Battaglia a Fallen Timbers
l contingente
statunitense continuò la sua avanzata nell’Ohio, sostenuto da pezzi
di artiglieria e facendo marciare la cavalleria al centro e i fanti
sui lati. Ai propri ufficiali, Wayne disse senza mezzi termini che
non avrebbe tollerato né ripiegamenti, né indecisioni tattiche e li
invitò a condurre una manovra “a tenaglia” sui fianchi, cercando di
chiudere l’avversario in una morsa.
Lo scontro
principale si svolse in una località boschiva dove un nubifragio,
accompagnato da forti raffiche di vento, aveva abbattuto molti
tronchi d’albero. Perciò il posto si sarebbe chiamato Fallen Timbers,
cioè “Tronchi Caduti”.
Mentre gli Indiani
attendevano l’arrivo delle truppe nemiche senza decidersi ad
attaccarle, a causa dell’evidente inferiorità numerica, Wayne
lanciò alla carica il suo poderoso contingente.
Per la coalizione
pellerossa la battaglia si risolse subito in un disastro.
I guerrieri,
incalzati da fanti e cavalleggeri, si sbandarono, Piede di Tacchino
venne ucciso e Piccola Lontra, un altro condottiero di prestigio,
cadde gravemente ferito, provocando una ritirata generale. A questo
punto gli Americani decisero di non dare tregua agli sconfitti,
inseguendoli ed uccidendoli senza pietà. Neppure i guerrieri
rifugiatisi davanti alla postazione inglese di Fort Miami ebbero una
sorte migliore. Infatti, contrariamente a quanto promesso in
precedenza, il comandante Campbell negò agli Indiani il diritto di
asilo, chiudendoli fuori dalla palizzata, dove rimasero esposti al
fuoco implacabile del nemico. Da quel momento, molti capi compresero
che l’Inghilterra non era la nazione amica che avevano sempre
creduto, anche se la mancanza di altri appoggi li avrebbe ugualmente
costretti, nel 1812, a schierarsi al suo fianco in una nuova guerra
contro gli Stati Uniti.
Un giovane
guerriero degli Shawnee, di nome Tecumseh, che aveva preso parte
allo scontro, dovette assistere sconsolato alla rotta della sua
tribù e di quelle alleate. In cuor suo giurò che non avrebbe mai
sottoscritto alcun trattato con gli Americani e da quel momento lo
scopo principale della sua vita diventò la creazione di una nuova,
potente alleanza di tribù, più vasta e compatta della prima.
Quando terminò la
battaglia, prima di mezzogiorno del 20 agosto 1794, la spedizione di
Anthony Wayne contò soltanto 38 soldati e miliziani uccisi e circa
95 feriti. Le perdite indiane non erano quantificabili con
precisione, ma vennero stimate in almeno 200 morti e 400 feriti.
Inoltre i vincitori non si accontentarono di avere disperso la
coalizione con una bruciante sconfitta: proseguendo nella loro
avanzata, devastarono un’altra area di coltivazioni, appiccando il
fuoco ai villaggi e distruggendo tutte le scorte alimentari delle
tribù.
La conclusione
della campagna non poteva che essere una pace svantaggiosa ma
indispensabile alla sopravvivenza delle nazioni indigene.
Un anno dopo, il 3
agosto 1795, più di 1.000 Indiani, fra i quali Piccola Tartaruga ed
il capo shawnee Giacca Blu, convennero a Fort Greenville e
accettarono di cedere la maggior parte dei loro territori in Ohio e
Indiana agli Americani, che li ricompensarono con la somma di 20.000
dollari in contanti, con l’aggiunta di provvigioni alimentari per un
valore di poco inferiore ai 10.000 dollari. Tecumseh rifiutò di
prendere parte all’incontro e proclamò a tutte le tribù che non
avrebbe assolutamente avallato i patti a cui le nazioni indiane
erano state costrette a sottostare con la forza. Giacca Blu firmò
invece il trattato e ne siglò un altro un decennio più tardi, ma poi
decise di ritirarsi a vivere in Canada, dove gli Inglesi gli
conferirono il grado onorario di generale di brigata dell’esercito.
Morì nel 1805, all’età di 65 anni.
La potenza dei
Miami era stata definitivamente schiantata e soltanto una minima
parte di essi intendeva riprendere le ostilità con gli Americani.
Invece gli orgogliosi e irriducibili Shawnee avrebbero ancora
rialzato la testa nel 1811, proprio sotto la guida di Tecumseh e di
suo fratello Tenskwatawa, considerato il nuovo profeta degli
Indiani.
Piccola
Tartaruga, che da tempo non godeva più dell’appoggio degli altri
capi e di molti dei suoi stessi contribali, rinunciò in seguito a
qualsiasi azione di contrasto nei confronti degli Americani. Dopo
essersi incontrato con George Washington a Philadelphia nel 1797 e
avere conosciuto l’eroe polacco Taddeo Kosciutzko, si ritirò nelle
sue terre, cercando invano resistere alle pressanti richieste di
ulteriori cessioni di suolo coltivabile avanzate dai coloni.
Per questo il capo
accettò negli anni seguenti di firmare altri trattati, vendendo
ancora porzioni del suo territorio agli Americani. Consapevole che
una nuova guerra avrebbe soltanto accelerato la fine della sua
tribù, rifiutò anni dopo la richiesta di Tecumseh di schierarsi al
suo fianco. Anzi, allo scoppio della guerra di frontiera fra gli
Stati Uniti e il Canada, il condottiero mostrò apertamente le
proprie simpatie per gli Americani, forse ricordandosi del
tradimento inglese di molti anni prima.
Il 14 luglio del
1812, mentre stava compiendo un viaggio, fu costretto dalle precarie
condizioni di salute a sostare a Fort Wayne, nell’Indiana, dove si
spense a causa della gotta, all’età presunta di 60 anni.
Pochi mesi
prima, aveva preso atto con rammarico dell’ennesima sconfitta subita
dal popolo rosso, disperso a Tippecanoe dalle truppe di William
Henry Harrison, governatore dell’Indiana e futuro presidente degli
Stati Uniti d’America.
[continua]
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