di mazza 12 feriti. Infine, l’evacuato Fort Dearborn venne dato alle fiamme.

La colonna di Heald aveva perduto 54 militari, tutti i 12 volontari della milizia, 2 civili e 6 donne, mentre dei 13 bambini che ne facevano parte, soltanto uno era sopravvissuto. Nel complesso, le perdite americane ammontavano a 96 persone, quelle pellirosse erano 17, senza contare i feriti. Per questa azione vittoriosa, il capo Uccello Nero avrebbe in seguito ricevuto una medaglia dalle autorità britanniche.

Quando la notizia del massacro raggiunse le città americane, suscitò dovunque sdegno e riprovazione, facendo invocare per gli Indiani una punizione esemplare.

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Evacuazione. Il responsabile del presidio, capitano Nathan Heald, ordinò allora che venissero distrutte tutte le munizioni, le provviste e le scorte di bevande alcoliche, per impedire che gli Indiani ne venissero in possesso.

 

 

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