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A cura di Domenico Rizzi, immagini di Renato Ruggeri

La follia di Braddock

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in dal 1747, nel corso dell’ennesimo conflitto coloniale franco-inglese noto come Guerra di Re Giorgio, una compagnia della Virginia si era posta l’obiettivo di colonizzare la valle del fiume Ohio, mettendo in allarme i Francesi, che reagirono costruendo una serie di avamposti fra il lago Erie e il fiume Allegheny.

Il braccio di ferro tra il governatore della Nuova Francia, Duquesne e quello della Virginia, Dinwiddie, si protrasse per un pò di tempo, finchè nel 1753 quest’ultimo inviò un reparto sull’Erie, con il compito di costringere gli avversari ad evacuare Fort Leboeuf.

Comandante della spedizione era un certo George Washington, nato nel 1732 a Bridges Creek (Virginia) orfano di un piantatore e ufficiale della milizia territoriale. Pur essendo soltanto ventenne alla data dell’arruolamento, gli era stato riconosciuto il grado di maggiore, in considerazione del suo elevato rango sociale.

Fallito l’obiettivo primario di costringere i Francesi ad andarsene, Washington ebbe ordine di costruire un forte alla foce del fiume Allegheny, ma anche in questa operazione era già stato anticipato, perché Duquesne aveva fatto sorgere un presidio intitolato al proprio nome. Nel 1754 la situazione si era ormai fatta tanto precaria da lasciar temere che gli eventi precipitassero da un momento all’altro.

Un giorno gli uomini di Washington aprirono il fuoco suI reparto del capitano Jumonville in uscita da Fort Duquesne, uccidendo 29 uomini su trenta; a questo punto, i Francesi mossero in forze dall’avamposto e circondarono gli Inglesi, catturando il loro stesso comandante. Poi, il 28 giugno il capitano de Villiers, appoggiato da una colonna di alleati Cherokee, marciò contro il presidio inglese di Fort Necessity, dove Washington, che era già stato rilasciato dai Francesi, aveva assunto il comando.

L’assalto non servì ad espugnare l’avamposto, ma le truppe britanniche si ritrovarono in stato di assedio. Dopo avere perduto 150 uomini, temendo soprattutto che i Cherokee fossero pronti a massacrare la residua guarnigione, George Washington decise di arrendersi.

La Gran Bretagna si preparava, dopo sei anni di tregua, ad una nuova guerra anche sul continente americano. La Francia ne sembrava ancora più convinta, perché da mesi andava fortificando i suoi insediamenti, creando nuove postazioni militari.

Nel gennaio 1755 due reggimenti irlandesi arrivarono in Virginia di rinforzo. Poi il generale Edward Braddock inviò truppe sul lago Champlain e nell’Ontario per difendere le frontiere minacciate da Francesi e Indiani. Infine si mise in marcia, con il dichiarato intento di conquistare Fort Duquesne, presidiato da 800 soldati e miliziani e da alcune centinaia di ausiliari indiani.

Il 7 luglio, l’anziano generale attraversò il fiume Monongahela con 2.000 soldati, preceduto dalle avanguardie del colonnello Thomas Gage, giungendo a dodici miglia dall’avamposto nemico. Fino ad allora gli Inglesi si erano spinti nel territorio ostile sfilando come in una parata, senza incontrare ostacoli né resistenze. Braddock era un ufficiale di 65 anni che osservava rigorosamente i canoni classici della guerra europea, ma, pur essendosi spesso distinto nelle grandi battaglie, non conosceva le tattiche usate sul suolo americano.

Gage si rese conto che la foresta si infittiva sempre più e manifestò l’intenzione di arrestare la sua colonna, ma ormai era troppo tardi. Gli Indiani e i Francesi, appostati nei boschi in attesa del nemico, sferrarono un assalto improvviso da posizioni diverse, obbligando le Giubbe Rosse ad opporre una improvvisata difesa. Disposti i suoi uomini su alcune file, Gage li fece sparare a turno: mentre la prima schiera ricaricava le armi, ancora tutte monocolpo, la seconda apriva il fuoco, quindi toccava alla terza e così via. Purtroppo per lui, l’azione dei Pellirosse era stata tanto decisa e ben orchestrata che i suoi soldati furono travolti in breve tempo.

A complicare la già precaria situazione subentrò l’ostinazione di Braddock, avvezzo agli scontri in campo aperto e incapace di concepire metodi di combattimento alternativi, che giudicava disonorevoli.

Il generale cominciò ad inveire contro i suoi ufficiali per la tattica difensiva adottata, esortandoli, anche con gli insulti, ad andare all’attacco. La sua pretesa era assurda, perché i Franco-Indiani sparavano da punti riparati fra gli alberi e sarebbe stato impossibile, se non al prezzo di altissime perdite, stanarli con un’avanzata di massa. Allorquando gli inglesi ruppero le file per formare un corpo d’assalto, divennero un bersaglio ancora più facile per gli avversari. Lo stesso Braddock rimase quattro volte appiedato, procurandosi ogni volta una nuova cavalcatura, finchè un colpo più preciso non gli trapassò un polmone: a quel punto, la disfatta era completa e non restò che la ritirata.

Gli Inglesi avevano perso ben 977 uomini: i superstiti che riuscirono a ripiegare furono meno di 500. Braddock, gravemente ferito e umiliato nel suo orgoglio, si spense in un paio di giorni, chiedendosi invano come si fosse potuta verificare una catastrofe del genere.

I Francesi si godevano il loro grande successo, assistendo al solito spettacolo degli Indiani che scotennavano i cadaveri e forse qualche soldato britannico, caduto nelle mani dei selvaggi, maledisse di non essere stato abbattuto insieme ai suoi compagni.

Sebbene non ancora formalmente dichiarata, la nuova guerra fra le due potenze coloniali era già in atto.

[continua]

 

Follia. Gli Inglesi avevano perso ben 977 uomini: i superstiti che riuscirono a ripiegare furono meno di 500. Braddock, gravemente ferito e umiliato nel suo orgoglio, si spense in un paio di giorni...

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Sotto: Il ferimento del Generale Braddock

Il ritorno a Duquesne

 

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