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A cura di Domenico Rizzi

Fort Mims

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aramente nella storia della colonizzazione americana si ritrovano episodi cruenti quali la completa distruzione di un avamposto abitato da oltre mezzo migliaio di persone. Forse il precedente più prossimo nel tempo era stato quello di Fort William Henry, durante la Guerra dei Sette Anni, ma in quel caso il massacro venne compiuto fuori dalle mura, allorchè gli Indiani alleati della Francia attaccarono proditoriamente la colonna inglese in ritirata.

Nell’agosto del 1813 Fort Mims, il forte costruito dal meticcio Samuel Mims nei pressi del fiume Alabama, a più di 35 miglia dalla città di Mobile, ospitava 553 fra soldati, miliziani, sanguemisti e schiavi negri. Vi si trovavano anche soldati spagnoli che avevano disertato dalla fortezza di Pensacola. Il suo comandante era il maggiore Daniel Beasley, coadiuvato dal capitano Dixon Bailey. Entrambi gli ufficiali avevano sangue pellerossa nelle vene e nessuno dei due poteva immaginare quali proporzioni stesse per raggiungere la spietata insurrezione dei Creek.

D’altro canto, la guarnigione – 175 militari, ai quali si aggiungevano 378 civili - era tranquillizzata dal notevole numero di difensori di cui disponeva la postazione, protetta da una doppia palizzata, una esterna ed un’altra più interna, che avrebbe scoraggiato qualsiasi azione in forze da parte degli Indiani ostili. La negligenza del suo comandante era arrivata al punto di non preoccuparsi neppure del fatto che il portone d’ingresso non si potesse più richiudere, a causa della sabbia accumulata dal vento davanti all’ingresso.

Aquila Rossa, il principale fautore della guerra ad oltranza contro gli Americani, aveva studiato accuratamente le proprie mosse, per essere certo che nessuno potesse giungere in soccorso dell’odiato forte. Per evitare che l’agente governativo Hawkins potesse segnalare all’esercito movimenti indiani sospetti, fece affluire parecchi guerrieri da ben 13 villaggi, quali Artussee, Tallassee e Okfuskee, ma ne spedì una parte verso Coweta, distogliendo così l’attenzione dei Bianchi dal suo vero scopo.

Quindi si avvicinò a Fort Mims nella mattinata del 29 agosto 1813, facendo appostare circa 900 combattenti fra la boscaglia e i canneti, in attesa di sferrare l’attacco.

I primi a sospettare la tragedia che si stava preparando furono gli schiavi impiegati nelle piantagioni intorno al presidio. Infatti, vi erano oltre 100 Negri che lavoravano in quel luogo e alloggiavano all’interno dell’avamposto.

Alcuni di essi abbandonarono i campi e si recarono trafelati da Beasley, raccontandogli che i Creek stavano preparando un assalto a Fort Mims. Per tutta risposta il comandante, che non credette minimamente al loro racconto, li fece arrestare e legare ai pali all’interno della palizzata, disponendo che il giorno seguente venissero severamente puniti con la fustigazione.

Il 30 agosto quasi tutti gli abitanti della postazione stavano trascorrendo pigramente la torrida giornata d’estate, senza immaginare lontanamente ciò che Aquila Rossa aveva tramato contro di loro. Quando un tamburo del forte battè il mezzogiorno, i Creek scatenarono le loro forze contro Fort Mims.

Il maggiore Beasley, resosi conto troppo tardi della propria leggerezza, si mise a gridare di chiudere il portone e corse egli stesso verso l’ingresso per compiere l’operazione, ma i detriti accumulatisi gli impedirono di sbarrare l’ingresso alla marea urlante che avanzava. La sua fine fu terribile: alcuni guerrieri nemici lo raggiunsero e lo ammazzarono a bastonate.

Il capitano Dixon Bailey, assunto il comando, si accorse subito della difficoltà di difendere il presidio, ma organizzò una linea di difesa dietro la seconda palizzata, sperando di riuscire a respingere i Creek. Purtroppo per lui, la situazione era già degenerata, perché gli Indiani si stavano spargendo per tutto il cortile, uccidendo e scotennando civili e militari. All’interno del primo recinto, gli uomini di Aquila Rossa sbaragliarono, facendo molte vittime, due compagnie di militari, scannarono senza pietà i civili incontrati sul loro cammino e finirono perfino gli schiavi legati ai pali, del tutto impossibilitati a difendersi.

Dopo un paio d’ore di combattimenti, i Creek avrebbero potuto sentirsi paghi del risultato conseguito: Fort Mims era stato quasi distrutto e 300 dei suoi abitanti giacevano a terra, morti o feriti. Aquila Rossa, però, aveva deciso di andare fino in fondo e disse loro che l’avamposto doveva essere spazzato via, sterminando tutti i suoi occupanti fino all’ultimo uomo.

Alle tre e mezza del pomeriggio lo scontro, anziché attenuarsi, si riaccese in maniera ancora più accanita. I Creek, dopo aver lanciato molte frecce incendiarie contro le baracche, obbligando i loro difensori ad uscire allo scoperto, sfondarono le residue difese e dilagarono come un fiume in piena. Il capitano Bailey cadde gravemente ferito, mentre intorno a lui la linea dei difensori si andava sempre più assottigliando. Gli Indiani non stavano risparmiando nessuno, incuranti del sesso, dell’età o del colore della pelle delle loro vittime. Massacrarono infatti anche gli schiavi negri, pur sapendo quale fosse la loro triste condizione in mano ai Bianchi e infierirono sui rifugiati spagnoli. In quella sanguinosa giornata, gli Indiani prelevarono dai cadaveri almeno 250 scalpi, confermando probabilmente ciò che gli Americani già sapevano a proposito della ricompensa promessa dagli Inglesi, consistente in 5 dollari per ogni capigliatura tolta al nemico.

Verso le cinque pomeridiane gli spari cessarono e la battaglia terminò.

Fort Mims era stato distrutto, la sua guarnigione completamente annientata.

Benchè vi siano molte discordanze fra gli storici circa il numero effettivo delle vittime, sembra credibile che le persone uccise sul campo fossero oltre 400. Aggiungendovi quelle catturate delle quali non si ebbero più notizie in seguito, si raggiunse addirittura lo spaventoso numero di 517.

Nessun assalto ad una postazione fissa, condotto nei successivi 70 anni di guerriglia indiana alla Frontiera, avrebbe mai più offerto un quadro tanto devastante, con una quantità così elevata di perdite umane.

Una quindicina di abitanti, compreso il capitano Bailey, che però era stato ferito a morte, riuscirono a fuggire, mentre altre – fra cui alcuni schiavi - furono catturate. Le perdite degli assalitori erano state invece, secondo la versione fornita da loro stessi, molto più contenute, limitandosi a circa 200 morti e numerosi feriti.

[continua]

 

Distrutto. Verso le cinque pomeridiane gli spari cessarono e la battaglia terminò. Fort Mims era stato distrutto, la sua guarnigione completamente annientata.

 

 

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