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A cura di Domenico Rizzi, immagini di Renato Ruggeri

La nuova frontiera

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entre gli Stati Uniti ponevano fine alla dominazione spagnola in Florida e i Seminole arretravano verso l’interno della regione, la Vecchia Frontiera si trasferiva sempre più ad occidente.

Il West dei primi decenni dell’Ottocento – Kentucky, Tennessee, Ohio, Louisiana, Indiana, Illinois, Mississippi, Alabama e Missouri – era passato, nel periodo 1810-1820, da 1 milione a 2.200.000 abitanti, rappresentando il 23% della popolazione USA, salita complessivamente ad oltre 9 milioni e mezzo di persone. Dalla conquista dell’indipendenza, nel 1783, la popolazione americana di razza bianca aveva registrato un aumento di 6.800.000 unità, quella nera di 1.270.000, costituendo, con 1.771.000 individui, oltre il 18% degli abitanti degli Stati Uniti. 

Gli Indiani o Amerindi, invece, erano scesi a poco più di 460.000, concentrati, per l’80%, nell’area centro-occidentale.

La fortunata spedizione di Meriwether Lewis e William Clark nel 1804-06, aveva avuto un effetto trascinante sull’espansione verso ovest, mobilitando centinaia di cacciatori di pellicce alla conquista delle terre vergini situate al di là del fiume Mississippi. L’immensa prospettiva commerciale offerta dalle pelli di castoro esercitò infatti un richiamo irresistibile per i “trapper”, che si riversarono nel Nord-Ovest al seguito di Manuel Lisa – fondatore della Compagnia del Missouri nel 1808 – e John Jacob Astor, che aveva dato vita poco tempo dopo alla Compagnia Americana delle Pellicce. Nel frattempo, anche la Compagnia Canadese del Nord-Ovest e la Compagnia della Baia di Hudson, che vantava ormai un secolo e mezzo di attività – avevano infiltrato i loro cacciatori nelle aree corrispondenti agli attuali Stati del Montana, dell’Oregon e dello Washington. Più tardi sarebbe comparsa sull’alto Missouri anche la Compagnia Americana delle Pellicce di Kenneth Mackenzie, mettendosi in concorrenza con le altre società operanti nell’area del fiume Yellowstone e dei suoi affluenti.

Il secondo fronte aperto dagli Americani in direzione centro- meridionale aveva come obiettivo il Texas e il Nuovo Messico, territori appartenenti alla Spagna, come l’Arizona, la California e buona parte di Utah, Nevada e Colorado.

Dopo la lunga ricognizione compiuta nel 1806 dal tenente Zebulon Montgomery  Pike, arrestato e poi rilasciato dalle autorità di Santa Fè, l’interesse dei mercanti del Missouri verso le regioni del Sud-Ovest era cresciuto notevolmente. Tuttavia, prima che potesse svilupparsi il commercio fra gli Stati Uniti e la colonia spagnola, qualche Americano aveva già preso l’iniziativa di assicurarsi alcune delle zone più fertili del Texas.

Nel 1820 Moses Austin aveva infatti ottenuto il permesso di condurre un consistente gruppo di coloni del Missouri in territorio texano, per insediarsi a San Felipe de Austin. Suo figlio Stephen avrebbe poi proseguito l’opera, aumentando considerevolmente la presenza degli abitanti di lingua inglese oltre il Fiume Rosso. Nel 1822 portò nel Texas 150 persone, due anni più tardi ne attirò altre 272, convincendo le autorità messicane che lo sviluppo della regione richiedeva necessariamente l’arrivo di altri Americani. Incautamente il Messico si lasciò indurre a concedere, pochi anni dopo, quasi 4.500 acri di terra ai nuovi coloni.

La cacciata degli Spagnoli dal Messico nel 1821 spianò decisamente la strada all’immigrazione dagli Stati Uniti. Una legge varata dalla nuova repubblica nel 1824 consentì infatti agli immigrati di ottenere terre in abbondanza nella regione, permettendo loro di portarsi dietro gli schiavi negri.

Nel frattempo, a partire dal 1822, la Repubblica del Messico aveva aperto la frontiera nord-orientale ai commercianti americani del Missouri, che dopo la spedizione condotta da William Becknell cominciarono a praticare la nuova Pista di Santa Fè con i loro carri carichi di mercanzie. Per almeno un decennio gli scambi furono elevati e proficui. Dopo che, nel 1824, un convoglio composto da 25 carri e scortato da 81 uomini aveva venduto merce del valore di 30.000 dollari ricavandone 180.000 in oro ed altri 10.000 in pellicce, Thomas Hart Benton persuase il Congresso a stanziare fondi per la pista e a disporre scorte militari per difendere i convogli dai frequenti attacchi di Pawnee, Kiowa e Comanche.

L’espansione americana era proseguita anche verso l’estremo Ovest toccato nel 1805 da Lewis e Clark. Con una convenzione stipulata nel 1818, Stati Uniti e Gran Bretagna avevano concordato la comune occupazione del territorio dell’Oregon. Tre anni più tardi, la Compagnia Canadese del Nord-Ovest e la Compagnia della Baia di Hudson fecero di Fort Vancouver la più importante base commerciale della zona, sotto la direzione del dottor John Mc Loughlin, divenuto famoso come “Il Re del Vecchio Oregon”.

In California, gli Spagnoli avevano cominciato a preoccuparsi seriamente dell’ingerenza dei cacciatori russi dell’Alaska verso la metà del XVIII secolo, inviando il capitano Gaspar de Portola per esplorare la regione allo scopo di presidiarla militarmente. Come conseguenza della ricognizione, vennero create postazioni di truppe a San Diego e a Monterey. Quindi, tra il 1789 e il 1823, la Spagna favorì l’insediamento di 21 missioni cattoliche, dislocate fra San Diego e Sonoma. Ovviamente, se questo esiguo baluardo poteva bastare ad arginare i Russi, non sarebbe stata sufficiente, un ventennio dopo, a difendere i possedimenti dall’invadenza statunitense.

Anche la situazione del Texas si era fatta critica a pochi anni dall’iniziativa degli Austin. Nel 1827 gli “Anglos”, i cittadini di lingua inglese provenienti dagli USA, erano diventati 10.000, in massima parte giunti dal Kentucky e dal Tennessee, mentre i residenti di lingua spagnola ammontavano a sole 2.700 persone.

Inutilmente il generale messicano  Manuel de Tiery y Teran lanciò un monito alla autorità di Città del Messico: “O il governo occupa il Texas adesso, o questo è perduto per sempre” (Jon E. Lewis, “Alla conquista delle Grandi Pianure”, Piemme, Casale M., 1998, p. 69).

I fatti avrebbero confermato, di lì a poco tempo, la sua pessimistica previsione. Nel 1830, anche per effetto del crescente arrivo di abusivi, gli Americani erano diventati 20.000, con un seguito di circa 1.000 schiavi, mentre i Messicani non superavano il numero di 3.000. L’insurrezione del Texas per liberarsi dell’occupazione messicana era ormai questione di pochi anni.

L’accoglienza dei Pellirosse occidentali nei riguardi di Lewis e Clark era stata più che cordiale, tant’è vero che nei due anni di viaggio attraverso più di 7.600 miglia, la spedizione non aveva perduto un solo uomo in scontri a fuoco: l’unica perdita, il sergente Charles Floyd, era deceduto in seguito ad una malattia.

Inoltre, una preziosa guida degli Americani si era rivelata Sacajawea, la giovanissima sorella di un capo degli Shoshone andata in moglie all’anziano cacciatore franco-canadese Toussaint Charbonneau, che l’aveva riscattata da una tribù sioux dov’era tenuta come schiava. Secondo alcune voci, la ragazza avrebbe avuto anche una storia sentimentale segreta con il capitano William Clark, uno dei due comandanti della missione.

Mentre gli Spagnoli tentavano sterilmente di contrastare il progetto di conquista del presidente Jefferson, inviando nel 1804-06 ben quattro spedizioni verso il nord – una di esse si spinse fino al Nebraska, ma nessuna entrò in contatto con gli Statunitensi – la “Grande Louisiana” cominciava ad attirare l’attenzione di esploratori e uomini d’affari. Il fatto che fosse sconfinata e pressochè disabitata da uomini di razza bianca, pur essendo appartenuta alla Francia per diversi anni, non sembrava costituire un problema per i “mountain men”, che già nel 1806 avevano fatto di alcune aree il loro regno.

L’interesse americano verso le Grandi Pianure che si estendevano dal Missouri-Missisippi fino alle Montagne Rocciose venne invece raffreddato, almeno fino alla metà del XIX secolo, dalla negativa relazione fornita dal maggiore Stephen H. Long nel 1819, che parlava di aree desertiche ed inospitali, impossibili da sfruttare e praticamente inutili. Ciò avrebbe permesso agli abitatori di quelle selvagge solitudini – Sioux, Cheyenne, Arapaho, Piedi Neri, Pawnee, Comanche, Kiowa e molte altre tribù – di sopravvivere all’ondata colonizzatrice per vari decenni.

La massiccia invasione dell’Oregon e della California nel 1830-1850 affrettò invece la fine degli Indiani più occidentali in breve tempo. Su 133.000 Pellirosse stimati in California prima della conquista americana, completata nel 1848, ne sopravvivevano circa 80.000 al momento dell’annessione, ma nel 1867 questi erano ridotti a 20.000 e nel 1903 a soli 4.000.

Gli Indiani delle Pianure e gli abitatori delle lande desertiche in Arizona, Utah, Nevada e New Mexico non erano molto numerosi neppure al tempo dell’arrivo di Lewis e Clark e di Zebulon Pike.

Forse i cacciatori della prateria totalizzavano nell’insieme 150.000 persone, mentre quelli del Sud-Ovest semi-desertico – Pueblo, Apache, Navajo, Pima, Papago, Gosiute, Yavapai, Mohave, ecc. - erano suppergiù 50.000. Tutto il resto – Californiani, tribù costiere del Nord-Ovest e del Gran Bacino – potevano comprendere al massimo altri 200.000 individui agli inizi dell’Ottocento, confermando la stima globale di 400.000 nativi effettuata al momento dell’acquisto della Louisiana.

La scarsa propensione degli emigranti  per le Grandi Pianure portò dunque ad una concentrazione degli insediamenti soltanto in alcune aree. Dapprima il flusso migratorio interessò il Texas, che nel 1835 possedeva già più di 30.000 abitanti di razza bianca; in seguito i pionieri presero di mira la fertile vallata del fiume Willamette, nel lontano Oregon. Dal 1830 in poi, la gente che affrontava il lunghissimo viaggio verso la costa del Pacifico potè contare su una serie di avamposti dove approvvigionarsi e riposare.

Questi forti furono soprattutto Fort Laramie e Fort Bridger nel Wyoming, Fort Benton lungo il fiume Missouri nell’odierno Montana, ed altri disposti lungo la pista – Fort Ogden’s Hole, Fort Hall, Fort Boise, Fort Walla Walla – fra l’Idaho e l’Oregon.

Guide intrepide ed esperte, quali il capitano Louis de Bonneville, Thomas Fitzpatrick, William Sublette, Jedediah Smith e Jim Bridger – fecero da battistrada alle prime carovane dirette all’estremo occidente. Quasi nel contempo, i fratelli William e Charles Bent, fondavano l’omonimo avamposto nel Colorado, invitando una parte dei Cheyenne e Arapaho a trasferirsi nella regione per commerciare con i loro trapper.  

La spinta verso Ovest era dovuta alla fame di terre causata dall’incessante arrivo di Europei sul suolo americano. Difatti, dal 1820 al 1825 ne sbarcarono 49.000, dal 1826 al 1830 gli immigrati furono 103.000, mentre nel successivo quinquennio sarebbero saliti addirittura a 253.000.

Qualche Indiano d’oltre Mississippi, assistendo al transito delle carovane nel Nebraska e Wyoming negli Anni Trenta del XIX secolo, osservò che, continuando di quel passo, tutti i Bianchi dell’Est si sarebbero trasferiti in occidente, lasciando le loro città completamente vuote.

Non sapeva dell’esistenza di un continente, al di là dell’Oceano Atlantico, che avrebbe rifornito l’America di milioni di braccia, prendendo il controllo assoluto delle terre scoperte da Colombo e relegando i Pellirosse in aree sempre più anguste.

Anche gli Indiani dell’Ovest avevano già combattuto gli Europei durante i secoli XVI, XVII e XVIII.

Dopo la rivolta di Popè contro gli Spagnoli nel 1680, Apache, Comanche e Navajo si erano affrontati più volte sul campo con i discendenti di Cortès, compiendo incursioni nei loro insediamenti, dove uccidevano gli uomini, rapivano donne e bambini e razziavano il bestiame.

A nord e a nord-ovest, anche commercianti e cacciatori britannici avevano avuto a che fare con i Pellirosse ostili, ma per molti anni ancora gli scontri di maggior rilievo sarebbero avvenuti soprattutto fra tribù rivali. Quando si inasprì la contesa fra Canada e Stati Uniti, agenti britannici cercarono di sobillare gli indigeni della fascia di confine con la Grande Louisiana e l’Oregon per respingere esploratori e trapper americani dalla contrada. Secondo quanto scrisse il generale Philip St. George Cook nel 1823, i Piedi Neri del Montana, oltre che perennemente in guerra con Assiniboine, Mandan, Minetaree, Crow e Sioux, erano la tribù più ostile e pericolosa verso gli Americani, essendo “incitati dai trafficanti inglesi.”

Anche lungo la Pista di Santa Fè i Pawnee e i Comanche portarono i loro assalti alle carovane dei mercanti del Missouri dirette nel Nuovo Messico provocando l’intervento dell’esercito. Infatti, nel 1828 il colonnello Henry Leavenworth lasciò la postazione di Jefferson Barracks, nel Missouri, con 4 compagnie del Terzo Reggimento Fanteria, per fondare il forte che da lui prese nome nel Kansas. Fort Leavenworth raggiunse dopo pochi anni una guarnigione di 440 uomini: diventerà poi un’importante base durante la guerra fra Stati Uniti e Messico nel 1846-47.

Preoccupati della minaccia portata agli emigranti dalle tribù insediate a nord del fiume Platte – Lakota-Sioux, Cheyenne, Arapaho ed altre – il governo deciderà nel 1849 di militarizzare Fort Laramie, una base commerciale situata nelle praterie sud-orientali del Wyoming.

Ma molto prima che questi eventi si verificassero, i cacciatori di pellicce avevano già sostenuto diversi scontri a fuoco con gli Indiani delle tribù occidentali.

Nella primavera del 1823 il Sesto Reggimento Fanteria attuò una rappresaglia contro un villaggio di Arikara lungo il fiume Missouri, per punire le azioni di guerra compiute a danno dei “mountain men”. Giacomo Costantino Beltrami, un magistrato italiano in visita al Midwest in quegli anni, scrisse in proposito nei suoi diari di viaggio: “Una compagnia americana, la Missouri Fur Company, ha inventato una nuova forma i sfruttamento dei paesi indiani, che è un altro attentato alla proprietà di queste popolazioni e si aggiunge alle vessazioni che la cupidigia delle nazioni civili esercita su di loro dalla scoperta dell’America. La Compagnia, dunque, ha assoldato un gruppo di uomini per esercitare la caccia laddove essa è più redditizia, per usurpare quindi e distruggere il solo mezzo di esistenza che rimane a questi infelici…” (Giacomo C. Beltrami, “La scoperta delle sorgenti del Mississippi”, Bergamo, 1955, p. 212).

Durante il periodo delle esplorazioni e della caccia sistematica agli animali da pelliccia, gli Indiani uccisero diversi Bianchi, alcuni dei quali vantavano una certa notorietà Fra questi, vi furono due membri della spedizione di Lewis e Clark – John Potts e George Drouillard, caduti sotto i colpi dei terribili Piedi Neri – e il giovane Jedediah Smith, abbattuto dai Comanche nel 1831 nell’arido bacino del Cimarron. Invece John Colter, scopritore dei “geyser” nell’attuale Parco di Yellowstone, nel 1808 sfuggì miracolosamente agli Indiani che avevano ucciso il suo amico Potts. Ma questo ed altri spaventi successivi, come una seconda fuga da un’altra banda di Piedi Neri, ne avrebbero probabilmente determinato la morte per itterizia pochi anni dopo.

Colter aveva lasciato quel “maledetto West” giurando di non rimettervi più piede.

Ma ad oriente del Mississippi, decine di migliaia di uomini e donne – contadini, diseredati, gente in cerca di ricchezza o desiderosa di iniziare una nuova vita in terre lontane - aspettavano solo il momento di partire per la loro grande avventura.

Il “destino manifesto” della nazione, nonostante le critiche degli scettici, si sarebbe compiuto.

[continua]

 

Passaggio. Qualche Indiano d’oltre Mississippi, assistendo al transito delle carovane nel Nebraska e Wyoming negli Anni Trenta del XIX secolo, osservò che, continuando di quel passo, tutti i Bianchi dell’Est si sarebbero trasferiti in occidente, lasciando le loro città completamente vuote.

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Sotto: Meriwether Lewis

William Clark

John Jacob Astor

Zebulon Montgomery Pike

 

 

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