a rivolta di Pontiac non era stata l’unica ad insanguinare la
Frontiera nella seconda metà del XVIII secolo. Nonostante fra i
Cherokee e gli Inglesi vi fossero sempre stati rapporti di amicizia
e collaborazione, suggellati nel 1730 dal trattato di Dover, dopo la
costruzione dei forti Prince George in South Carolina e Loundon nel
Tennessee le relazioni cominciarono a guastarsi.
L’azione dei missionari si era fatta sentire fin dal 1752 e molti di
questi Indiani avevano accettato di convertirsi al Cristianesimo, ma
nel 1758 la tensione causata dall’invadenza dei coloni sfociò in un
atto di guerra. Il “casus belli” fu provocato dal furto di alcuni
cavalli ad opera dei Cherokee, a cui gli Inglesi replicarono con una
rappresaglia, uccidendo qualche guerriero. In seguito a ciò, gli
Indiani assediarono le fattorie e tagliarono le vie di comunicazione
e nel 1759 il governatore della South Carolina, William H. Lyttleton,
fece catturare alcuni capi, che vennero condotti a Fort Loundon.
Nel gennaio successivo le razzie indiane ripresero e diversi coloni
furono uccisi, per cui gli Inglesi giustiziarono gli ostaggi. Poi il
colonnello Archibald Montgomery, per ordine del generale Jeffrey
Amherst, invase il paese dei Cherokee con 1.250 uomini, aiutato da
guide della tribù dei Catabwa, di lingua sioux. Dopo un durissimo
scontro ad Etchoe, gli Indiani dovettero ripiegare, ma le imboscate
e gli atti di guerriglia continuarono per alcuni mesi, finchè un
secondo contingente britannico, forte di 2.500 uomini e guidato dal
colonnello James Grant, non devastò i villaggi nemici, distruggendo
tutto ciò che si trovava sul suo cammino. Il trattato firmato nel
1761 costrinse infine i Cherokee a cedere all’Inghilterra una buona
parte dei loro territori.
Pochi anni dopo scoppiarono le ostilità fra gli Shawnee e il
governatore della Virginia, Lord John Murray Earl di Dunmore, che
aveva esteso la colonizzazione ad alcune aree della Pennsylvania e
del Kentucky. La protesta dei capi indiani, recatisi in delegazione
a Pittsburgh per chiedere un risarcimento, provocò invece il loro
arresto. Alcuni di essi furono poi uccisi dai coloni inglesi dopo il
rilascio, scatenando le ostilità. Il villaggio di Yellow Creek pagò
con 12 morti questo gesto insensato e da quel momento i Pellirosse
si misero sul piede di guerra. Alla fine di aprile del 1774 i
Bianchi vendicarono l'eccidio uccidendo proditoriamente una
quindicina di Indiani, fra i quali sette parenti del capo Tahgahyute,
un mezzosangue seneca chiamato anche Logan. A questo punto la guerra
rischiava di diventare generale, essendo stati chiamati in causa
anche gli Irochesi e i Delaware, ma l’abilità diplomatica degli
Inglesi riuscì a scongiurare il peggio.
Un numeroso contingente di 2.500 uomini, comprendente unità di
ranger e della milizia coloniale, invase le terre degli Shawnee,
avanzando su due colonne principali. La prima, diretta da Lord
Dunmore, seguì il corso del fiume Ohio, mentre la seconda, composta
da un migliaio di effettivi, muoveva verso sud al comando del
colonnello Andrew Lewis.
Lo scontro più duro avvenne il 10 ottobre 1774 lungo il fiume
Kanawha, in un posto chiamato Point Pleasance. Il capo Hokolesqua,
noto anche come Cornstalk, condusse 1.000 guerrieri all’assalto
della colonna di Lewis, accampata alla confluenza del Kanawha con il
fiume Ohio e la sbaragliò, uccidendone il comandante, 7 ufficiali,
66 sottufficiali e soldati e ferendo 140 uomini. Secondo
testimonianze indiane, le perdite degli Shawnee non andarono oltre i
22 morti ed una ventina di feriti.
Ma la guerra non durò per molto tempo, perché in ottobre gli
Indiani, consapevoli di non essere in grado di fermare l’avanzata
britannica, si decisero a negoziare la pace.
Da alcuni mesi, nelle colonie nordamericane era in atto un fermento
che avrebbe portato, entro pochi mesi, alla rivolta armata contro la
madre patria.
[continua]