azione di Aquila
Rossa era stata rapida ed efficace, mirante soprattutto a intimidire
ed umiliare l’avversario. Sebbene non si possa affermare con
certezza che ad istigare il massacro fossero stati gli agenti
inglesi di Pensacola, certamente l’appoggio dato dalle autorità
britanniche alla causa dei Creek aveva costituito un notevole
stimolo per il condottiero ad attaccare in forze gli Americani. Del
resto, l’eccidio si svolse nel momento cruciale della guerra fra
Stati Uniti e Canada, mentre lo stesso Tecumseh si era messo a
disposizione dei nemici di Washington con la propria armata
pellerossa.
Ciò che Aquila
Rossa forse aveva sottovalutato era invece la rabbiosa reazione del
collerico Andrew Jackson, un uomo di ferro sotto tutti gli aspetti,
benchè non sembrasse dichiaratamente anti-indiano.
Tutto il Sud
colonizzato manifestò il proprio orrore, levando alte le sue
proteste per invocare una punizione esemplare.
“Old Hickory”
Jackson venne raggiunto dalla notizia della caduta di Fort Mims e
dei suoi agghiaccianti particolari mentre si trovava a letto nella
sua casa di Nashville, nel Tennessee, in seguito ad una lite con il
colonnello Thomas Hart Benton, che gli aveva procurato un braccio
spezzato e diverse contusioni.
Senza attendere
oltre, ordinò al colonnello John Coffee di partire per l’Alabama con
500 dragoni e si preparò a seguirlo con altre truppe.
Il 7 ottobre
anche Jackson, che non si era del tutto ripreso dalle ferite, si
mise in marcia con 2.500 uomini della Guardia Nazionale, partendo da
Fayetteville, nei pressi del confine fra Tennessee e Alabama. A lui
si unirono anche dei civili – fra cui Davy Crockett, un notissimo
cacciatore del Tennessee – e varie bande pellirosse, compresi molti
Creek dissidenti.
Il suo obiettivo
era Ten Islands sul fiume Coosa, ma lungo il percorso si fermò a
costruire una base di rifornimento per i suoi uomini. Poi, con
scorte alimentari per una settimana, riprese l’avanzata.
I suoi
informatori gli riferirono che i Creek erano accampati a
Tallassahatchee. Jackson vi giunse nei pressi il 3 novembre 1813 e
lasciò intendere che per nulla al mondo avrebbe rinunciato ad
infliggere ai suoi nemici il primo castigo per vendicare i coloni
trucidati a Fort Mims.
Il 5 novembre il
colonnello John Coffee attirò gli Indiani in una trappola,
accerchiando le loro forze dopo averle costrette ad attaccare la
sparuta avanguardia che aveva apparentemente mandato allo sbaraglio.
La
battaglia fu cruenta e si risolse in una vittoria per gli Americani,
che persero soltanto 5 uomini e recuperarono 41 feriti. Ai Creek
era andata assai peggio, perché 186 di loro furono contati al suolo
senza vita.
Aquila Rossa non
aveva tuttavia partecipato al combattimento, essendosi trasferito a
Talladega con il grosso del suo esercito. Ormai sapeva che Jackson
era sulle sue tracce ed era consapevole che le prossime battaglie
sarebbero state decisive per il suo popolo. Il suo nemico era un
uomo determinato e il capo dei Creek cominciava a perdere la propria
sicurezza. Infatti aveva minacciato sia gente della propria tribù
quanto gli Indiani sospettati di simpatizzare per gli Americani di
spietate ritorsioni.
Jackson non
pareva per nulla intimorito dall’avversario.
Al timore
espresso da Pathkiller, un capo dei Cherokee incontrato mentre era
in cammino verso Tallassahatchee, di subire dure rappresaglie per
mano dei Creek, il generale aveva risposto: “State tranquilli,
Aquila Rossa per ora non lo farà. Comunque, dopo che avrà incontrato
me, è certo che cambierà idea!”
[continua]