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A cura di Domenico Rizzi

La cospirazione di Pontiac

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ontiac era nato dopo il 1720, lungo le rive del fiume Maumee, nell’Ohio nord-occidentale, da padre ottawa e madre ojibwa. Secondo altre fonti, discendeva invece dai Chippewa e aveva scelto di vivere presso la tribù materna.

Racconti non sempre confermati sostengono inoltre che questo guerriero aveva partecipato, alla testa degli Ottawa, alla vittoriosa battaglia contro gli Inglesi del generale Braddock, nel 1755, mentre testimonianze più precise collocano la sua prima apparizione ufficiale nel 1757, allorchè tenne un accorato discorso in lingua francese alla guarnigione di Fort Duquesne.

Durante la guerra, nel luglio-agosto dello stesso anno Pontiac e i suoi 340 uomini furono tra i principali sostenitori di Montcalm all’assedio di Fort William Henry e presero parte, insieme agli altri Indiani, all’eccidio degli inermi Inglesi di Munro. Nel 1758, in settembre, fu poi presente alla battaglia contro le truppe del maggiore James Grant nei pressi di Fort Duquesne e riuscì ad infliggere molte perdite al nemico.

Di statura alta e figura prestante, ancorchè non bello d’aspetto, il condottiero riassumeva nella capacità oratoria e nelle qualità strategiche  le sue doti migliori.

Cessate le ostilità, aveva ricevuto benevolmente il maggiore dei Ranger, Robert Rogers, venuto a prendere possesso di Fort Michilimackinac e di altri avamposti evacuati dai Francesi, accorgendosi subito che i soldati dello “Zio George” erano più astuti e infidi dei loro avversari.

Deluso ulteriormente dagli Inglesi nella conferenza di pace promossa da Sir William Johnson con le tribù dei Grandi Laghi nel settembre 1761, Pontiac cominciò a pensare seriamente alla prospettiva di combattere per una causa indiana. Se Neolin non aveva fatto distinzioni, nelle sue requisitorie, tra Francesi e Inglesi, il nuovo leader degli Ottawa rivelò maggiore opportunismo politico, conservando l’alleanza dei primi e fingendosi inizialmente accondiscendente verso i secondi.

Da quel momento promosse riunioni segrete fra la sua tribù, i Pottawatomie, gli Ojibwa e i pochi Uroni ancora in circolazione, lavorando alacremente per costituire un’alleanza. Mentre la Pace di Parigi, siglata il 20 febbraio 1763, poneva fine alle ostilità fra la corona britannica e i Francesi, gli Indiani erano pronti a scendere nuovamente in campo.

Nelle intenzioni di Pontiac, si sarebbe dovuto trattare di una “guerra lampo”, con una serie di attacchi condotti simultaneamente contro postazioni nemiche differenti. Fra gli obiettivi del suo colpo di mano, figurava la stessa Detroit, la cittadina, fondata agli inizi del ‘700 dal francese Cadillac, che aveva acquistato una notevole importanza commerciale e strategica.

Dopo essere stato accolto, insieme ad una delegazione, all’interno di Fort Detroit per spiarne la disposizione e le difese, il 7 maggio 1763 Pontiac sferrò il primo assalto contro gli Inglesi, riuscendo a penetrare nel presidio con i suoi 300 Ottawa. L’operazione, però, quantunque studiata nei minimi particolari, fallì per la delazione di una giovane squaw, amante del comandante del forte, il maggiore Henry Gladwin. I soldati, preparati a ricevere l’attacco, scatenarono un’intensa fucileria, che costrinse gli Indiani a ripiegare repentinamente.

Indispettito per il tranello, ma intenzionato a realizzare i suoi piani, Pontiac pose l’assedio alla guarnigione, sguinzagliando una parte dei suoi guerrieri e degli alleati Pottawatomie e Uroni nei dintorni, con l’ordine di fare terra bruciata.

In poche ore gli Indiani assalirono fattorie e case isolate, rubando bestiame e uccidendo una donna con i suoi 2 bambini ad un miglio dal forte. Quindi massacrarono 4 uomini e un’altra donna a Isle Au Cochon, rubando numerosi capi di allevamento e catturando un soldato, una domestica e i 3 figli di uno degli uccisi.

Quasi contemporaneamente, il 16 maggio una seconda banda pellerossa assalì e conquistò il posto commerciale di Fort Sandusky, trucidando 14 soldati e alcuni mercanti e prendendo un militare prigioniero.

Gli Inglesi non compresero subito che quelle prime azioni di guerra preludevano ad un conflitto su scala più ampia. Infatti, in poco tempo gli avamposti assaliti risultarono 12, dei quali 9 finirono espugnati. Al culmine della rivolta, soltanto Detroit e Fort Pitt in Pennsylvania avrebbero resistito saldamente alla furia straripante degli Indiani.

Pontiac aveva lanciato l’offensiva nella convinzione che la guerra anglo-francese non fosse ancora terminata. Quando il maggiore Gladwin  fu informato, il 2 giugno, dell’avvenuta rappacificazione fra le due potenze, evitò di darne notizia agli ignari assedianti, orgogliosamente convinto di poter difendere il presidio ad oltranza contro qualunque assalitore.

Mentre perdurava l’assedio, gli Indiani continuavano a collezionare successi altrove.

Avvalendosi di gruppi operativi separati, ma collegati fra loro da un efficace sistema di staffette, espugnarono prima Fort Saint Joseph nel Michigan, quindi Fort Miami nell’Indiana – sostanzialmente conquistato grazie all’intervento della tribù dei Miami, scesa in campo a fianco di Pontiac – e infine Fort Quiatenon, pure nel territorio dell’Indiana.

In poco tempo la coalizione si arricchì di nuovi alleati: oltre ai Miami, giunsero a darle man forte anche i Kickapoo, i Wea ed altre tribù, quali gli Shawnee e i Delaware, che cingevano d’assedio Fort Pitt mentre gli Ottawa tentavano con tutti i mezzi di costringere Fort Detroit alla capitolazione.

Quest’ultimo avamposto aveva ricevuto un aiuto di 60 uomini attraverso la via d’acqua delle cascate del Niagara, ma la sorveglianza degli assedianti si era rivelata molto attenta ed efficiente. In piena estate, da Fort Niagara gli venne in soccorso il capitano James Dalyell con 246 soldati, che tentarono di sorprendere l’accampamento indiano, ma Pontiac li affrontò il 31 luglio con 400 guerrieri a Bloody Run, costringendoli a battere in ritirata con la perdita dell’ufficiale comandante e di 19 uomini.

Fort Michilimackinac, che sorgeva sul versante meridionale fra i laghi Huron e Michigan – chiamato anche Fort Mackinaw, difeso dal capitano George Etherington e da 35 militari - cadde in seguito ad uno stratagemma. La straordinaria impresa venne descritta da William H. Warren (1825-1853) un mezzosangue cresciuto fra gli Ojibwa, nel racconto “History of the Ojibways” (St. Paul, 1885) contenuto nel  volume V della collezione della Minnesota Historical Society.

Un gruppo di Ojibwa e Osage, alleati di Pontiac, convinse la guarnigione a lasciare le mura per assistere ad una partita, di “baug-ah-ud-o-way” (lacrosse) uno sport abbastanza diffuso fra i Pellirosse dell’Est. L’incontro doveva rientrare nei festeggiamenti per il compleanno del re d’Inghilterra, Giorgio III, che cadeva appunto il 4 giugno 1763.

Etherington, superata la diffidenza iniziale, uscì dal forte con il suo seguito, lasciando il portone d’ingresso spalancato. “I suoi soldati” scrisse Warren “se ne stavano fiduciosi e disarmati, mischiati alle donne indiane, le quali, un po’ alla volta, si portavano sempre più vicine all’entrata del forte, nascondendo sotto le coperte le armi che sarebbero state utilizzate per attuare l’imminente strage.”

Dopo che la guarnigione ebbe ingenuamente abboccato all’inganno, con il pretesto di recuperare una palla lanciata oltre la palizzata del forte, gli Indiani superarono la barriera. In quell’istante, alcune donne fornirono ai guerrieri le armi nascoste, i giocatori “afferrarono fucili, tomahawk e coltelli e l’eccidio incominciò: ben presto, i corpi dei soldati inglesi giacquero qua e là, senza vita, orrendamente mutilati e scotennati.”

Anni dopo, un testimone oculare raccontò ad Alexander Henry gli agghiaccianti particolari del massacro: “Osservai nelle forme più orribili e disgustose il trionfo dei barbari conquistatori. I morti venivano scuoiati e maciullati; gli agonizzanti erano torturati con asce e coltelli (…) dal corpo di alcuni cadaveri squartati i macellai bevevano il sangue, che raccoglievano nell’incavo delle mani.” (John Tebbel-Keith Kennison, “Le guerre degli Indiani d’America”, Newton & Compton, Roma, 2002,).

Nella presa di Fort Michilimackinac furono uccise 21 persone, il capitano Etherington venne catturato e si salvò grazie ad una mediazione, mentre ai commercianti francesi presenti nell’avamposto fu consentito di allontanarsi.

Appena avuto il tremendo resoconto dell’episodio, il tenente James Gorrell, che comandava Fort Edward Augustus, nel Wisconsin, ordinò tempestivamente di abbandonare il presidio.

Il divampare della rivolta aveva fatto saltare fin dall’inizio il sistema delle alleanze tradizionali. Se i Sauk, i Mingo, i Chippewa ed altre tribù avevano abbracciato subito la causa di Pontiac, la Lega Irochese era rimasta a guardare, essendo alleata degli Inglesi. La decisione, presa in giugno dai Seneca, di partecipare alla guerra insieme alle tribù algonchine, gettò nello sconforto sir William Johnson, che credeva indissolubile il legame fra la Gran Bretagna e i suoi alleati.

Ormai la rivolta dilagava in località anche molto distanti fra loro, sconvolgendo la vita degli abitanti della Genessee Valley, nel territorio di New York, della Virginia settentrionale, e a sud dei Grandi Laghi, dove cacciatori, mercanti e voyageurs cercavano scampo dalla violenza pelerossa.

L’entrata in guerra dei Seneca costituì un ulteriore brutto colpo per le difese coloniali britanniche, perché gli Irochesi assaltarono Fort Venango, nei pressi dell’odierna Franklin, in Pennsylvania e ne massacrarono gli occupanti. Invece Fort Ligonier, situato a poco più di 40 miglia da Pittsburgh, riuscì a respingere gli assalti dei Delaware.  

La “cospirazione di Pontiac”, come venne chiamata dagli storici, non sembrava avere limiti: era difficile prevederne gli sviluppi e tantomeno auspicarne una rapida conclusione.

[continua]

 

Pontiac. Racconti non sempre confermati sostengono inoltre che questo guerriero aveva partecipato, alla testa degli Ottawa, alla vittoriosa battaglia contro gli Inglesi del generale Braddock, nel 1755.

 

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