La questione delle Florida
a definitiva
disfatta inferta ai Creek e ancora di più la sfolgorante vitttoria
contro gli Inglesi di Lord Packenham, ottenuta nelle paludi intorno
a New Orleans nel gennaio 1815, avevano collocato Andrew Jackson su
un piedistallo dal quale sarebbe stato quasi impossibile scalzarlo.
Sebbene il
successo contro le forze britanniche fosse stato conseguito a guerra
già terminata – la notizia della fine delle ostilità con il trattato
di Gand del dicembre 1814 giunse a New York l’11 febbraio successivo
– gli Stati Uniti ne andavano fieri, perché aveva umiliato la
tracotanza del loro principale nemico del momento, riscattando la
poco onorevole fuga del presidente James Madison dalla capitale.
L’unione
nordamericana contava ora 18 Stati, con una popolazione complessiva
di 9 milioni di abitanti. Altri 4 territori – Alabama, Illinois,
Indiana e Mississippi – stavano per essere innalzati al rango di
Stati membri.
Conclusa la
guerra che riguardava anche la questione della frontiera canadese –
praticamente irrisolta da ambo le parti – un problema che si
presentava agli Americani era quello del confine meridionale,
rappresentato dalla Florida. Nonostante fossero già state tentate
varie trattative con la Spagna, quest’ultima non sembrava affatto
decisa a cederla al potente confinante. Il suo reiterato rifiuto
irritava gli Stati Uniti soprattutto perché gli Spagnoli tolleravano
tre cose che potevano costituire una minaccia. La prima era di
permettere agli Inglesi di mantenere basi commerciali più o meno
militarizzate nella penisola; la seconda risiedeva nella assoluta
tolleranza ispanica verso gli schiavi neri fuggiti dalle piantagioni
del Sud cotoniero, i quali trovavano spesso ospitalità fra i
Pellirosse. Infine, il terzo motivo consisteva nell’aver lasciato
affluire molti profughi creek dell’Alabama, aggiuntisi ai Seminole
della zona per formare parte integrante delle loro tribù.
Se la prima
ragione appariva la più seria, quest’ultima non scongiurava la
possibilità di future incursioni contro i coloni americani da parte
degli Indiani, che avrebbero poi potuto ripiegare in territorio
spagnolo mettendosi al sicuro dalle rappresaglie dell’esercito.
Jackson aveva
già avuto una dimostrazione di ciò, richiedendo nel 1814 la consegna
di due capi creek fuggiti verso sud. Il comandante del presidio di
Pensacola, don Mateo Gonzales Manrique, gli aveva risposto con
fredda cortesia che l’istanza “non era pertinente”. A questo punto,
un uomo come Old Hickory, investito del grado di generale comandante
del fronte meridionale dal ministro della Guerra James Monroe, non
avrebbe esitato a guidare le sue truppe in territorio spagnolo, ma
una serie di ostacoli – soprattutto la campagna in corso contro gli
Inglesi e l’imminente arrivo dei reparti di Packenham – gli
impedivano un tale azzardo.
Intanto gli
Inglesi, che non lasciavano nulla di intentato per contrastare gli
odiati Americani, si erano dati da fare per guadagnarsi l’alleanza
dei Creek e dei Seminole. Il tenente colonnello Edward Nicholls
condusse addirittura una loro delegazione in Inghilterra, cementando
un rapporto che stava diventando una vera e propria alleanza.
Infatti, il capo seminole Josiah Francis, detto il Profeta, ritornò
nel proprio paese con la nomina a generale di brigata dell’esercito
britannico. Successivamente il colonnello Nicholls consegnò un
avamposto situato sul fiume Apalachicola, circa 55 miglia a sud del
confine con gli USA, agli amici Seminole. A fare ulteriormente
indispettire gli Americani, stava anche il fatto che oltre 800
schiavi neri, avevano costituito una sorta di enclave nella regione
circostante l’Apalachicola, con l’apparente consenso delle autorità
spagnole. Erano quasi tutti fuggitivi delle piantagioni delle
Caroline e della Georgia, risultavano armati fino ai denti ed almeno
250 di loro erano in grado di combattere. Sulla collina denominata
Prospect Bluff, questi uomini avevano creato una fortificazione in
terra battuta, dotandola perfino di qualche pezzo di artiglieria.
Jackson, che non
ne era affatto all’oscuro, nell’aprile del 1816 scrisse al
governatore di Pensacola, Mauricio de Zuniga, contestandogli che
l’avamposto era “occupato da più di 250 neri” e concluse che
l’evidente incapacità della Spagna di frenare la loro iniziativa
avrebbe costretto gli Stati Uniti a “distruggerli per autodifesa” (Edwin
C. Mc Reynolds, “I Seminole”, Rusconi Libri, Milano, 1990, p. 79).
La risposta di Zuniga fu quasi sorprendente: i coloni spagnoli erano
nella stessa condizione di quelli statunitensi d’oltre confine,
perché dinanzi ad una minaccia del genere – costituita dai Neri e
dagli Indiani – il suo presidio contava meno di 100 soldati
regolari, ai quali si aggiungevano circa 300 fra moschettieri e
truppe di colore, con scorte di polvere da sparo “nemmeno
sufficienti per una scarica a salve” (Mc Reynolds, op. cit., p. 79)
dal momento che il Capitano Generale di Cuba non sembrava
intenzionato a fornirgli né uomini, né munizioni.
Di fronte ad una
simile giustificazione, il governo americano decise di non perdere
altro tempo. Il maggior generale onorario Edmund P. Gaines partì con
un corpo di spedizione di 1.700 uomini per costruire Fort Scott sul
Flint River, poco a settentrione del confine della Florida. Andrew
Jackson criticò questo atteggiamento prudenziale, sostenendo che
avrebbe preferito risolvere il problema in maniera definitiva,
occupando militarmente la penisola, che gli Spagnoli, per loro
stessa ammissione, non erano in grado di difendere.
In luglio
l’avamposto ricevette i primi rifornimenti via acqua da New Orleans,
ma alcune imbarcazioni vennero prese a fucilate dai Neri dell’Apalachicola.
Allora il colonnello Duncan Clinch, dietro ordine di Gaines, marciò
con 2 compagnie di fanti verso il forte di Prospect Bluff.
Lungo il
cammino, una banda di Seminole in conflitto con i Neri, si unì al
corpo di spedizione, rafforzandone la già notevole consistenza.
Il 27 luglio
1816 si accese la battaglia, durante la quale i difensori del
fortino – fra cui si trovavano anche dei Choctaw - si difesero
accanitamente contro Americani e Seminole. Sfortunatamente per loro,
un proiettile d’artiglieria centrò in pieno il deposito delle
polveri, facendolo esplodere con effetti devastanti. Morirono 270
Neri e Indiani, mentre dei 64 superstiti solo pochi sopravvissero
alle gravi ferite riportate. I prigionieri, compreso il loro capo
Garcon, furono consegnati da Clinch agli alleati Seminole, che
ottennero anche di impossessarsi di tutte le armi requisite.
I SEMINOLE
La maggior parte
degli studiosi ritiene che i Seminole siano soprattutto una
derivazione dal ceppo creek, trasferitosi in Florida intorno al
1700. Probabilmente si trattava di qualche banda di Oconee ed
Hitchiti, che si fuse con i resti di altre tribù della zona, come
gli Apalachee, gli Yamassee ed i Timacua, tutte di lingua muskogee
come i Cherokee, i Chickasaw, i Choctaw e gli stessi Creek.
Durante il
periodo della colonizzazione spagnola, questi gruppi dovevano
possedere una certa rilevanza numerica, perchè il vescovo cattolico
Gabriel Diaz Vara Calderòn, vissuto fino al 1676, ne indicava oltre
13.000, contando solo quelli convertiti al Cristianesimo.
Al di là
dell’origine precisa e dei resoconti lasciati dai conquistadores,
all’epoca degli eventi descritti i Seminole potevano raggruppare
forse 10.000 persone, se si accetta la stima effettuata dal generale
Gaines, che quantificò i combattenti avversari in 2.700.
La tribù
occupava comunque gran parte della penisola e contava 10
raggruppamenti principali: Mikasuki, Alachua, Apalachee,
Apalachicola, Oconee, Sawoki, Tocabago, Ays, Tegesta e Chiaha.
Dominatori delle estese foreste dell’interno e avvezzi a spingersi
nelle paludi costiere (si avventuravano con piroghe e canoe fino
all’isola di Cuba) i Seminole costruivano capanne simili a
palafitte, con il tetto e le pareti formati da palmizi ed erbe
palustri. Il loro nome tribale era Ikaniuksalgi, che significa
“abitatori della penisola”.
L’intrusione
americana nella Florida venne recepita subito come un segnale di
pericolo, proprio perché Gaines, espugnando il forte dei Neri, aveva
dato una dimostrazione dell’armamento e dell’organizzazione del suo
esercito. I più avveduti fra i capi seminole, si dissero certi che
gli uomini provenienti dagli Stati Uniti e non già gli inetti
Spagnoli rappresentassero il nemico più minaccioso. Quelli invece
che facevano ancora assegnamento sugli Inglesi si sbagliavano,
perché l’influenza britannica nell’isola, dopo la severissima
lezione impartita da Jackson agli Scozzesi di Packenham, era
destinata ad estinguersi presto.
In effetti le
prime avvisaglie delle intenzioni yankee si manifestarono
nell’autunno del 1817.
Il 21 novembre
il maggiore David Twiggs assalì il villaggio di Fowltown, uccidendo
4 uomini e una donna e ferendone molti altri. Per ritorsione, il
giorno 30 dello stesso mese i Seminole tesero un agguato ad una
imbarcazione che navigava sul fiume Apalachicola, difesa da 40
soldati del tenente R.W. Scott, con a bordo anche 7 donne e 4
bambini. Questa volta l’azione dei Pellirosse ebbe maggior successo
di quella di Twiggs, poiché soltanto 2 soldati riuscirono a
raggiungere vivi Fort Scott. I Seminole avevano infatti ucciso,
oltre a 38 soldati, tutti i fanciulli e 6 donne, risparmiandone una
per catturarla e renderla schiava. Pochi giorni dopo, gli indiani
ripeterono l’attacco contro 3 imbarcazioni scortate dal maggiore
Peter Muhlenburgh, che salvò i propri uomini facendo ancorare gli
scafi al centro del fiume, attesa di rinforzi da Fort Scott.
Il 16 dicembre
1817 il ministro della Guerra, John C. Calhoun, perse la pazienza e
dispose che il generale Gaines fosse “pienamente libero di marciare
oltre la linea di confine della Florida e assalirli all’interno di
essa…a meno che quelli non cerchino riparo in una postazione
militare spagnola” (Mc Reynolds, op. cit., p. 84).
L’INARRESTABILE JACKSON
L’elezione di
James Monroe alla presidenza degli Stati Uniti e la conseguente
assegnazione di Calhoun al dicastero della Guerra costituirono la
vera svolta nell’annosa questione della penisola.
Verso la fine di
dicembre, il ministrò ordinò a Jackson di pacificare il territorio
della Georgia, eliminando le residue minacce portate dagli Indiani.
Il generale non si accontentò dell’ordine ricevuto, ma scrisse a
Monroe dichiarando di poter risolvere anche il problema della
Florida in soli due mesi, invadendola con le sue truppe. Il
presidente non lo autorizzò espressamente, ma gli lasciò intendere
che avrebbe potuto svolgere, oltre all’operazione georgiana, “altri
servizi”.
Ai primi di
marzo del 1818, Old Hickory partì dal Tennessee con oltre 1.000
uomini e percorse 600 chilometri in 45 giorni, sfidando un clima
piovoso che aveva trasformato la pista in un pantano. Raggiunto Fort
Scott, rilevò il contingente di Gaines, formato da 800 soldati
regolari e 900 miliziani. Poi, il 15 marzo Jackson varcò finalmente
il confine della Florida.
I suoi agenti
gli segnalarono quali fossero i principali sobillatori degli
Indiani: principalmente i capi creek Peter Mc Queen e Francis il
Profeta, manovrati dal capitano inglese George Woodbine e dal
mercante scozzese Alexander Arbuthnot, che con i Seminole aveva
fatto ottimi affari. Jackson sapeva però di poter contare
sull’alleanza dei Creek di William Mc Intosh - investito del grado
onorario di generale avuto dagli Americani - che in Georgia stavano
dando la caccia alle ultime formazioni ribelli dei Bastoni Rossi,
fuggiti dopo lo scontro di Horseshoe Bend.
In Florida,
l’ignavia delle guarnigioni spagnole, numericamente scarse e
abuliche, aveva praticamente permesso ai Britannici di fare il
proprio gioco, creando una seria minaccia ai confini degli Stati
Uniti.
Il piano di
Jackson prevedeva la cattura del capo Boleck e lo sbaragliamento del
suo contingente, valutato a circa 1.500 guerrieri. Secondo gli
esperti, anche il condottiero King Hatchy disponeva di 1.000 uomini,
mentre Oso Hatjo e Himashi Miso congiuntamente ne avevano agli
ordini un altro migliaio. Probabilmente queste stime erano
esagerate, ma a quell’epoca nessuno era in grado di dire
precisamente quanti componenti avesse la nazione dei Seminole.
Alla metà di
aprile, Jackson, che aveva occupato Prospect Bluff ribattezzandolo
Fort Gadsden, venne raggiunto dai Creek di Mc Intosh, e da un
reparto di volontari del Tennessee agli ordini del colonnello Edward
Elliott. I tre corpi di spedizione unificati, proseguirono la loro
avanzata nel paese, sulle tracce dei Seminole ribelli. In una
località denominata Kenhagee’s Town, trovarono un palo dipinto di
rosso con appese una cinquantina di capigliature: erano quelle che i
Seminole avevano preso ai soldati di Scott sul fiume Apalachicola.
Una disperata
mossa dei fuggitivi – rifugiatisi nel presidio spagnolo di S. Marks
– diede a Jackson il pretesto per compiere il colpo di mano che
aspettava. Infatti non gli ci volle molto ad avere ragione dei
difensori. Presa la fortificazione senza troppi sforzi, perché gli
Indiani l’avevano già abbandonata, gli Americani riuscirono invece a
catturare alcuni degli Inglesi a cui miravano , come Arbuthnot e
Ambrister. Mentre il primo fu condannato subito all’impiccagione, la
corte marziale istituita per l’occasione modificò l’iniziale
sentenza di condanna alla fucilazione dell’ufficiale inglese in una
pena detentiva preceduta dalla fustigazione. Ma Jackson, mostrandosi
assolutamente contrario a “tanta clemenza”, chiese ed ottenne che
anche Ambrister fosse appeso per il collo, cosa che avvenne il 29
aprile.
Pochi giorni
dopo, l’inarrestabile generale riprese a guidare le sue truppe verso
la fortezza spagnola di Pensacola, che cinse d’assedio il 25 maggio,
puntandovi contro le sue artiglierie.
Il 28 maggio
1818, Jackson espugnò anche questa postazione, malamente difesa
dalla guarnigione spagnola e andando oltre i suoi poteri, dichiarò
l’annessione del territorio fin lì conquistato agli Stati Uniti
d’America.
Nonostante le
proteste delle autorità coloniali spagnole e le critiche di una
parte del Congresso, gli Americani non sarebbero tornati sui loro
passi. Infatti, il 22 febbraio 1819, a Washington il segretario di
Stato John Quincy Adams e il plenipotenziario spagnolo Luis de Onis
firmarono il trattato che cedeva la Florida agli Stati Uniti.
Mentre i soldati
di Jackson assoggettavano gradualmente la regione, ai Seminole non
rimaneva che ritirarsi di fronte alla loro avanzata.
[continua]
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