La fine dei regni indigeni
na questione,
più volte dibattuta, con conclusioni diverse, riguarda la reale
potenza della macchina militare spagnola rispetto alla capacità di
resistenza degli indigeni.
Quando Hernàn Cortes sbarcò sulle coste dello Yucatàn il 4 marzo
1519, aveva con sé 11 navi, 110 marinai, 553 soldati e 18 cavalli.
Le truppe del conquistador disponevano inoltre di 10 pezzi di
artiglieria e 4 falconetti (artiglieria leggera) oltre agli
archibugi, alle spade e ai coltelli.
In una guerra europea, nessun condottiero – neppure il folle Lope de
Aguirre del celebre film di Werner Herzog “Aguirre furore di Dio”,
prodotto nel 1972 - avrebbe azzardato la conquista di un solo
isolotto con 650 uomini: il trentaquattrenne capitano dell’Estremadura,
che era partito da Cuba, tentò invece l’impresa di impadronirsi di
un regno popolato da non meno di 7.000.000 di abitanti. La capitale
degli Aztechi, la superba Tenochtitlàn, pare ne contenesse da
150.000 a 300.000. Calcolando il numero di combattenti in ragione di
un guerriero ogni cinque persone, ne risulterebbe un esercito
potenziale di 1.400.000 uomini, stabilendo un rapporto di uno
Spagnolo ogni 2.150 guerrieri aztechi. Se considerassimo l’esito
finale – la schiacciante vittoria degli invasori – basandoci su
queste semplici relazioni numeriche, Hernàn Cortès dovrebbe essere
ritenuto incontestabilmente il più grande condottiero della storia
umana, superiore perfino ad Alessandro Magno e a Napoleone.
In realtà, le cifre sono alquanto menzognere e il capitano spagnolo
mise in campo, dopo i primi scontri, una forza di gran lunga
superiore al proprio sparuto manipolo iniziale.
Il vantaggio costituito dalle armi da fuoco e l’utilizzo dei cavalli
– che gli Aztechi non avevano mai visto – diede al conquistador un
indiscusso vantaggio, almeno in un primo momento. In seguito,
l’abilità del condottiero consistette nello sfruttare il malcontento
delle popolazioni tributarie degli Aztechi e da questi dominate per
crearsi delle preziose alleanze. Egli stesso scrisse nelle sue
memorie che la grande città-stato di Tlaxcala gli fornì 129.000
armati da opporre all’esercito di Montezuma II.
Con una valutazione non troppo esagerata, possiamo aggiungere che
Cortès, senza nulla voler togliere alle sue capacità, ebbe anche la
fortuna dalla sua parte. Subito dopo lo sbarco, incontrò due
Spagnoli, dispersi in una precedente spedizione nello Yucatàn, che
gli furono preziosi intermediari e interpreti presso le varie tribù
del luogo, delle quali avevano appreso il linguaggio. Poi incontrò
Malintzin o Malinche, una giovane Azteca venduta come schiava ai
Maya dalla propria famiglia per questioni di successione ereditaria,
la quale odiava il popolo d’origine per il comportamento tenuto nei
suoi riguardi. La ragazza, ribattezzata da Cortès Dona Marina,
apprese rapidamente lo spagnolo e divenne la più fidata interprete
del conquistador, che ne fece presto la propria amante. Malinche
fruttò al capitano l’alleanza dei Tlascaltechi, premessa della
feroce conquista di Tenochtitlàn, l’odierna Città del Messico. Le
epidemie, che decimarono la popolazione della capitale e
l’inaspettato aiuto offertogli dal suo rivale Velazquez, governatore
di Cuba, fecero il resto, mettendo in ginocchio il più superbo degli
imperi delle Americhe.
La conquista del regno degli Incas seguì, pochi anni dopo, una
dinamica molto simile. I 180 Spagnoli che ubbidivano agli ordini di
Francisco Pizarro scoprirono un regno dilaniato dalla discordia e di
fatto già frazionato in due parti in lotta fra loro.
Il regno dei Maya era invece avviato ad una inesorabile decadenza da
molti decenni e sostanzialmente privo di una leadership che potesse
tentare una valida resistenza all’invasore. Le dinastie regnanti
erano avvezze a contrarre matrimoni fra consanguinei – soprattutto
tra fratelli e sorelle carnali, nell’assurda convinzione di
conservare la purezza della stirpe – generando individui tarati e
incapaci di governare con la necessaria avvedutezza. Alle stesse
usanze sottostavano gli Inca, con conseguenze immaginabili, perché
il supremo regnante, che pur poteva disporre di centinaia di
concubine, concepiva l’erede al trono soltanto con la propria
sorella, presa come legittima moglie.
Nel 1574 esistevano già nella Nueva Espana circa 200 città e
villaggi, popolati da 180.000 abitanti di razza bianca. Aztechi e
Maya ammontavano a meno di 2.000.000 di persone e gli schiavi negri
importati dall’Africa erano già 70.000.
Dopo la conquista di Cortès in Messico e quella di Pizarro nel Sud
America, gli Spagnoli si sparsero in tutto il continente.
Juan Ponce de Leòn, Hernando de Soto, Alvar Nunez detto “Cabeza de
Vaca” e Francisco Vasquez de Coronado si avventurarono nella
Florida, nel Tennessee, in Alabama e nei territori
centro-occidentali degli attuali Stati Uniti, visitando il Gran Lago
Salato e costruendo missioni in California. Quasi tutti erano alla
ricerca del mitico ”eldorado” – Coronado si spinse in Arizona
convinto di trovare le favolose Sette Città D’oro di Cibola,
imbattendosi soltanto in alcuni miserabili villaggi di Pueblo – ma
nessuno di essi riuscì nell’intento. De Leòn, uno dei più tenaci
conquistadores dell’epoca, inseguiva un miraggio diverso: voleva
scoprire la fonte dell’eterna giovinezza, ma la freccia di un
indigeno pose fine alle sue infantili illusioni.
Ben presto lo strapotere della Spagna sarebbe stato bilanciato
dall’arrivo di altri colonialisti europei, provenienti dall’Olanda,
dalla Francia e dalla Gran Bretagna. Dal momento in cui gli Inglesi
misero piede nel Nuovo Mondo, gli Spagnoli smisero di dormire sonni
tranquilli, perché in quasi tutti gli scontri sostenuti con gli
atavici nemici – valga per tutti la distruzione della “Invincible
Armada” navale nel 1588, per opera di sir Francis Drake - questi
ultimi erano sempre riusciti a prevalere.
Gli Indiani, invece, non si resero conto della tremenda minaccia che
incombeva sulla loro sorte. Più incuriositi che preoccupati
dall’arrivo degli Europei, continuarono per decenni ad alimentare le
loro guerre intestine, massacrandosi, a volte fino
all’annientamento, fra di loro. Così facendo, spalancarono le porte
dell’America alla conquista dei Bianchi.
[continua]
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