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A cura di Domenico Rizzi

L'ordinanza del Nord-Ovest

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a tesi prevalente fra gli Americani, rispetto alle obiezioni dei Pellirosse, si poteva sintetizzare in una semplice frase: “Un pugno di Indiani non può fermare i progressi della civilizzazione” (Philippe Jacquin, “Storia degli Indiani d’America”, Mondadori, Milano, 1977, p. 123).
Con il Proclama del Nord Ovest del 1787, che disciplinava l’organizzazione delle regioni ad ovest dei Monti Appalachi, venivano istituiti dei distretti, amministrati da un governatore nominato dal Congresso. Ciascun distretto diventava Territorio e poteva creare un’assemblea legislativa al raggiungimento dei 5.000 abitanti maschi di razza bianca: per poter assurgere al rango di Stato membro, avrebbe dovuto possedere invece una popolazione di 60.000 individui.
Sulla base dell’ordinanza emanata, si costituì l’immenso Territorio del Nord-Ovest, formato dagli odierni Stati dell’Ohio, Indiana, Michigan, Illinois, Wisconsin e Minnesota, aministrato dal governatore Arthur Saint Clair, generale e veterano della guerra di indipendenza.
La rapidissima crescita demografica della nuova nazione e l’arrivo costante – in forte aumento dopo la vittoriosa guerra contro gli Inglesi – di immigrati europei, avrebbero facilitato enormemente il compito ai successori di George Washington.
Nel 1790 gli Stati membri erano costituiti da: Connecticut, Delaware, Georgia, Maryland, Massachussets, New Hampshire, New Jersey, New York, North e South Carolina, Pennsylvania, Rhode Island e Virginia. Ad essi si aggiunsero, nel breve volgere di un quinquennio, Vermont, Kentucky e Tennessee.

Inoltre, il 16 luglio 1790, fu istituito il Distretto di Columbia, del quale avrebbe fatto parte più tardi la nuova capitale Washington.
Il censimento effettuato nel 1790 accertò che i cittadini statunitensi – esclusi i Pellirosse e gli schiavi importati dall’Africa – ammontavano a quasi 4.000.000. In pratica, un numero dieci volte superiore a quello di tutti gli Indiani presenti sul suolo nordamericano dalla Costa Atlantica al Pacifico, non contando gli indigeni canadesi e quelli ancora sottoposti alla sovranità ispanica (Florida, Texas, California, Arizona, Nuevo Mexico, Utah e Colorado meridionali).
Che cosa sperassero di ottenere le tribù confederate dalla potenza che le minacciava da oriente, rimane una domanda puramente accademica.
Probabilmente la maggior parte di esse era consapevole, alla luce delle negative esperienze precedenti, che una guerra totale non avrebbe sortito grandi effetti.

Tuttavia, per un’esigenza di sopravvivenza e per la dignità che ciascun popolo conservava, non era possibile intravedere soluzioni diverse dal conflitto armato, anche se questo si fosse concluso nella maniera più disastrosa.
Su questa linea priva di reali alternative, i capi dell’alleanza discussero a lungo, cercando di delineare una strategia che servisse almeno a contenere l’invadenza dei coloni.
Benchè fossero ormai lontani i tempi di Metacomet e Pontiac, ancora una volta l’abilità tattica degli Indiani avrebbe avuto il suo alfiere in un condottiero audace ed intelligente.
Quest’uomo si chiamava Michikimikwa (Piccola Tartaruga) ed era nato nel territorio dell’Indiana intorno al 1752, da padre miami e madre mohicana. Durante la Rivoluzione aveva fornito un valido appoggio agli Inglesi, sconfiggendo il contingente francese guidato da Augustine de La Balme, respinto con la perdita di 80 soldati mentre cercava di riconquistare Detroit.
Intorno a questo “leader” trentottenne si riaccesero presto le speranze delle tribù piantate in asso dagli ex alleati britannici e assediate dalla civilizzazione.
Sarebbe stata una nuova, prepotente riaffermazione dell’orgoglio pellerossa: un’effimera ascesa seguita dalla immancabile, rovinosa caduta.

[continua]

 

Invadenza. Su questa linea priva di reali alternative, i capi dell’alleanza discussero a lungo, cercando di delineare una strategia che servisse almeno a contenere l’invadenza dei coloni...

 

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