Le colpe degli indiani
auspicio delle tribù indiane era che
la guerra anglo-americana si concludesse a favore dei Canadesi,
magari con la conquista dell’area situata a sud dei Grandi Laghi,
nella quale avrebbe potuto trovare spazio lo “stato cuscinetto”
tanto agognato da Tecumseh. Invece, nonostante il successo
britannico della temporanea conquista di Washington, il conflitto
era destinato a spegnersi con un nulla di fatto.
Ciò che gli Indiani non sapevano
era che nessuna delle due potenze belligeranti intendeva spingere la
propria azione oltre un certo limite. Inoltre, gli Inglesi erano
sicuramente in condizione di enorme svantaggio numerico. Il Canada
non possedeva neppure un decimo degli abitanti degli Stati Uniti e
avrebbe potuto schierare al massimo – ricorrendo ad un’eventuale
mobilitazione generale – 100.000 uomini. Invece gli Americani
disponevano di una forza potenziale di oltre 1 milione e mezzo di
soldati. Dunque, se il conflitto fosse stato spinto alle sue estreme
conseguenze, il Canada avrebbe dovuto farsi inviare dalla
madrepatria almeno 1 milione di uomini di rinforzo, cosa del tutto
impensabile e non facilmente ottenibile con i mezzi di trasporto
dell’epoca. Nel 1812-14 l’Inghilterra aveva impegnato tutte le sue
risorse nella guerra contro Napoleone e sicuramente non avrebbe
messo a rischio la propria sicurezza nazionale per difendere i
possedimenti d’oltre oceano.
Queste ragioni non erano
facilmente comprensibili da parte delle tribù indiane degli Stati
Uniti, che non avevano un’idea precisa né della nuova America dei
Bianchi, né tantomeno della lontanissima Europa.
In ogni caso, il comportamento
di alcune tribù del sud-est nei riguardi della coalizione di
Tecumseh, benché amichevole, si era rivelato troppo attendista ed
incerto. Il grande leader aveva chiesto apertamente di schierarsi
dalla sua parte, sollecitando una decisione tempestiva ed un aiuto
concreto in termini di uomini. Se i Creek fossero stati concordi
nell’esaudire la sua richiesta, Tecumseh avrebbe potuto sostenere il
confronto con Harrison con l’ausilio di almeno 5.000 guerrieri in
più, anziché con lo sparuto migliaio di seguaci che si ritrovò a
Tippecanoe il giorno dell’assalto decisivo. Ciò che molti storici,
evidentemente di parte, si ostinano a non voler accettare, è che in
ogni epoca i Pellirosse si comportarono da opportunisti, valutando
esclusivamente la convenienza del momento nello stringere alleanze e
nel dichiarare guerra all’avversario. Queste logiche suicide
caratterizzarono la politica indiana fin dai primi sbarchi degli
Europei nel Nuovo Mondo. Quando gli abitanti della potente Tlaxcala
si schierarono a sostegno di Hernan Cortes e del suo esiguo manipolo
di 660 uomini, lo fecero per odio verso gli Aztechi di Moctezuma,
che era anche il loro signore. Decenni dopo, mentre gli Spagnoli,
sulle orme di Coronado, De Vargas e Zacatecas, invadevano le terre a
nord del Rio Grande, i nomadi Apache e Navajo li contrastarono con
la guerriglia, ma senza mai unirsi fra loro per opporre una
resistenza veramente efficace. Anzi, i primi continuarono a razziare
i campi di mais dei Pueblo e si misero poi a derubare gli stessi
Navajo delle greggi che questi avevano avuto in dono dai “conquistadores”.
La “storia infinita” era
proseguita anche dopo l’avventura di Raleigh e John Smith in
Virginia, lo sbarco dei Padri Pellegrini a Cape Cod e la
colonizzazione del New England. Nell’interminabile conflitto
coloniale che contrappose Francia e Inghilterra e nella Rivoluzione
Americana, gli Indiani furono sempre allineati su fronti diversi,
facendosi guerra fra loro anche quando i contendenti appartenevano
alla medesima tribù. Dunque, lo si voglia ammettere o no, i
Pellirosse erano i primi colpevoli della propria rovina e non
riuscirono mai a capire fino in fondo la grandezza di uomini come
Pontiac e Tecumseh, che li esortavano disperatamente a dimenticare
le proprie rivalità per fare fronte comune contro i Bianchi.
L’accorato appello del grande
leader degli Shawnee, nel 1811, anziché convincere il popolo dei
Creek a combattere unito insieme a lui per creare un territorio
indiano autonomo, aveva originato una frattura insanabile
all’interno della tribù. TustenuggeThlocko – Grande Condottiero -
capo supremo della nazione, si era dichiarato contrario fin
dall’inizio all’offerta di Tecumseh, intendendo rimanere fedele al
trattato siglato con gli Americani nel 1796 a Coleraine. Anzi, nel
giugno 1812 ne firmò un altro a Fort Wilkinson, mettendosi contro l’agguerita
fazione di Aquila Rossa, favorevole all’alleanza con gli Shawnee.
Ciò finì per provocare una vera
e propria guerra civile all’interno della tribù. Grande Condottiero
inviò messaggeri di pace ai villaggi situati sui fiumi Coosa e
Tallapoosa, ma gli uomini di Aquila Rossa li uccisero spietatamente.
Da quel momento non vi fu più tregua
fra i due schieramenti rivali. A tutti i problemi che gli Indiani
avevano già da tempo, si aggiunse la spaccatura netta di una delle
loro nazioni più influenti.
[continua]
|