unificazione delle tribù era stata soprattutto
merito di questo capo dei Miami, di Pachgantschilhilas dei Delaware
e di Weyapiersenwah, o Giacca Blu, condottiero degli Shawnee.
George Washington, eletto presidente degli Stati Uniti nel 1789, era
combattuto fra l’esigenza di riservare agli Indiani un trattamento
equo – secondo quanto scrisse al marchese di Lafayette, suo alleato
durante l’insurrezione americana – e la necessità di garantire la
pacifica espansione dei coloni verso i nuovi territori.
Di fronte alla evidente ostilità della confederazione pellerossa,
della quale non si poteva certo ignorare la pericolosità, il
governatore Saint Clair non vide altra possibilità che cercare di
intimorirla con l’invio di un forte contingente militare.
Pertanto, il generale Josiah Harmar partì da Fort Washington il 13
settembre 1791, muovendo incontro agli Indiani radunati sul fiume
Miami con un ridotto contingente regolare di 320 soldati, supportato
però da 600 miliziani del Kentucky e da altri 230 volontari di
provenienze diverse. La scarsa stima che molti colleghi nutrivano di
questo ufficiale, nonostante il suo impegno durante la Rivoluzione,
era dovuta soprattutto alla sua smodata passione per il bere.
Dopo avere ispezionato una serie di villaggi distrutti e incendiati
dai Miami che ripiegavano, Harmar pose l’accampamento, inviando il
maggiore Hardin, con 180 uomini, ad inseguire i fuggitivi.
Piccola Tartaruga attirò l’avanguardia in
un’imboscata e la decimò, costringendo i superstiti alla fuga
precipitosa. Quindi, con una forza non inferiore ai 2.000 guerrieri,
sferrò l’attacco contro il grosso delle truppe di Harmar,
sbaragliandole e costringendole ad una umiliante ritirata. Gli
Americani lasciarono sul terreno 150 morti e si portarono via
parecchie decine di feriti, ma il loro comandante ebbe l’impudenza
di vantarsi, nel rapporto inviato ai superiori, di avere sconfitto
gli Indiani.
Il Congresso pretese che venisse aperta un’inchiesta e tanto Harmar
che Hardin finirono davanti ad un tribunale militare, dal quale
furono sorprendentemente scagionati. Un anno più tardi, però, il
generale avrebbe rassegnato le dimissioni dall’esercito.
Le perdite subite dai pellirosse non vennero mai accertate, ma è
probabile che non fossero state inferiori a quelle americane.
Nell’autunno successivo, alla fine di ottobre, il generale Saint
Clair in persona assunse il comando di una nuova colonna,
inizialmente composta da quasi 2.000 uomini. Tuttavia, quando il
contingente si accampò nella regione dei Miami, il 3 novembre 1792,
500 fra soldati e miliziani, scontenti della misera paga di 3
dollari al mese e poco motivati, avevano già disertato lungo la
strada, diminuendo sensibilmente la consistenza del corpo di
spedizione.
Obiettivo di Saint Clair era di fondare un avamposto circa 120
miglia a nord-ovest di Fort Washington, incuneandosi nel cuore del
territorio dei Miami.
L’avamposto sarebbe servito anche a sorvegliare
le postazioni che gli Inglesi non avevano ancora evacuato,
ufficialmente per garantire il rispetto delle clausole contenute nel
trattato di Parigi.
Saint Clair non possedeva sufficiente esperienza di guerra indiana
ed era poco propenso ad ascoltare la voce del suo stato maggiore,
che comprendeva anche uomini di provata capacità e conoscenza dei
Pellirosse. Perciò dispose il proprio accampamento sulle rive di un
torrente, in un luogo ritenuto facilmente difendibile in caso di
attacco, proteggendosi al centro con l’artiglieria e mandando i
miliziani a snidare gli Indiani dalla foresta.
La mattina del 4 novembre, poco prima che facesse chiaro, un
improvviso assalto pellerossa sgominò e mise in fuga le milizie,
piombando quasi subito addosso alla fortificazione di Saint Clair.
La battaglia si accese dovunque, con grandi
perdite da ambo le parti. Wyandot e Delaware attaccarono dal lato
occidentale, i Seneca costrinsero le truppe da quello orientale,
prendendo il contingente tra due fuochi. I soldati regolari,
impostati ancora a ranghi serrati, combatterono coraggiosamente
subendo notevoli perdite, mentre gran parte dei miliziani abbandonò
lo scontro e si diresse verso Fort Jefferson, distante circa 30
miglia, riuscendo a raggiungerlo verso il tramonto.
Al termine di una resistenza durata tre ore, Saint Clair comprese
che la battaglia era perduta e si decise ad ordinare il
ripiegamento, ma ormai le sue forze erano già in rotta e non
seguivano più i richiami degli ufficiali. A differenza di Harmar, il
governatore ebbe il coraggio di scrivere nella sua relazione che,
dopo aspri combattimenti, i suoi uomini si erano dati alla fuga in
massa.
La disfatta era stata una delle peggiori subite dagli Americani
nell’intera storia delle campagne contro gli Indiani. Il suo
esercito aveva perso 39 ufficiali e circa 870 uomini. Durante la
ritirata, erano stati abbandonati nelle mani dei guerrieri di
Piccola Tartaruga i cannoni, molti fucili e il grosso dei
rifornimenti.
“La maggioranza degli uomini” annotò Saint
Clair “ha gettato via armi ed equipaggiamento…” (J. Tebbel-K.
Jennison, “Le guerre degli Indiani d’America”, Newton Compton, Roma,
2002, p. 94).
La notizia raggiunse la capitale di allora, Philadelphia, quattro
giorni dopo e la stampa vi diede un’ampia risonanza.
Mentre Piccola Tartaruga si godeva la sua eclatante vittoria, molti
politici, che avevano creduto di regolare facilmente la questione
indiana, dissuadendo i selvaggi con una semplice esibizione di forza
dell’esercito, dovettero ricredersi in fretta.
[continua]