o scrittore James Fenimore Cooper (1789-1851) acquistò fama
mondiale con il suo romanzo “L’ultimo dei Mohicani”, pubblicato nel
1826, nel quale descrisse l’efferato massacro compiuto dagli Indiani
dopo la resa di Fort William Henry, situato sul lago George.
Il presidio, difeso da 1300 soldati del Trentacinquesimo
Reggimento del colonnello George Munro, venne assalito e cinto
d’assedio nel mese di agosto 1757 dal marchese di Montcalm.
I Francesi disponevano di 2.570 fanti di terra e 530 di marina,
oltre a 2.550 Canadesi arruolati come miliziani. L’appoggio che i
Pellirosse avevano offerto ai loro amici, provenienti da Fort
Ticonderoga, era davvero imponente: insieme ai Francesi si trovavano
inizialmente circa 2.000 guerrieri delle tribù Ottawa, Ojibwa,
Menominee, Potawatomie, Miami, Delaware, Sauk e Fox e Winnebago. A
questi si aggiunsero in seguito altri 800 combattenti indigeni,
soprattutto Abenaki e Nipissing.
Quindi, gli assedianti avevano a disposizione più di 8.000
uomini, oltre a numerosi pezzi di artiglieria, con i quali
martellarono incessantemente le fortificazioni avversarie. Invece
Munro potè ricevere soltanto 800 rinforzi dal generale Daniel Webb,
che si trovava a Fort Edward, sul fiume Hudson, con un esercito di
3.500 soldati.
Dopo alcuni giorni di assedio, rimasto praticamente senza cannoni
in grado di rispondere al fuoco nemico, il comandante britannico
accettò di parlamentare con Montcalm, che gli offrì una resa
onorevole. In base alla promessa del nobile di Francia, la
guarnigione inglese, rimasta con circa 1.600 uomini in piena
efficienza, avrebbe potuto lasciare il forte portando con sé armi,
bagagli e provviste, sulla parola di non combattere più per diciotto
mesi. Munro, ritenendo di non avere altra scelta, accettò.
Il 9 agosto 1757 gli Inglesi evacuarono il presidio e si
accamparono ad una certa distanza da esso, per consentire ai
Francesi di distruggerlo. Il giorno seguente, una lunga colonna di
Giubbe Rosse e miliziani delle colonie si mise in marcia verso Fort
Edward, mentre gli ufficiali di Montcalm assistevano alla partenza
senza nascondere la loro preoccupazione.
Gli Indiani attendati nei dintorni avevano espresso la loro
insoddisfazione per la resa anticipata dei Britannici. Alcuni dei
loro capi lamentavano che il sangue versato per la gloria della
Francia non era stato ricompensato con un’adeguata contropartita:
durante i giorni di furibondi combattimenti per conquistare la
fortezza, i guerrieri avevano preso pochi scalpi, un numero limitato
di armi da fuoco e nessuna donna da trascinare nei loro villaggi
come bottino di guerra.
Montcalm si era accorto del malcontento degli alleati, ma era
determinato a non permettere atti di ostilità verso gli Inglesi dopo
avere dato la propria parola d’onore a Munro.
Purtroppo gli Indiani agirono di loro iniziativa, eludendo la
vigilanza francese.
Mentre le truppe britanniche sfilavano incolonnate, addentrandosi
nella foresta, i guerrieri si avvicinarono e incominciarono a
dileggiarli e ad insultarli. Poi cercarono di saccheggiare le loro
provviste e di impadronirsi delle armi, spintonando i malcapitati e
colpendoli con il calcio dei fucili. Sfortunatamente per gli uomini
di Munro, un gruppo di Pellirosse entrò in possesso di alcune
bottiglie contenenti bevande alcoliche e si ubriacò rapidamente,
perdendo ogni controllo. Dopodichè i guerrieri trascinarono via gli
schiavi negri di alcuni ufficiali, suscitando reazioni diverse fra
la truppa: molti soldati gettarono le armi e tentarono
un’improbabile fuga, altri si opposero agli Indiani, scatenando una
furioso corpo a corpo.
A questo punto, gli ufficiali inglesi ordinarono di impugnare le
armi e di aprire il fuoco, ma la disorganizzazione e la paura
impedirono una difesa efficace. In pochi minuti, decine di uomini
giacevano al suolo massacrati e molte donne della guarnigione erano
state trascinate via dagli incursori, dileguatisi nella boscaglia.
Non appena Montcalm, che si trovava ad una certa distanza dal
luogo dei disordini, venne informato dei fatti, ordinò l’intervento
massiccio dei suoi uomini, che fecero cessare la strage respingendo
gli Indiani, ma ormai l’infamia era stata commessa: circa 200
Inglesi avevano pagato con la vita e altri 400 risultavano rapiti
dagli scatenati Pellirosse. Di questi ultimi, 200 furono liberati
più tardi per intercessione del governatore della Nuova Francia,
marchese Pierre Francois Vaudreuil, che pagò un riscatto irrisorio.
Invece, di moltissimi altri non si seppe più nulla.
Per la gente della Frontiera, l’efferato eccidio di Fort William
Henry rimase nella storia come l’ennesima barbarie compiuta dai
selvaggi abitatori delle foreste. Non sarebbe trascorso molto tempo
prima che gli Inglesi attuassero una severa repressione,
ricordandosi, fra le tante sofferenze patite dai coloni e
dall’esercito, anche di questo episodio.
Ma nella vicenda di Fort William Henry, nessuno dei “signori
della guerra”, Francia e Inghilterra, aveva salvato la propria
dignità.
Il generale Webb si sarebbe portato dietro il rimorso di non
avere inviato maggiori rinforzi alla guarnigione di Munro,
lasciandola alla mercè dei Francesi e dei loro sanguinari alleati.
Il marchese di Montcalm non poteva sentirsi meglio del suo rivale,
non essendo riuscito a garantire l’incolumità ai difensori del
forte, nonostante la parola data al colonnello Munro. Per i pochi
anni che il Cielo gli avrebbe ancora concesso, prima della fatale
ferita riportata nella difesa di Quèbec, il grande generale si
sarebbe più volte interrogato sulla strage, chiedendosi se la
responsabilità del sangue versato non fosse imputabile all’eccessiva
fiducia da lui accordata agli Indiani.
D’altra parte questi ultimi cominciavano a domandarsi che cosa ne
sarebbe stato dei loro villaggi, delle loro donne e dei bambini nel
caso gli Inglesi fossero riusciti a prevalere sulla Francia. Il
generale Amherst aveva infatti anticipato che, al termine del
conflitto, “si sarebbe occupato del problema indiano”, suggerendo ai
propri ufficiali la soluzione più rapida ed appropriata.
In tempi moderni, la sua proposta avrebbe senz’altro assunto il
nome di soluzione finale.
[continua]