La cattura
el 1837, le battaglie e le schermaglie
proseguirono sotto il comando del generale Jesup. Durante uno
scontro gli uomini di Jesup presero d’assalto il quartier generale
di Osceola e catturarono cinquantacinque dei suoi uomini;
cinquantadue dei quali erano neri. Osceola, tuttavia, sfuggì al
generale Jesup, il quale stava subendo forti pressioni dai ricchi
padroni degli schiavi affinché proteggesse la loro terra, e dal
governo statunitense al fine di concludere quella guerra troppo
costosa.
Il 6 marzo 1837, le parti in guerra firmarono un trattato che
garantiva ai Seminole il diritto di “tenere i loro negri, dei quali
potevano considerarsi, in buona fede, i legittimi proprietari, e
accompagnarli verso ovest”.
Tuttavia, Jesup sentì che avrebbe potuto adottare una strategia
militare mirata ad interrompere l’alleanza razziale che si era
creata, anche perchè egli credeva che “i negri dominassero gli
indiani”. Verso la fine del 1837, il cappio si stava stringendo
intorno al collo dei Seminole, ma l’intera nazione non mostrava
alcuna volontà di arrendersi. I guerrieri che erano fermamente
decisi a combattere, si raccolsero intorno a Osceola e ad un altro
capo guerriero, capo Gatto Selvatico.
Osceola
durante una trattativa
Durante gli ultimi mesi del suo incarico, Jesup fece ricorso
all’inganno e al sotterfugio, catturando anche degli ostaggi. Egli
prese il padre e il fratello di Gatto Selvatico, King Philip e John
Philip, e usò la loro cattura per forzare i negoziati con Gatto
Selvatico. Quando quest’ultimo giunse per ottenere il rilascio dei
suoi parenti, Jesup lo costrinse a recarsi dagli altri leader
seminole per convincerli a negoziare con i bianchi il loro
traferimento.
Per recarsi all’incontro con il generale Jesup, Osceola indossò i
suoi abiti da cerimonia, e, soffermandosi a salutare un vecchio
amico, pronunciò queste parole “Potremmo non vederci più”.
La conferenza si teneva a Fort Peyton, che si trovava a circa otto
miglia a sud di St. Augustine, in Florida. Osceola giunse
all’appuntamento accompagnato da un gruppo di circa settanta
guerrieri, seguiti da mogli e figli. Al suo fianco camminava un
guerriero che portava una bandiera simbolo di armistizio. Ad
attendere la delegazione indiana vi era il rappresentante di Jesup,
il generale Hernandez, alla testa di duecento soldati. Non appena
Osceola si avvicinò, il generale avvertì un senso di pericolo.
Hernandez iniziò a domandare a Osceola se gli altri leader seminole
si fossero riuniti in consiglio, e se avessero deciso di trasferirsi
in Oklahoma nelle terre che erano state loro assegnate dal governo
USA.
Osceola fu sorpreso dalle parole di Hernandez, e si domandò perchè
gli altri capi seminole non gli avessero parlato di questa
opportunità, e soprattutto perché avessero deciso di arrendersi.
Confuso, egli mormorò qualcosa sottovoce che venne interpretato come
“Mi sento soffocare… non riesco a rispondere a questa domanda…”.
A quel punto, il generale Hernandez sollevò bruscamente un braccio
in un segnale prestabilito; i suoi uomini circondarono
immediatamente gli indiani, li disarmarono e li fecero prigionieri.
Osceola venne afferrato così violentemente tanto da cadere a terra.
Il generale Jesup, che aveva organizzato questa sleale cattura ai
danni di un popolo che portava una bandiera di armistizio, arrivò
quando Osceola e i suoi guerrieri stavano marciando verso St.
Augustine sotto la sorveglianza dei soldati. Osceola camminava in
silenzio tra due file di soldati, il suo volto era impietrito dal
dolore e i suoi occhi bruciavano di collera e di odio.
Un soldato eccitato galoppò verso la città per annunciare agli
uomini di stanza a Fort Marion che i prigionieri erano in arrivo. La
notizia passò di casa in casa: “Osceola è stato catturato! Lo stanno
portando al forte. È stato preso su ordine di Jesup nonostante la
bandiera di armistizio”.
Osceola e i suoi guerrieri furono portati nel cortile di Fort
Marion, un vecchio castello spagnolo, e rinchiusi in una cella. Da
quel momento erano ufficialmente prigionieri.
[continua]
|