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A cura di Domenico Rizzi

Battaglia a Fallen Timbers

I

l contingente statunitense continuò la sua avanzata nell’Ohio, sostenuto da pezzi di artiglieria e facendo marciare la cavalleria al centro e i fanti sui lati. Ai propri ufficiali, Wayne disse senza mezzi termini che non avrebbe tollerato né ripiegamenti, né indecisioni tattiche e li invitò a condurre una manovra “a tenaglia” sui fianchi, cercando di chiudere l’avversario in una morsa.

Lo scontro principale si svolse in una località boschiva dove un nubifragio, accompagnato da forti raffiche di vento, aveva abbattuto molti tronchi d’albero. Perciò il posto si sarebbe chiamato Fallen Timbers, cioè “Tronchi Caduti”.

Mentre gli Indiani attendevano l’arrivo delle truppe nemiche senza decidersi ad attaccarle, a causa dell’evidente inferiorità numerica,  Wayne lanciò alla carica il suo poderoso contingente.

Per la coalizione pellerossa la battaglia si risolse subito in un disastro.

I guerrieri, incalzati da fanti e cavalleggeri, si sbandarono, Piede di Tacchino venne ucciso e Piccola Lontra, un altro condottiero di prestigio, cadde gravemente ferito, provocando una ritirata generale. A questo punto gli Americani decisero di non dare tregua agli sconfitti, inseguendoli ed uccidendoli senza pietà. Neppure i guerrieri rifugiatisi davanti alla postazione inglese di Fort Miami ebbero una sorte migliore. Infatti, contrariamente a quanto promesso in precedenza, il comandante Campbell negò agli Indiani il diritto di asilo, chiudendoli fuori dalla palizzata, dove rimasero esposti al fuoco implacabile del nemico. Da quel momento, molti capi compresero che l’Inghilterra non era la nazione amica che avevano sempre creduto, anche se la mancanza di altri appoggi li avrebbe ugualmente costretti, nel 1812, a schierarsi al suo fianco in una nuova guerra contro gli Stati Uniti.

Un giovane guerriero degli Shawnee, di nome Tecumseh, che aveva preso parte allo scontro, dovette assistere sconsolato alla rotta della sua tribù e di quelle alleate. In cuor suo giurò che non avrebbe mai sottoscritto alcun trattato con gli Americani e da quel momento lo scopo principale della sua vita diventò  la creazione di una nuova, potente alleanza di tribù, più vasta e compatta della prima.

Quando terminò la battaglia, prima di mezzogiorno del 20 agosto 1794, la spedizione di Anthony Wayne contò soltanto 38 soldati e miliziani uccisi e circa 95 feriti. Le perdite indiane non erano quantificabili con precisione, ma vennero stimate in almeno 200 morti e 400 feriti. Inoltre i vincitori non si accontentarono di avere disperso la coalizione con una bruciante sconfitta: proseguendo nella loro avanzata, devastarono un’altra area di coltivazioni, appiccando il fuoco ai villaggi e distruggendo tutte le scorte alimentari delle tribù.

La conclusione della campagna non poteva che essere una pace svantaggiosa ma indispensabile alla sopravvivenza delle nazioni indigene.

Un anno dopo, il 3 agosto 1795, più di 1.000 Indiani, fra i quali Piccola Tartaruga ed il capo shawnee Giacca Blu, convennero a Fort Greenville e accettarono di cedere la maggior parte dei loro territori in Ohio e Indiana agli Americani, che li ricompensarono con la somma di 20.000 dollari in contanti, con l’aggiunta di provvigioni alimentari per un valore di poco inferiore ai 10.000 dollari. Tecumseh rifiutò di prendere parte all’incontro e proclamò a tutte le tribù che non avrebbe assolutamente avallato i patti a cui le nazioni indiane erano state costrette a sottostare con la forza. Giacca Blu firmò invece il trattato e ne siglò un altro un decennio più tardi, ma poi decise di ritirarsi a vivere in Canada, dove gli Inglesi gli conferirono il grado onorario di generale di brigata dell’esercito. Morì nel 1805, all’età di 65 anni.

La potenza dei Miami era stata definitivamente schiantata e soltanto una minima parte di essi intendeva riprendere le ostilità con gli Americani. Invece gli orgogliosi e irriducibili Shawnee avrebbero ancora rialzato la testa nel 1811, proprio sotto la guida di Tecumseh e di suo fratello Tenskwatawa, considerato il nuovo profeta degli Indiani.

Piccola Tartaruga, che da tempo non godeva più dell’appoggio degli altri capi e di molti dei suoi stessi contribali, rinunciò in seguito a qualsiasi azione di contrasto nei confronti degli Americani. Dopo essersi incontrato con George Washington a Philadelphia nel 1797 e avere conosciuto l’eroe polacco Taddeo Kosciutzko, si ritirò nelle sue terre, cercando invano resistere alle pressanti richieste di ulteriori cessioni di suolo coltivabile avanzate dai coloni.

Per questo il capo accettò negli anni seguenti di firmare altri trattati, vendendo ancora porzioni del suo territorio agli Americani. Consapevole che una nuova guerra avrebbe soltanto accelerato la fine della sua tribù, rifiutò anni dopo la richiesta di Tecumseh di schierarsi al suo fianco. Anzi, allo scoppio della guerra di frontiera fra gli Stati Uniti e il Canada, il condottiero mostrò apertamente le proprie simpatie per gli Americani, forse ricordandosi del tradimento inglese di molti anni prima.

Il 14 luglio del 1812, mentre stava compiendo un viaggio, fu costretto dalle precarie condizioni di salute a sostare a Fort Wayne, nell’Indiana, dove si spense a causa della gotta, all’età presunta di 60 anni.

Pochi mesi prima, aveva preso atto con rammarico dell’ennesima sconfitta subita dal popolo rosso, disperso a Tippecanoe dalle truppe di William Henry Harrison, governatore dell’Indiana e futuro presidente degli Stati Uniti d’America.

[continua]

 

Scontro. Lo scontro principale si svolse in una località boschiva dove un nubifragio, accompagnato da forti raffiche di vento, aveva abbattuto molti tronchi d’albero. Perciò il posto si sarebbe chiamato Fallen Timbers, cioè “Tronchi Caduti”.

 

 

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