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A cura di Domenico Rizzi, immagini di Renato Ruggeri

Nelle terre dei Sauk e Fox

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entre gli Uomini Bianchi - alcuni affamati di terre da coltivare, gli altri attratti dal gigantesco affare rappresentato dalle pellicce pregiate - si spingevano sempre più verso occidente, gli Indiani del Middle West assistevano con preoccupazione alla loro inarrestabile avanzata. Tutte le tribù che vi si erano opposte nei precedenti due secoli, alle fine avevano dovuto cedere il passo a questi spietati invasori, il cui numero cresceva di anno in anno. Una dopo l’altra, le popolazioni native erano state sgominate dalla forza degli avversari, nonostante la loro tenace resistenza e la guida di grandi condottieri.

Non erano riusciti a fermare i Bianchi chiamati Inglesi né Powhatan, né Opechancanough e neppure Re Filippo e Pontiac, così come, più tardi, Tecumseh, Piccola Tartaruga e William Weatherford avevano fallito nel tentativo di arginare la travolgente marcia degli Americani.

I Sauk e i Fox, tribù algonchine federate dal 1730 circa, si trovavano in quella fascia che, agli inizi del XIX secolo, cominciava ad interessare i colonizzatori. I primi, chiamati Osakiwug, cioè “popolo della terra gialla”, vivevano dunque insieme ai Meskwa Kihung, il “popolo della terra rossa”, comunemente detto dei Fox, dal nome di un fiume lungo le cui rive erano dislocati i loro accampamenti.

Originariamente le due tribù provenivano dall’Illinois ed avevano sostenuto vari scontri, appoggiati dai Dakota, sia con i Francesi che con i Chippewa, ma verso il 1780 questi ultimi erano riusciti a prevalere. Per le tribù di ceppo sioux era così cominciato l’esodo verso occidente, mentre per i Sauk e Fox la permanenza nelle terre dell’Illinois si faceva sempre più precaria.

Nel 1804, con l’arrivo degli Americani, i due popoli furono costretti a cedere porzioni di territorio ai coloni e ciò diede inizio a disaccordi interni, che finirono per sfociare in vere e proprie ostilità. Infatti, durante la guerra del 1814 tra Inglesi e Americani, le tribù si divisero in fazioni opposte, schierandosi chi con l’uno e chi con l’altro contendente.

Un uomo, considerato valoroso ed intransigente difensore del diritto degli Indiani a conservare le proprie terre, portò i suoi seguaci ad affiancare Tecumseh nel conflitto che lo avrebbe visto perdente. Un altro, per certi aspetti più saggio e opportunista, appoggiò invece la causa degli Stati Uniti e ne ebbe alla fine qualche vantaggio in più.

Il primo rispondeva al nome di Falco Nero – ma il suo appellativo in lingua sauk era il quasi impronunciabile “Ma-ka-tai-me-she-kia-kiak, dal significato equivalente a “Sparviero Nero”. Il secondo era conosciuto come Keokuk o “Kiyo Kaga”, significante “Colui che si muove cautamente”.

Negli anni successivi al termine della guerra, il destino di quella che veniva considerata come l’unica tribù dei Sauk e Fox si svolse principalmente intorno a questi due leader molto diversi l’uno dall’altro.

Ancora una volta, come già nel passato, il contrasto dilaniante fra due ideologie opposte si sarebbe concluso con l’eroico sacrificio della parte più intransigente.

Stava per scoppiare l’ennesima guerra di frontiera fra Indiani e Bianchi e la sua conclusione, visti i risultati precedenti, poteva essere soltanto ovvia.

 

FALCO NERO 

Era nato alla foce del Rock River, Illinois, nel 1767.

Le sue prime esperienze di guerra risalivano probabilmente all’epoca in cui stava per terminare la lotta per l’indipendenza americana, quando Falco Nero aveva 15 anni.

Il ragazzo si era infatti distinto in più di un’occasione nelle battaglie contro i tradizionali nemici della sua gente, che erano molti. A 20 anni aveva già guidato i Sauk, come capo di guerra, in una vittoriosa spedizione contro gli Osage, di lingua sioux e poi si era preso un’altra soddisfazione sconfiggendo i potenti Cherokee. In seguito, Falco Nero aveva preso parte a numerosi scontri con le medesime tribù, riuscendo quasi sempre ad ottenere affermazioni di prestigio.

Nel 1812, allo scoppio della guerra anglo-americana, il leader non aveva esitato a prendere le parti dei Canadesi, provocando così la prima seria spaccatura all’interno della sua tribù, allorchè Keokuk, molto più giovane di lui, si era dichiarato favorevole alla causa statunitense. Falco Nero si era scontrato con i nemici dalla bandiera a stelle e strisce a Frenchtown, Fort Meighs e Fort Stephenson, ma probabilmente aveva anche appoggiato Tecumseh nella battaglia del fiume Thames.

Fin dalla prima giovinezza, il condottiero si era sentito attratto dalle gesta di Pontiac e soprattutto dal suo progetto di unificare gli Indiani per frenare la dilagante conquista dei Bianchi, obiettivo perseguito dallo stesso Tecumseh e da suo fratello Tenskwatawa.

Terminata la guerra, il rivale Keokuk aveva pattuito con gli alleati americani il trasferimento dei propri seguaci nelle terre dello Iowa. Invece Falco Nero, ostinatamente fedele ai suoi principi e per nulla disposto a cedere a pressioni, era andato in cerca di alleanze, guadagnandosi quelle dei Winnebago, dei Pottawatomie e dei Kickapoo. Da quel momento era nato un clima di tensione, sfociato ripetutamente in azioni di guerriglia, fra i Pellirosse ed i coloni provenienti da oriente.

Come Tecumseh, anche il capo dei Sauk nutriva grande fiducia negli amici inglesi. Infatti si recò più volte a Fort Malden, nell’Ontario, per sostenere le ragioni del suo popolo e denunciare l’invadenza americana, ma le autorità britanniche lo sostennero soltanto a parole, evitando di compromettere, con interventi diretti, i rapporti con il potente vicino.

Nel 1831 i coloni americani, stanchi di essere minacciati, si rivolsero al governatore dell’Illinois, John Reynolds, invocando la sua protezione. Questi chiamò alle armi la milizia dello Stato, inviando 700 uomini al comando del generale Edmund P. Gaines. L’ufficiale però, il 20 giugno scrisse che i Sauk: “…a prescindere dai loro sentimenti di ostilità, sono decisi ad astenersi dall’uso di asce e armi da fuoco, se non per difesa personale” ed aggiunse di averne “persuaso un terzo ad attraversare il Mississippi per occupare altre terre” dicendosi invece sorpreso che fossero le donne ad incitare “i mariti a combattere, non a lasciare le case e a spostarsi.” (J.Tebbel, Keith Jennison, op. cit., pp. 130-31).

Dopo un primo, improduttivo incontro fra Gaines e Falco Nero, intavolata una nuova trattativa gli Indiani acconsentirono a passare il Mississippi, dietro la promessa dei coloni di fornire alla sua tribù una congrua quantità del raccolto di grano.

Secondo i Sauk, l’accordo venne violato dai Bianchi, che consegnarono loro soltanto una misera parte di quanto avevano concordato. Perciò, nel corso dei mesi successivi, gli Indiani attraversarono più volte il fiume per riappropriarsi di ciò che ritenevano di loro diritto. Intanto Falco Nero si impegnò a fondo per dare vita ad una grande federazione indiana, guadagnandosi l’appoggio anche di alcune bande sioux e del profeta winnebago Waubeshill, noto come Nuvola Bianca, un uomo considerato di grande carisma.

Probabilmente confidando nel sostegno divino, il leader si decise a rimettere piede nelle antiche terre dei Sauk per riappropriarsene.

Nell’aprile del 1832, 2.000 Pellirosse – fra i quali oltre 500 guerrieri – ritornarono nella vallata del fiume Rock, dove sostarono in attesa di rinforzi da parte dei Pottawatomie e dei Winnebago. Ma le speranze di Falco Nero andarono subito deluse, perché al suo contingente si unirono soltanto piccole bande dal peso militare trascurabile, mentre l’aiuto che si aspettava dagli Inglesi si rivelò una mera illusione.

Intanto il suo gesto non era passato inosservato fra gli Americani, che questa volta si decisero a stroncare la ribellione mobilitando migliaia di uomini.

La guerra di Falco Nero stava andando incontro, come tutti i precedenti tentativi di scacciare i Bianchi, ad un tragico epilogo.   

 

Interessi. I Sauk e i Fox, tribù algonchine federate dal 1730 circa, si trovavano in quella fascia che, agli inizi del XIX secolo, cominciava ad interessare i colonizzatori.

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Sotto: Un capo dei Sauk

Un guerriero Fox

 

 

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