La battaglia di Tippecanoe
l 26 settembre 1811 l’esercito
di Harrison lasciò Vincennes e mosse alla volta di Tippecanoe, la
Città del Profeta. Dalle forze messe in campo dal governatore
militare dell’Indiana, si poteva senz’altro dedurre che l’intenzione
fosse quella di distruggere la nascente capitale dello Stato Indiano
ancora in embrione.
Ai 250 soldati
del Quarto Fanteria e 270 dragoni a cavallo del colonnello John P.
Boyd, si erano aggiunti infatti parecchi miliziani: 480 volontari
diretti dal tenente colonnello Joseph Bartholomew e dal capitano
Spier Spencer, reclutati nell’Indiana, 120 del Kentucky guidati da
Joseph H. Davies e molti altri civili addetti alla sussistenza.
Complessivamente, l’armata di Harrison, che era sprovvista di
artiglieria, poteva contare su oltre 1.100 uomini bene armati. Ma lo
scontro decisivo con gli Indiani sarebbe avvenuto oltre di un mese
dopo, perché il governatore intendeva creare almeno una base sul suo
cammino, prima di sferrare l’attacco. Avviata la costruzione di un
avamposto vicino a Terre Haute, dove venne lasciato un presidio, la
spedizione seguì il fiume Wabash puntando su Tippecanoe, per
accamparsi nelle sue vicinanze il 6 novembre.
Allarmato
dall’arrivo di forze tanto ingenti, Tenskwatawa cercò di
tergiversare, per dar modo ai propri guerrieri di organizzarsi. In
realtà disponeva sì e no di 470 uomini e l'ennesima raccomandazione
di suo fratello Tecumseh era stata di non accettare battaglia con
gli Americani per alcun motivo. Il grosso delle sue forze era
costituito da Shawnee, Kickapoo e Winnebago, con l’aggiunta di
piccoli contingenti di Ojibwa, Ottawa e Wyandot. Mentre i primi, in
assenza di Tecumseh, erano sotto la direzione di Tenskwatawa, le
altre due tribù principali obbedivano agli ordini di Mengoatowa e
Waweapakoosa, ma non era stato ancora istituito un vero comando
unificato. Occorreva prioritariamente acquisire l'appoggio dei
Creek e di altre tribù, ma soprattutto garantirsi il sostegno degli
Inglesi. Infatti il leader era pienamente consapevole che un
esercito di irregolari, appartenenti a tribù diverse e numericamente
ancora esiguo, non avrebbe potuto sostenere l’urto di truppe ben
addestrate e armate come quelle degli Stati Uniti.
Sebbene fosse
prevedibile un’imminente apertura delle ostilità con gli Americani,
l’appoggio dato dal Canada britannico agli Indiani somigliava più ad
una manifestazione di solidarietà che ad un concreto appoggio
militare. Se si escludono piccole partite di armi da fuoco e alcuni
barili di polvere da sparo, gli Inglesi non avevano elargito altro
che parole alla causa di Tecumseh, sottovalutando l’enorme
contributo che la sua guerriglia avrebbe offerto loro una volta
entrati in guerra con gli Stati Uniti. Infatti, gli indiani
sarebbero stati in grado di saccheggiare e devastare le retrovie
americane, spianando la strada ad un’eventuale invasione canadese.
Perciò,
Tenskwatawa si trovò a dover gestire una situazione tanto imprevista
quanto insostenibile, che d’altronde richiedeva una decisione
drastica e immediata. Se avesse atteso, era più che sicuro
dell’attacco a sorpresa al suo villaggio, con conseguenze
sicuramente rovinose. Il Profeta scelse allora la strada del
negoziato, sperando di ingannare l’avversario per sorprenderlo di
notte con una sortita, ma Harrison, che era piuttosto scaltro, non
abboccò facilmente e ordinò ai suoi uomini accampati di disporsi
intorno alle tende in duplice fila, pronti a fronteggiare qualsiasi
attacco. I suoi informatori gli avevano dato la certezza che i
Pellirosse fossero numericamente la metà della spedizione da lui
capeggiata e il suo unico dilemma riguardava la tattica da adottare
in quella circostanza. Nell’incertezza, Harrison decise di attendere
la mossa del nemico, ordinando ai suoi uomini di stare all’erta.
La conferma
delle intenzioni ostili degli Americani venne data agli indiani da
un inserviente di cucina negro, catturato per caso da alcuni
guerrieri. Questi raccontò che Harrison avrebbe atteso le prime luci
dell’alba per lanciare i suoi uomini alla conquista del villaggio e
distruggerlo completamente. Forse il delatore non conosceva le vere
intenzioni del governatore, ma potrebbe darsi che la sua confessione
mirasse a convincere Tenskwatawa della necessità di attaccare per
primo.
Dopo avere
schierato i suoi guerrieri in gruppi separati, il Profeta li fece
avanzare furtivamente fino all’accampamento militare nemico, che
distava circa un miglio dal suo villaggio. Per galvanizzarli, aveva
promesso loro un potente incantesimo protettivo contro le pallottole
dei Bianchi, ma certamente era il primo a non crederci troppo.
Intorno alle
quattro di mattina del 7 novembre, le forze indiane aspettavano
soltanto l’ordine dei loro capi per scagliarsi contro gli invasori,
quando una sentinella del campo, insospettita da alcune figure che
si muovevano nell’ombra, aprì il fuoco all’improvviso.
Harrison, che si
trovava nella propria tenda già vestito e pronto al combattimento,
si precipitò fuori e chiamò a raccolta gli ufficiali, impartendo
disposizioni perentorie. Evidentemente la sortita avversaria non lo
aveva sorpreso affatto: conoscendo l’astuzia dei Pellirosse,
soprattutto quando non avevano possibilità di scampo, si aspettava
che cercassero di prevenire la sua mossa.
In quel momento,
incitati dai loro capi, tutti gli alleati indiani si scagliarono
urlando contro la linea difensiva delle truppe, impegnando un
furibondo corpo a corpo. Per qualche minuto sembrò addirittura che
la barriera di Harrison fosse stata travolta, perché alcuni reparti,
composti in larga misura da reclute, si ritirarono disordinatamente
verso il centro dell’accampamento. Il governatore assistette allo
sfaldamento dei suoi dragoni e vide cadere davanti a sé il proprio
aiutante di campo, colonnello Abraham Owen, ma i soldati del Quarto
Fanteria opposero una strenua resistenza, senza arretrare di un
metro davanti agli Indiani. I volontari dell’Indiana risultarono fra
i più bersagliati e il loro stesso comandante, Spier Spencer, venne
colpito ripetutamente e infine abbattuto. Tuttavia, la superiorità
numerica degli Americani ed il coraggio dei loro comandanti ebbero
il sopravvento, respingendo gli assalitori con gravi perdite.
Inutilmente Tenskatawa, salito su un’altura che sovrastava il campo
di battaglia, lanciava scongiuri ed esortava i guerrieri a
resistere. Un secondo assalto, condotto con la forza della
disperazione senza ragionevoli possibilità di vittoria, si concluse
in un nuovo massacro di Indiani, poiché le truppe avevano
riorganizzato le loro file e aprirono un micidiale fuoco di
sbarramento, obbligando gli attaccanti a ripiegare con gravi
perdite. Molti guerrieri abbandonarono il campo e ritornarono al
villaggio per riferire della sconfitta e mettere al sicuro le loro
famiglie. Per fortuna degli abitanti di Tippecanoe, Harrison se la
prese comoda prima di mandare i suoi uomini contro di loro. Da un
lato era consapevole della notevole stanchezza delle truppe,
dall’altro temeva che gli si volesse tendere una trappola. Ciò diede
modo ai Pellirosse superstiti di fuggire, abbandonando armi e
provviste.
Dopo due ore di
mischie furibonde, la battaglia di Tippecanoe si era praticamente
conclusa con la schiacciante vittoria americana.
Gli ufficiali di
Harrison si aggiravono per il campo insanguinato, contando i morti,
mentre gruppi di soldati portavano soccorso ai loro commilitoni
sofferenti. Alla fine, le perdite risultarono pari ad un quinto del
corpo di spedizione: 61 morti e 127 feriti, dei quali 7 perirono
nelle ore successive. Quanto agli Indiani, non si seppe mai con
esattezza il numero di combattenti caduti nella battaglia. I soldati
di Harrison sostennero che almeno 40 o 50 cadaveri fossero rimasti
sul campo, ma diversi morti vennero portati via dai loro compagni e
famigliari, rendendo impossibile una stima precisa delle perdite
complessive. In seguito, soltanto Winnebago e Kickapoo ammisero di
avere perso 51 guerrieri, ed è probabile che i caduti fra gli
Shawnee e gli altri alleati fossero altrettanto numerosi. E’
pertanto attendibile l’ipotesi che la coalizione di Tecumseh avesse
perduto in combattimento oltre un quarto dei suoi effettivi, cioè
più di 100 uomini, con un numero di feriti altrettanto consistente.
Naturalmente, la sconfitta non si poteva valutare soltanto in base a
tali cifre, perché il danno inflitto all’alleanza era ben più
pesante.
L’8 novembre
1811 William Henry Harrison guidò i suoi soldati e miliziani verso
il grande villaggio di Tippecanoe e lo fece radere al suolo,
ordinando di abbattere capanne e recinti per il bestiame e bruciare
scorte alimentari, pelli e indumenti. Nella distruzione
dell’accampamento mise una cura meticolosa, perché non si trattava
semplicemente di coronare una vittoria decisiva.
La fine di
Tippecanoe simboleggiava infatti il definitivo tramonto del sogno di
Tecumseh.
Si narra che,
quando il condottiero, di ritorno dal suo viaggio fra i Creek,
apprese della tremenda sciagura, si abbandonò come un fanciullo ad
un pianto sconsolato.[continua]
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