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A cura di Domenico Rizzi

Il tramonto della speranza

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ltre a Detroit, fra le roccaforti assaltate soltanto Fort Pitt resistette coraggiosamente per due mesi e mezzo, dal 29 maggio al 10 agosto 1763.
Era difeso dai 250 uomini del capitano Simeon Ecuyer, dotati di 16 pezzi d’artiglieria e i reiterati tentativi di Delaware, Mingo e Shawnee, ai quali si aggiunsero poi altre forze indiane, non raggiunsero alcun risultato.
Il tentativo di convincere gli assediati, raccontando loro che ormai tutti i forti fino al Niagara erano caduti, si tradusse però in un tremendo boomerang per gli Indiani, che avevano sottovalutato la spietata determinazione del comandante di origine elvetica Ecuyer, intenzionato a liberarsi dell’opprimente assedio con ogni mezzo. Il capitano, dopo aver ribadito ad una delegazione indiana l’intenzione di resistere, la congedò con un regalo mortale. Si trattava infatti di un paio di coperte in cui erano stati avvolti degli ammalati di vaiolo, un virus contro il quale non esisteva praticamente rimedio.
In pochi giorni, gli Indiani ne furono infettati e cominciarono a morire, allentando la morsa dell’assedio.
Nel mese di agosto sopraggiunse anche una colonna di rinforzo di due reggimenti scozzesi - fra i quali un reparto della temibile Black Watch (Guardia Nera) e un contingente della Royal American, la milizia coloniale – che, al comando dal colonnello Henry Bouquet, si scontrarono con i Pellirosse a Bushy Run e li sbaragliarono, costringendoli a liberare Fort Pitt. Il 16 agosto gli Indiani contrattaccarono le forze di Bouquet a 40 chilometri da Pittsburgh, uccidendone più di 100, ma alla fine i soldati ebbero la meglio ancora.
L’idea di Simeon Ecuyer di contaminare i Pellirosse, era già stata lanciata dal generale Jeffrey Amherst durante la Guerra dei Sette Anni, in una lettera indirizzata al colonnello Bouquet: “Farete bene ad infettare gli indiani servendovi di lenzuola fra le quali siano stati coricati degli ammalati di vaiolo, oppure di altri mezzi che possano comunque servire a sterminare questa razza maledetta” (“Sul sentiero di guerra”, a cura di Charles Hamilton, Feltrinelli, Milano, 1982, p. 169).
La guerra batteriologica diede ancora tristi risultati.
Il contagio si propagò e contribuì a fiaccare la resistenza degli uomini di Pontiac, ma non risultò determinante come pensava Amherst. L’ufficiale inglese promise allora una ricompensa di 1.000 sterline, che in seguito raddoppiò, per chi avesse ucciso il diabolico Pontiac.
Nonostante ciò, gli Indiani continuarono a battersi come leoni, infliggendo ai Bianchi altre durissime sconfitte. Sia gli Ottawa che i loro alleati respinsero vari interventi inglesi, catturando carichi fluviali e convogli di rifornimento. Nel mese di settembre 1763 i Seneca si impadronirono di una di queste carovane, in transito sulla via per Fort Niagara, uccidendo 72 fra soldati e conducenti.
Tuttavia, la coalizione di Pontiac non era riuscita a mantenere la sua compattezza iniziale, iniziando a sfaldarsi dopo pochi mesi.
Il disaccordo di alcuni capi sulla strategia da seguire, le critiche per aver infierito, in qualche occasione, sugli ex alleati francesi e soprattutto il fallimento delle spedizioni contro Detroit e Fort Pitt, incisero negativamente sul morale delle forze alleate. A questi problemi si aggiunse presto la constatazione che gli inglesi, pur sottoposti ad attacchi ininterrotti, non demordevano affatto ed erano in grado di mandare in campo un numero di soldati e miliziani sempre crescente. Inoltre, la diplomazia britannica si era data da fare per porre fine al sanguinoso conflitto, dapprima informando Pontiac dell’avvenuta pace con i Francesi, poi sollecitando la mediazione del maggiore Coulon De Villiers, comandante del presidio di Fort Chartres, in Louisiana, che si pemurò di inviare un delegato per chiedere un armistizio al condottiero degli Ottawa. Messo dinanzi alla drammatica prospettiva di proseguire la guerra con pochi uomini e privo dell’aiuto francese, Pontiac tornò nell’Illinois per ascoltare il parere di Neolin e dei capi rimastigli ancora fedeli.
Al termine dell’inverno, dopo aver riflettuto a lungo sul da farsi, sembrò rincuorato dal fatto che gli Ottawa, i Delaware, gli Shawnee e i Miami intendessero proseguire la lotta al suo fianco e decise di recarsi a Fort De Chartres per conferire personalmente con De Villiers, cercando nel contempo di acquisire nuovi alleati lungo il tragitto.
Quando raggiunse la Louisiana, il 12 aprile, convinto che i Francesi potessero ancora appoggiare la sua coalizione, scoprì amaramente che questi stavano ormai smobilitando, perché il territorio doveva passare sotto la sovranità britannica.
Al suo rientro nell’Ohio, Pontiac constatò che, dopo i Pottawatomie, anche gli Uroni, i Seneca e una parte degli stessi Ottawa si erano ritirati dal conflitto. Nonostante le defezioni, Pontiac rifiutò testardamente per diversi mesi di accettare le proposte di pace inglesi.
Nell’agosto 1764 il generale James Bradstreet partì da Fort Niagara con 1.200 uomini e raggiunse Detroit, rioccupando anche Fort Michilimackinac, ma la resistenza indiana non era cessata del tutto e in settembre i Miami lo costrinsero alla ritirata.
Poi fu la volta del colonnello Henry Bouquet, forse il maggior protagonista bianco del conflitto, che con 1.500 soldati e coloniali partì da Fort Pitt per invadere l’Ohio e costringere Delaware e Shawnee alla resa. I Pellirosse, valutata la situazione, accettarono finalmente di rilasciare 200 prigionieri, che poterono ritornare alle loro famiglie.
Pontiac decise allora di fare un tentativo per rafforzare il proprio esercito con forze fresche. Dopo avere chiesto l’aiuto degli Osage e dei Quapaw, Sioux del Mississippi appartenenti al sottogruppo medio-orientale dei Dhegiha, il condottiero sollecitò l’intervento di altre bande ojibwa dell’Illinois, ma non appena venne informato che gli Inglesi si erano assicurati l’alleanza di varie tribù, desistette dai suoi sforzi per impedire uno scontro fra Indiani.
Il conflitto era costato ai colonizzatori un numero imprecisato di morti e offriva un triste spettacolo di distruzione su un’area assai vasta.
Soltanto nell’anno 1763, il più cruciale, 400 soldati ed oltre 1.800 civili erano stati uccisi e centinaia di sudditi inglesi avevano conosciuto la dura prigionia nelle mani degli Indiani.
Le tribù alleate degli Ottawa erano state almeno 17, mentre altre avevano parteggiato per gli Inglesi. Quanto alle cifre riportate in alcuni libri di storia della Frontiera, che parlano a volte di migliaia di guerrieri pellirosse agli ordini di Pontiac, sono da ritenersi senz’altro esagerate. Secondo stime effettuate dagli Inglesi nel 1765, Ottawa, Illinois, Seneca, Shawnee, Chippewa, Pottawatomie, Sauk, Miami e Delaware potevano disporre, nell’insieme, di oltre 5.000 guerrieri, ma il condottiero ottawa non ne ebbe mai più di 1.000 ai suoi ordini, perché man mano che nuove tribù aderivano al suo invito, altre si ritiravano.
Il leader che aveva inutilmente sperato di respingere gli Europei dai territori indiani si decise a deporre le armi nella primavera del 1765.
In aprile, persa ogni residua speranza di resistere, aiutò addirittura gli Inglesi nell’opera di pacificazione, mediando fra le bande ancora in lotta. Il 25 luglio 1765 Pontiac firmò ufficialmente il trattato di pace con sir William Johnson a Oswego, nel territorio di New York, per poi fare ritorno al suo villaggio di Maumee.
Quanto a Neolin, il profeta dei Delaware, l’uomo che aveva riacceso la fiamma della speranza, cessò quasi subito di essere un protagonista. La storia smise di interessarsi di lui intorno al 1766, dopo che, ritiratosi a vivere fra gli Shawnee nell’Ohio, aveva accettato gli insegnamenti dei missionari presbiteriani.
Negli anni successivi, Pontiac si recò spesso in visita ad alcune tribù, a volte intrattenendole con discorsi che andavano sempre più perdendo di convinzione e credibilità. Quantunque animato da uno spirito combattivo inesauribile, sembrava privo della lucidità di un tempo. In realtà, tutti lo consideravano ormai un uomo avviato ad un irreversibile declino, che si arrabattava con il commercio e si ubriacava spesso. Neppure gli Inglesi, ai quali la sua guerra aveva inferto danni rilevanti, lo consideravano un pericolo reale.
Ma i Peoria, una tribù minore degli Illinois che gli serbava rancore per alcuni contrasti del passato, gli tesero un tranello. Un Indiano di nome Cane Nero ed alcuni complici andarono incontro a Pontiac nel villaggio di Cahokia, in Illinois, raggiungendolo mentre si intratteneva presso la società commerciale Baynton, Wharton & Morgan.
Il 20 aprile 1769 il capo degli Ottawa venne colpito alla nuca e successivamente pugnalato alla schiena, esalando quasi subito l’ultimo respiro. Aveva meno di cinquant’anni.
La sua tribù non ordì alcuna vendetta, mentre i Chippewa se la presero con i dipendenti della compagnia, uccidendone un paio, peraltro completamente estranei all’assassinio.
L’invidia, i contrasti e le rivalità fra tribù o fazioni tribali opposte, avevano vanificato il coraggioso tentativo degli Indiani di affermare, oltre ai propri diritti sul suolo, l’indipendenza politico-culturale minacciata dai Bianchi.   
Pochi anni dopo, i coloni inglesi d’America erano alle prese con le misure sempre più restrittive imposte dalla madrepatria e si preparavano alla ribellione armata contro la corona.
Mentre all’orizzonte si profilava la nascita di una nuova, grande nazione, che avrebbe cambiato i destini del mondo, gli Indiani dell’Est vedevano i loro sogni di libertà diventare sempre più fumosi e le residue speranze dissolversi nell’aria.

[continua]

 

Determinato. Il tentativo di convincere gli assediati, raccontando loro che ormai tutti i forti fino al Niagara erano caduti, si tradusse però in un tremendo boomerang per gli Indiani, che avevano sottovalutato la spietata determinazione del comandante di origine elvetica Ecuyer, intenzionato a liberarsi dell’opprimente assedio con ogni mezzo.

 

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