Harrison
illiam Henry
Harrison, virginiano come Washington, era nato nel 1773, all’epoca
del Boston Tea Party. Suo padre era stato uno dei primi a
sottoscrivere la dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti
d’America, assumendo la carica di governatore della Virginia dopo la
cacciata degli Inglesi.
Benchè avviato
agli studi di medicina, William aveva scoperto ben presto di non
nutrirvi troppo interesse, preferendo arruolarsi nella milizia
statale che doveva sgominare gli Indiani della Frontiera. Come
soldato si era dimostrato eccellente e da ufficiale – era riuscito a
salire fino al grado di colonnello – aveva rivelato indiscusse
qualità di comando.
Essendo figlio
di un rivoluzionario ed avendo vissuto, durante l’infanzia, i
momenti cruciali della guerra di indipendenza, sapeva valutare la
consistenza e la fattibilità di un progetto insurrezionale. Dunque,
a dispetto di molti pareri contrari che lo giudicavano un
allarmista, prese nella più seria considerazione le dichiarate
intenzioni di Tecumseh di dare vita ad una nazione interamente
indiana e studiò attentamente le mosse e la strategia del suo
avversario. Quell’uomo, annotò nelle proprie carte, non era meno
pericoloso dei grandi condottieri pellirosse che lo avevano
preceduto, da Re Filippo a Pontiac: permettergli di portare avanti
indisturbato i suoi disegni, avrebbe potuto produrre effetti
disastrosi quanto la rivolta di Metacomet nel XVII secolo. Poiché le
tensioni fra la giovane repubblica americana e gli Inglesi non si
erano allentate, bisognava inoltre impedire che il Canada trovasse
fra gli Indiani dei formidabili alleati.
Tecumseh stava
gestendo la situazione nel migliore dei modi, esortando la sua gente
a copiare le cose migliori portate dai Bianchi, ma rifiutando
fermamente i vizi della civiltà. Così gli Indiani si astenevano dal
bere l’acquavite, ma imparavano le tecniche agricole degli
Americani; rinnegavano la religione dei Bianchi, ma acquistavano
volentieri fucili e pistole per la propria armata.
Tuttavia, anche
i punti deboli del progetto di Tecumseh erano parecchi. In primo
luogo, i suoi accorati appelli e le trionfalistiche profezie di
Tenskwatawa erano riuscite a radunare poco più di 6 o 7.000 persone,
con un potenziale di combattenti di poco superiore alle 1,000 unità.
Liberarsi degli Americani, cioè di una nazione di 7.000.000 di
individui che ormai si stava espandendo verso occidente, non sarebbe
stata assolutamente un’impresa facile.
Secondariamente, il capo degli Shawnee non si sentiva sicuro
dell’appoggio britannico in caso di conflitto con gli Stati Uniti.
Infatti, le autorità canadesi che aveva incontrato più volte, gli
ribadivano le loro promesse di aiuto, rimandandolo a casa carico di
doni, ma sembravano alquanto evasivi proprio sul progetto di uno
Stato indiano fra l’Ohio e la regione dei Grandi Laghi. Nonostante
ciò, la sua fede nel risultato finale pareva incrollabile: “Sono
determinato ad unire tutti gli Indiani e non darò pace ai miei piedi
finchè non vi sarò riuscito.” (J. Tebbel - K.Jennison, “Le guerre
degli Indiani d’America”, Newton Compton Ed., Roma, 2002, p.102).
Naturalmente,
l’enorme disparità di forze raccomandava di usare tatto e prudenza,
lavorando incessantemente per aumentare sempre di più il numero
degli adepti. Se l’alleanza si fosse arricchita dell’appoggio delle
tribù del Sud-Est, soprattutto di quelle del ceppo muskogee, avrebbe
potuto in seguito allargare la sua influenza sui popoli che
abitavano lungo il Mississippi, nel Minnesota, nel Missouri, nello
Iowa ed anche più ad occidente.
Tecumseh
riteneva Harrison un uomo astuto e pericoloso e si guardava bene dal
sottovalutarlo. Aveva appreso con rammarico che il 30 settembre 1809
il governatore era riuscito a convincere una parte di alcune tribù –
Pottawatomie, Delaware, Miami, Kickapoo – a cedere oltre 200.000
ettari di terra in cambio di una somma di poco superiore ai 10.500
dollari. Alla protesta del leader degli Shawnee, Harrison lo aveva
tranquillizzato, dicendogli che la sua tribù era rimasta fuori
dall’accordo e non avrebbe subito alcun esproprio. Meno di un anno
dopo, il 12 agosto 1810, fra i due esponenti avvenne un incontro
molto importante a Vincennes, durante il quale Harrison giunse a
promettere di fare il possibile perché agli Indiani fossero
restituite le terre cedute. Dal canto suo, Tecumseh, che sembrava
stanco delle vane assicurazioni degli Inglesi, giocò una carta a
sorpresa, offrendo agli Americani la sua alleanza in caso di
ostilità con il Canada.
Purtroppo, nei
mesi successivi non accadde nulla di rilevante, perché il
governatore non fece i passi annunciati a favore dei Pellirosse,
lasciando questi ultimi nella inutile attesa di ciò che non si
sarebbe mai verificato. Alla fine, stanchi di essere presi in giro
dagli Stati Uniti quanto dall’Inghilterra, molti guerrieri accampati
a Tippecanoe si misero a depredare fattorie dei Bianchi sorte nei
dintorni, suscitando le proteste dei coloni, che si recarono da
Harrison per invocare protezione.
Era la
primavera del 1811 e Tecumseh si recò nuovamente a Vincennes,
promettendo di cessare gli atti di brigantaggio se gli Americani
avessero restituito le terre al suo popolo, ma la risposta del
governatore fu molto evasiva. Poi, il leader della nascente nazione
unificata partì verso sud-est, per conquistare alla sua causa i
Creek, i Choctaw ed i Chickasaw, ma Harrison ne venne subito
informato dalle sue spie e ordì immediatamente un piano d’azione,
pensando di sorprendere la coalizione durante l’assenza del suo
comandante principale.
A settembre,
quando Harrison diramò gli ordini di allestire una grossa spedizione
militare, l’autorità suprema presente a Tippecanoe era Tenskwatawa,
riconosciuto dalla maggioranza dei convenuti come “Il Profeta”.
Conoscendolo
meglio della gente che si faceva abbindolare dalle sue previsioni, a
cui faceva talvolta seguire falsi prodigi, il fratello gli aveva più
volte raccomandato di non attaccare battaglia con i Bianchi fino al
suo ritorno. Ma Tenskwatawa si sentiva ormai più potente di Tecumseh.
In
un’occasione, essendo venuto a sapere di un’imminente eclissi di
sole, aveva annunciato che la terra si sarebbe oscurata
all’improvviso, a dimostrazione del potere illimitato che il Grande
Spirito aveva concesso al suo profeta.
Quando giunse
la notizia che le truppe di Harrison si stavano avvicinando
minacciosamente al villaggio di Tippecanoe, Tenskwatawa promise a
tutti un grande incantesimo, che avrebbe fermato le pallottole degli
Americani, rendendo gli Indiani invulnerabili.
Molti vecchi
guerrieri, memori delle sconfitte del passato, non lo credettero: i
giovani, senza i saggi consigli di Tecumseh, si lasciarono invece
incantare dal ciarlatano che prometteva miracoli.
Di lì a pochi giorni, i fucili di Harrison non avrebbero avuto pietà
di loro, mandando in frantumi sia le loro illusioni, che la
credibilità di chi le aveva stoltamente alimentate.
[continua]
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