a gli scontri fra Pellirosse e Bianchi nascevano anche da ragioni
diverse dal coinvolgimento diretto degli indigeni nei conflitti
coloniali.
Ai primi del Settecento, i Tuscarora della Carolina, di lingua
irochese, avevano assistito alla creazione di un nuovo insediamento
europeo nelle loro terre. Gli ultimi arrivati erano di origine
tedesca e svizzera e in poco tempo avevano creato un villaggio –
chiamato Nuova Berna – dissodato il suolo e iniziate le semine. Per
allargare la superficie delle colture, i coloni disboscarono la
contrada, distruggendo la selvaggina che serviva all’economia
tribale.
La tensione fra le due comunità andò aumentando fino all’inizio
dell’autunno del 1711, quando i Tuscarora attaccarono l’insediamento
e le fattorie circostanti, facendo strage di circa 200 persone.
La reazione degli Inglesi, che sospettavano una sobillazione da
parte degli Spagnoli, fu affidata al colonnello John Barnwell, che
mise insieme volontari e guerrieri di alcune tribù, fra cui gli
Yamassee, di lingua muskogee e i Catabwa, di derivazione sioux. La
rappresaglia trovò dapprima sfogo soprattutto ai danni del villaggio
tuscarora di Narhantes, dove furono uccisi 52 Indiani. Quindi si
accanì invano contro la roccaforte pellerossa situata sul Contentea
Creek, finchè si riuscì a concordare una tregua molto precaria, che
lasciò spazio alle azioni ostili da una parte e dall’altra.
Infine, nell’autunno 1712, il colonnello James Moore, appoggiato
questa volta anche dai Cherokee, sferrò un attacco più potente
contro i villaggi indiani, cingendo d’assedio quello principale di
Neoheroka. I Tuscarora, una parte dei quali era passata nelle file
britanniche, capitolarono definitivamente nel marzo 1713, lasciando
sul campo un numero spaventoso di morti, che fu stimato in almeno
500. Altre centinaia di uomini, donne e bambini furono invece fatti
prigionieri per essere venduti come schiavi. I resti della tribù
sconfitta emigrarono verso settentrione ed entrarono più tardi a far
parte della Lega Irochese, mentre la fazione favorevole agli Inglesi
venne confinata in una riserva della Carolina settentrionale.
Eliminato il pericolo tuscarora, i coloni della regione si
trovarono subito alle prese con quello rappresentato dagli ex
alleati Yamassee e Catabwa.
Il malcontento delle due tribù per l’incessante arrivo di
Europei, finì per creare, nel 1715, la stessa situazione che aveva
dato origine all’insurrezione dei loro antichi nemici. Questa volta,
però, la rivolta indiana ebbe una conclusione assai peggiore.
Perseguitati dal governatore della Carolina, Charles Craven e dalle
sue milizie, gli Yamassee vennero decimati e sospinti verso la
Florida. Dodici anni dopo le forze britanniche diedero loro il colpo
di grazia a St. Augustine: da quel momento la tribù cessò di
esistere autonomamente e i suoi superstiti trovarono ospitalità fra
i Catabwa.
I Natchez del Mississippi seguirono il medesimo destino poco
tempo dopo.
Questa nazione, appartenente ad un ceppo linguistico
probabilmente a sé stante, sebbene talvolta ascritta al gruppo
muskogee, era composta da 4.500 persone nel 1650, si fondava su
un’economia agricola e abitava villaggi fortificati nell’area
sud-orientale degli attuali Stati Uniti. La sua struttura sociale,
per certi versi simile a quella dei popoli centro e sudamericani,
faceva capo ad un unico sovrano assoluto, chiamato il Grande Sole.
Come gli Aztechi e i Maya, avevano una società divisa in classi ed
un’usanza abbastanza inconsueta per i popoli amerindi: alla morte
del sovrano, le sue mogli venivano sacrificate, perché ne
accompagnassero lo spirito nella vita ultraterrena.
La tragedia dei Natchez cominciò nei primi anni del 1700, quando
comparvero, sul fiume Mississippi, i primi Francesi. Nel 1701, per
compensare la penuria di manodopera, Re Luigi XIV autorizzò
espressamente i suoi sudditi americani a procacciarsi gli schiavi
fra le tribù indiane nemiche. Giovani forti e resistenti vennero
catturati fra i Chitimacha e gli Alabama e portati a lavorare nelle
piantagioni lungo il Mississippi. Nel 1708, il governatore Jean
Baptiste Le Moyne de Bienville, introdusse la possibilità di
scambiare gli schiavi pellirosse con i Negri, ma poiché questi
ultimi erano ritenuti molto più robusti e affidabili, il rapporto di
scambio diventò di due Indiani per ogni Africano. La stessa pratica
venne poi adottata anche dagli Inglesi in Carolina, che fecero
giungere schiavi neri dalle Antille, pagandoli con indigeni amici
dei Francesi.
Dopo un po’ di tempo, sulla scia dei coloni e dei mercanti,
arrivarono truppe in numero cospicuo, per costruire l’importante
avamposto di Fort Rosalie, vicino al confine con l’odierna
Louisiana.
Nel 1729, Bienville, comandante del presidio militare, ordinò
agli Indiani di trasferire il loro villaggio di Pomme per far posto
ad una colonia agricola. I Natchez, già stuzzicati dai Chickasaw
della Carolina, che intendevano muovere guerra ai Francesi, opposero
un netto rifiuto, perché in quel villaggio sorgeva uno dei loro
templi più importanti, dedicato al dio Sole. La contesa degenerò
presto in ostilità aperta e da ambo le parti si fece ricorso alle
armi.
Il 28 novembre 1729 i Natchez attaccarono in forze la guarnigione
e i civili del forte, circa 650 persone. Oltre la metà di esse
vennero trucidate, mentre donne a bambini furono portati via per
essere ridotti in schiavitù.
La reazione francese non fu meno terribile delle punizioni
inflitte ai Pellirosse dagli Inglesi. Ricevuti rinforzi e con
l’alleanza di circa 700 Indiani, in prevalenza delle tribù Muskogee
dei Choctaw e dei Creek, i soldati attuarono una durissima
repressione, radendo al suolo abitazioni e templi sacerdotali e
uccidendo indiscriminatamente i loro occupanti. Fra i sopravvissuti,
500 furono caricati sulle navi e deportati ad Haiti per essere
venduti alla stregua degli schiavi africani; gli altri scampati
all’eccidio, trovarono rifugio presso gli amici Chickasaw e nel
volgere di qualche anno si fusero con questa tribù.
Mentre Francesi e Inglesi affilavano di nuovo le armi,
preparandosi all’ennesimo confronto militare, un’altra cultura
antichissima avrebbe continuato ad esistere soltanto sui libri di
storia.
[continua]