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A cura di Paolo Deotto. Si ringrazia Storiain.net

L'eccidio di un popolo

P

resentiamo tre estratti, tre piccoli ma significativi documenti scritti nell'arco di un solo decennio, che possono ben servire da sintesi dell'evoluzione della politica americana nei confronti dei pellerossa. Passiamo dalla proposta pura e semplice del generale Sherman di sopprimere gli indiani, alla direttiva del Presidente Grant di addivenire a un controllo pacifico, all'affermazione dura di un agente indiano, ben deciso a trasformare un popolo di cacciatori (nella fattispecie, gli indiani della tribù Ute) in agricoltori, a costo di "ridurli alla fame più nera."

"…Se permetteremo anche a solo 50 indiani di rimanere tra il Platte e l'Arkansas dovremo far proteggere ogni treno, ogni cantoniera, ogni gruppo di persone che lavora alla ferrovia. In altre parole, 50 indiani "ostili" possono tenere in scacco 3000 soldati. Meglio buttarli fuori al più presto possibile, e non fa molta differenza se ciò avverrà mediante l'imbroglio da parte dei commissari per gli affari indiani o uccidendoli." (Da una lettera scritta dal generale William T. Sherman, comandante della divisione militare del Missouri, al segretario della guerra, Edwin M. Stanton - novembre 1868).
"… Voi siete munito di pieni poteri per attuare la sistemazione definitiva delle tribù indiane nomadi su territori ad esse graditi e porle pacificamente sotto il controllo dei funzionari a ciò incaricati dal Dipartimento per gli Affari Indiani." (Dalla lettera di istruzioni scritta dal Presidente degli Stati Uniti, Ulysses S. Grant, al plenipotenziario Vincent Coyler - luglio 1871).
"Io… farò in modo di ridurre ciascuno di loro alla fame più nera se gli indiani non vorranno lavorare..." (Da una lettera scritta da Nicholas C. Meeker, agente per gli indiani Ute, al senatore Teller - febbraio 1878).
Naturalmente tre documenti, per quanto significativi, sono troppo pochi per spiegare compiutamente un fenomeno storico enorme, che vide non solo la soppressione fisica di un popolo, gli indiani d'America, o Pellirosse, ma anche l'annichilimento delle loro tradizioni, di un uso di vita che si perdeva nella notte dei tempi. Cercheremo perciò di fornire agli amici lettori che vorranno seguirci gli strumenti per conoscere più a fondo questa pagina di storia, una pagina ben poco onorevole per la civiltà: il genocidio del popolo rosso.

La nostra lettura si svolgerà sull'arco temporale di circa un secolo, dalla fine del 1700 al 1890, anche se l'insediamento europeo nei territori che avrebbero poi costituito il nucleo di partenza della nuova nazione americana risale a un paio di secoli prima. Nel 1616 gli Inglesi fondarono, in corrispondenza dell'odierna Virginia, la Nuova Inghilterra. Nel 1620 i Padri Pellegrini sbarcarono a Capo Cod, nel Massachusetts, ove sorse New Plymouth. Precedentemente i francesi si erano installati nell'attuale Canada, dove nel 1608 Samuel de Champlain aveva fondato Quebec, divenendo poi governatore della Nuova Francia. La penetrazione verso i territori dove vivevano le tribù indiane iniziò già da quei tempi, ma in termini commerciali più che di occupazione vera e propria e i rapporti col popolo rosso si mantennero in accettabili equilibri. Queste prime colonizzazioni portarono nella vita dei Pellirosse elementi nuovi e importantissimi. Anzitutto il cavallo, importato fin dal XVI secolo dagli invasori spagnoli, che nelle mani indiane divenne uno strumento di caccia e di guerra usato in modo impareggiabile; poi le armi da fuoco e purtroppo anche il whisky, chiamato nel linguaggio immaginifico dei pellirosse acqua di fuoco, che ben presto si sarebbe dimostrato deleterio per l'equilibrio e la salute delle genti indiane. L'attività mercantile, l'andirivieni della carovane che trasportavano merci barattate o da barattare, portò anche tra le tribù indiane nuove malattie e in particolare il vaiolo. Un'epidemia del terribile morbo scoppiò nel 1780 e colpì in particolare le tribù che abitavano lungo il medio corso del Missouri, i Ree e i Mandan, che vennero completamente distrutte.

Comunque l'equilibrio fra uomini bianchi e uomini rossi si mantenne fino all'ultimo decennio del 1700; la fine della guerra per l'indipendenza delle colonie inglesi dalla madrepatria e la nascita della nuova nazione, gli Stati Uniti, segnarono l'inizio di una tragedia che si sarebbe consumata, come dicevamo, nell'arco di circa un secolo. La nuova nazione americana, terminato il periodo dell'edificazione, cercava uno sviluppo territoriale e questo non si poteva realizzare che verso Ovest, verso gli immensi territori ancora semisconosciuti, capaci di dare lavoro e ricchezze non solo agli ex - coloni, ma anche ai numerosissimi emigranti che arrivavano dal Vecchio Mondo a cercare fortuna in questo nuovo Paese, che sembrava promettere libertà e progresso per tutti.
Ma prima di proseguire, conviene definire la terminologia con la quale si usa distinguere i vari gruppi che vanno sotto il nome generico di pellirosse; non ci soffermeremo invece sul grande problema delle origini remote delle genti rosse, che meriterebbe uno studio specifico, senza dubbio di grande interesse. Ci limitiamo qui a notare che la maggior parte degli studiosi è dell'avviso che gli indiani d'America discendano da popolazioni di origine mongolica, che avrebbero iniziato una migrazione agli albori della razza umana, quando lo stretto di Bering, tra Siberia ed Alaska, era ancora un istmo continuo che congiungeva i due continenti. Dall'Alaska la marcia sarebbe proseguita verso le terre più ospitali e coltivabili del Sud. Se molti caratteri somatici, comuni a tutte le genti rosse, possono avvalorare questa teoria, la grande diversità di linguaggio, di cultura e di usi che si riscontrava tra una tribù e l'altra pone ulteriori problemi che non è qui il caso di affrontare.
Le genti rosse si suddividevano anzitutto in nazioni, indicando con questa parola un insieme di individui accomunati da linguaggio, usi, religione e dallo stanziamento in un determinato territorio (o, come vedremo, da una comune abitudine migratoria). Le nazioni più grandi si articolavano in tribù, ognuna costituita da più clan o grandi gruppi famigliari, a loro volta ripartiti in famiglie. Questa classificazione, utile per lo studioso, trovava comunque un suo limite naturale nello stesso stile di vita indiano. Infatti gli indiani delle pianure, la cui economia si basava principalmente sulla caccia al bisonte (che forniva non solo cibo, ma anche materia prima per vestiario e armi), vivevano seguendo le migrazioni stagionali di questo grande animale. L'incessante nomadismo rendeva spesso difficile individuare il luogo preciso di dislocazione di una tribù o di un clan. La mancanza di grandi animali migratori e le caratteristiche ambientali portavano invece gli indiani delle zone montuose o desertiche ad una maggior propensione per la vita stanziale. Inoltre si consideri che per i pellirosse era assolutamente incomprensibile il concetto, tanto caro a noi uomini civilizzati, di "confine" ("gli unici confini della terra sono là dove il sole sorge e tramonta") e il frammischiamento tra nazioni e tribù non era inconsueto, così come non era infrequente la guerra tra diverse nazioni indiane o anche tra tribù della stessa nazione, guerra che in genere veniva condotta per ragioni di bottino e che era l'occasione per i giovani di mostrare il proprio valore e meritare il titolo di guerrieri.

Dicevamo del primo assestamento delle genti rosse sotto la pressione degli uomini bianchi nella nuova nazione americana. Tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX la nazione dei Chippewa, che viveva nei territori degli odierni Minnesota e Wisconsin, fu la prima a spostarsi verso Ovest, urtando, non senza contrasti armati, contro la nazione Sioux e costringendola a spostarsi nelle pianure a est del Mississippi. I Sioux, guerrieri di grande valore, nulla poterono contro i Chippewa, che erano i primi indiani ad essere dotati di armi da fuoco, ottenute dai mercanti e dai coloni bianchi dei territori da cui provenivano. I Sioux, scacciati ma a loro volta invasori delle pianure, si trovarono a fronteggiare una grande tribù che proveniva dalle Montagne Rocciose, gli Shoshone, che cercavano nel centro ovest terreni più ospitali degli sterili pianori montani. Gli Shoshone furono ricacciati nelle montagne da cui provenivano, ad eccezione di un forte gruppo, che la Storia avrebbe conosciuto col nome di Comanche, che continuarono il movimento verso sud, arrivando al territorio dell'attuale Texas e scontrandosi con un'altra tribù, quella dei Tinde. Quest'ultimi, sospinti dai guerrieri Comanche si stanziarono a cavallo del confine col Messico. Combattivi e feroci, i Tinde sarebbero divenuti per tutti gli "Apache", ossia, nel linguaggio comanche, "i nemici". In questo ebbero un aspetto comune con i Sioux, il cui nome derivava da una parola in uso tra i Chippewa, il cui significato era "vipera" o, fuor di metafora, "nemico".
In questi movimenti di assestamento furono coinvolte anche altre tribù minori; citeremo i Kiowa, i Pawnee, i Nasi Forati, gli Cheyenne. Ma i veri grandi avversari dei "visi pallidi"

sarebbero state le nazioni Sioux ed Apache. Contro di loro furono condotte le vere e proprie "guerre indiane"; sarebbero state loro a pagare e a far pagare il più alto prezzo di sangue prima di essere definitivamente sconfitte dall'uomo bianco.
Al termine dell'assestamento le genti indiane si potevano suddividere, a grandi linee, in due gruppi, a nord o a sud della linea tracciata dal fiume Arkansas. Le condizioni ambientali e la diversa presenza di selvaggina e di terreni coltivabili avrebbe determinato, come già accennavamo, due stili di vita fondamentali, quello del nomadismo delle tribù delle Grandi Pianure e quello stanziale delle tribù meridionali e montane. Nelle pianure era predominante la presenza della nazione Sioux, a Sud gli Apache furono i veri dominatori.
Diversi sarebbero stati anche i motivi per cui l'uomo bianco iniziò la sua politica contro l'uomo rosso. La pura e semplice espansione verso Ovest sarebbe divenuta estremamente più aggressiva con le scoperte dei giacimenti di oro e di argento, mentre la costruzione delle ferrovie avrebbe sconvolto l'assetto di vita degli indiani delle Pianure, avendo come primo effetto quello di mutare le direzioni delle migrazioni dei bisonti.
Ma cerchiano ora di procedere con ordine, per vedere nel dettaglio lo sviluppo di una politica che non è eccessivo definire di genocidio.

Genocidio: "metodica distruzione di un gruppo etnico, compiuta attraverso lo sterminio degli individui e l'annullamento dei valori e dei documenti temporali" (Vocabolario della lingua italiana, di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, Le Monnier, Milano 1984).
Non abbiamo quindi solo l'eliminazione fisica degli individui che compongono il gruppo etnico, ma anche l'eliminazione di tutti quei fattori che costituiscono l'identità stessa di un popolo (religione, cultura, usanze), per cancellarne la memoria, affinché il gruppo sterminato, privato anche della memoria storica, non possa più risorgere.

Chi, come l'autore di queste pagine, non è più un ragazzo ricorda nella sua giovinezza un mito del West, alimentato soprattutto da una filmografia che creò degli stereotipi divenuti classici. Il cow boy, lo sceriffo, gli indiani, l'avventura, le cavalcate nelle immense praterie, le immancabili sparatorie, la vittoria dei buoni sui cattivi. Gli indiani erano perlopiù i selvaggi e gli eventuali indiani buoni erano quelli disposti a collaborare con l'uomo bianco. Al manicheismo del "bianco buono - rosso cattivo" non è mancato purtroppo il manicheismo di senso opposto (ricordate il Piccolo grande uomo ?). A due estremismi, cerchiamo quindi di opporre la lettura dei dati di fatto, per trarre da questi qualche insegnamento.
Il primo dato di fatto, banale quanto si vuole, ma non per questo sbagliato, è che i pellirosse si trovavano sulla propria terra, che fu invasa; possiamo indagare a ritroso nella Storia quanto vogliamo e sempre troveremo affermato il diritto di un popolo di resistere contro gli invasori. E' pur vero che la Storia ci mostra innumerevoli esempi di grandi migrazioni, che si concludono col predominio di un nuovo popolo, che si stanzia su un territorio, facendolo suo. Noi lombardi non siamo forse i discendenti dei Longobardi, uno dei tanti popoli barbari che invasero l'impero romano? Ma nello scontro tra uomini rossi e uomini bianchi ci furono alcune peculiarità che bisogna sottolineare. Anzitutto il periodo delle guerre indiane (XIX secolo) non può assolutamente essere assimilato a periodi storici ben anteriori, che vedevano i grandi movimenti di popoli causati dalla necessità, inevitabile, di trovare terre coltivabili, di trovare cioè di che sopravvivere. Qui abbiamo uno scontro condotto soprattutto nel nome del progresso, inteso nel senso più materialista del termine. Se è vero che gli Stati Uniti d'America nacquero come affermazione di libertà e furono la prima democrazia moderna, è altrettanto vero che la spinta economica fu determinante nelle scelte politiche generali e in particolare nella politica verso gli indiani. Inoltre lo scontro era tra due civiltà, tra due visioni della vita talmente diverse tra loro, da divenire inevitabile: ma non per questo accettabile moralmente.
Lo sviluppo degli Stati Uniti fu in effetti eccezionale, senza paragoni nella Storia, sia in termini di aumento della popolazione, sia in termini di progresso economico, tecnico e scientifico. Alcuni brevi dati ci aiutano a comprendere questa affermazione: popolazione nel 1810, 7.329.000; nel 1850, 23.261.000; nel 1860, 31.513.000. Dal 1849 al 1851 erano giunti dall'Europa 1.046.470 immigranti. Gli Stati che costituivano l'Unione erano originariamente 13; nel 1860 erano già 34, più tre territori. Nel 1848, nella California da poco strappata al Messico, veniva scoperto l'oro e la popolazione balzava, in un mese, da 15.000 a 400.000 abitanti. La produzione industriale nel 1850 era di oltre 500 milioni di dollari, che divenivano più del doppio in soli dieci anni. Nel 1840 le ferrovie coprivano già oltre cinquemila chilometri; nel 1852 avranno uno sviluppo di 17.000 chilometri. Il 10 maggio 1869, a Promontory Point, nello Utah, si congiungeranno i due tratti della prima ferrovia transcontinentale.
Potremmo andare avanti per pagine e pagine ad enumerare altre cifre, dal numero

incredibile di invenzioni, all'apertura di Università e Accademie Militari, ai dati sull'analfabetismo (un decimo di quello europeo), al numero di giornali pubblicati, alcuni dei quali con tirature superiori alle centomila copie.
Pensiamo comunque di aver dato un quadro sufficientemente chiaro di una società in espansione esplosiva e irrefrenabile.
A questo movimento continuo, a questa frenesia di conquista in tutti i campi, si contrapponevano, nelle grandi pianure a Nord di quel confine indicativo tracciato dal fiume Arkansas, delle popolazioni che conducevano una vita totalmente differente, seguendo tradizioni secolari, con una spiritualità e un contatto, reale, con la natura che li portavano ad essere indifferenti verso quei valori che invece coinvolgevano profondamente l'uomo bianco. Per i Sioux e in genere per le tribù indiane del settentrione il credo religioso era fondato sulla figura di Manitou, il Grande Spirito, che chiedeva agli uomini di praticare alcune virtù e di regolare la propria vita su di esse. Le quattro virtù erano la generosità, il coraggio, l'integrità morale e la forza d'animo. I quattro peccati che un indiano doveva rifuggire erano: permettere che un ospite se ne andasse affamato; permettere che un bimbo orfano piangesse per fame; perdere in battaglia il più anziano dei figli e tornare senza di lui; tornare solo dal combattimento dopo che tutti i propri compagni fossero stati uccisi. Come si vede, la guerra era considerata una componente normale, diremmo ovvia, nella vita del pellerossa, né questo deve stupire in una società primitiva. Ma non è corretto assimilare "primitivo" a "selvaggio", con tutta la negatività che questo termine porta seco. Se ha un significato, non solo materiale, la parola "civiltà", crediamo che la lettura delle virtù e dei peccati sia molto istruttiva. Si consideri anche che per i Sioux, come per i loro alleati e amici, gli Cheyenne, l'avidità e l'egoismo erano pressoché sconosciuti. Il loro maggior impegno rispetto alle ricchezze che possedevano era di farne dono ad ogni occasione possibile; un Grande Capo che non si fosse spogliato dei suoi beni per darli a chi era bisognoso si sarebbe attirato il biasimo di tutta la tribù, perdendo ogni autorità. Parlavamo di ricchezze, ma attenzione, si tratta di beni materiali, di immediata utilità, come scorte di cibo, pelli, armi, cavalli: i pellirosse non conoscevano il danaro né mai compresero la frenesia dell'uomo bianco per quel metallo, l'oro, che poteva servire al più per fare monili.
La stessa guerra era per l'indiano delle praterie anzitutto un modo di dimostrare il proprio valore; eccellenti cavalieri, i giovani pellirosse usavano anche, per superare quello che potremmo definire una specie di esame di maturità, lanciarsi al galoppo contro il nemico, disarmati e portando solo un bastoncino in mano. Arrivato a contatto col nemico, il giovane che aspirava al titolo di guerriero lo toccava col bastoncino e poi batteva in ritirata (sempre che l'avversario non l'avesse abbattuto). In questo modo aveva dimostrato il proprio coraggio, mettendo a repentaglio la propria vita e senza uccidere inutilmente nessuno.
Con ciò non vogliamo dare un'immagine idilliaca dell'indiano delle praterie; questi sapeva essere anche spietato, ma ciò accadeva soprattutto quando si sentiva ingannato. La sua mentalità era del tutto lontana dalle ambiguità, dalle bugie, dai tradimenti che spesso vengono contrabbandati sotto il nome di politica o di diplomazia.
Anche se legato a tradizioni religiose simili a quelle dei suoi fratelli del Nord, l'indiano del Sud era diverso, sia per le esperienze vissute, sia per le stesse condizioni ambientali. In particolare gli Apache furono gli indiani che maggiormente terrorizzarono l'uomo bianco, che pure si scontrò anche con i Navajo del Colorado, con i Comanche del Texas, e in Arizona e nel Nuovo Messico con i Pima e gli Zuni, due tribù nemiche giurate degli Apache.
I territori del Sud non erano battuti dalle grandi mandrie e l'economia dell'Apache si basava sull'agricoltura e sull'allevamento di bovini domestici. Non essendo nomade, non viveva nelle tende (i "teepe"), ma in povere capanne costruite con argilla e ricoperte con erba a larghe foglie. Le cosiddette apacherie erano i villaggi in cui gli Apache vivevano, spesso anche in gruppi di poche famiglie, senza una struttura precisa come quella degli indiani delle praterie. La tradizionale ferocia dell'Apache aveva una radice storica ben

precisa: gli sfruttamenti e le angherie subite dai messicani, che consideravano gli indiani come intrusi da eliminare dal loro territorio, che usavano rapire i bambini per venderli come schiavi e le bambine per avviarle alla prostituzione, avevano fatto dell'Apache un individuo eternamente spaventato, che per affrontare e rintuzzare la distruzione a cui era destinato era diventato un maestro nella guerriglia e un guerriero spietato e feroce, che combatteva senza alcun senso "agonistico", ma solo per uccidere il nemico e appropriarsi dei suoi beni. La tortura del nemico catturato faceva parte degli usi di guerra degli Apache, che spesso assalivano le fazendas, sterminando gli occupanti e rubando tutto il bestiame. In un circolo vizioso di ferocia reciproca, i messicani arrivarono, nella municipalità di Chihuahua, a dichiarare "aperta" la caccia all'indiano, ponendo una taglia per ogni scalpo di Apache che fosse stato portato alle autorità, con una differenziazione di premio per scalpi di adulto maschio, di donna o di bambino; era premiato l'uccisione di qualsiasi indiano, che fosse o meno in guerra contro gli uomini bianchi.
Quando gli americani arrivarono nel Texas e nell'Arizona gli Apache ne cercarono l'alleanza, per combattere il comune nemico messicano, ma ben presto dovettero accorgersi che gli "occhi bianchi" (così gli Apache chiamavano gli americani per distinguerli dai messicani, detti "visi pallidi") applicavano anch'essi la politica dello sterminio. E così l'Apache continuò ad essere il "nemico" per eccellenza.

Prima della stabilizzazione che avrebbe visto la nascita degli Stati Uniti d'America il Nuovo Mondo era stato teatro di guerra tra le nazioni europee che se contendevano il dominio. Gran Bretagna, Francia, Spagna e Paesi Bassi fecero a gara per assicurarsi l'alleanza dei selvaggi contro il nemico del momento, impegnandosi con promesse, regolarmente disattese, di eterna amicizia, salvo ricominciare la spinta ad Ovest quando il conflitto si andava spegnendo. I primi seri dissidi con l'uomo bianco ebbero l'effetto di spingere diverse tribù o nazioni ad accantonare le ancestrali rivalità e ad allearsi per meglio resistere. Veri e propri conflitti armati vi furono, ai primi del XIX secolo, in Canada e nella regione dei Grandi Laghi, poi nelle coline inglesi e infine nei territori occupati dalla nuova nazione americana.
Durante la guerra tra Stati Uniti ed Inghilterra (1812 - 1815) il governo americano, nella convinzione che le tribù dei Creek si fossero alleate con gli inglesi, aveva ordinato al generale Jackson, comandante militare del sud - ovest, di risolvere questo problema indiano. Cosa che il generale fece con scrupolo, affrontando i Creek nella battaglia di Horseshoe Bend, in Alabama, che si concluse con la morte di oltre 900 indiani, contro ventisei soldati uccisi.
Nel 1818 Jackson, conducendo l'attacco e l'invasione contro la Florida (allora spagnola), dichiarava la sua intenzione di "spazzar via indiani e spagnoli in 60 giorni". E ci riuscì".
Ma eravamo ancora ad episodi limitati, e comunque di interesse puramente militare. Sarebbe stato con la nomina a Presidente proprio di quel generale Andrew Jackson, avvenuta nel 1829, che la politica americana avrebbe iniziato a mostrare il suo metodo nei confronti dei pellirosse. Uno dei primi atti del neo presidente fu l'emanazione del "Removal Act" che era, nella sostanza, null'altro che l'ordine di deportazione di cinque "nazioni indiane", i Creek, i Choctaw, i Chicasaw, i Cherokee e i Seminole dalla neo acquisita Florida, al di là del Mississippi, nella regione dell'odierno Oklahoma, che sarebbe in seguito divenuta il "territorio indiano". Il Capo Falco Nero riuscì ad organizzare una ribellione corale (che tenne in scacco per oltre tre mesi le truppe federali) contro la forzata deportazione, che fu il primo di una serie infinita di atti il cui scopo era unicamente quello di sloggiare gli indiani dai territori che via via dovevano rendersi disponibili alla spinta
colonizzatrice.
Per la cronaca, in questi fatti d'arme si distinse un giovane capitano, che avrebbe ancora fatto parlare di sé: si chiamava Abramo Lincoln.
Il Removal Act è il primo documento ufficiale di politica indiana del governo americano e vediamo bene di qual tipo di politica. Non siamo ancora al genocidio, ma comunque ve ne sono le premesse, perché si stabilisce il diritto del governo di deportare intere popolazioni, sconvolgendone così gli usi di vita e ponendo le basi per la distruzione di quella memoria storica che consente ad un popolo di salvare la propria identità. La prima guerra indiana mostrò anche il fianco debole delle forze armate degli Stati Uniti, che pur ben equipaggiate ed addestrate, avevano dovuto combattere per tre mesi per avere ragione di un gruppo di selvaggi, armati nel modo più eterogeneo e non inquadrati. Inoltre, sull'esempio di Falco Nero, un gruppo di Seminole, guidati da capo Osceola, diede vita tra le paludi della Florida ad una guerriglia che sarebbe durata, tra alterne vicende, per un quinquennio e che si sarebbe conclusa solo catturando Osceola con l'inganno, durante un colloquio indetto sotto la protezione della bandiera bianca; e purtroppo il metodo del sotterfugio verrà più e più volte usato, giustificato dalla necessità di liberare le regioni dai selvaggi, contro uomini che, l'esperienza l'avrebbe insegnato, non erano facili da battere in guerra ed erano praticamente imbattibili nella guerriglia.
Nel frattempo nei territori del Nord del Messico accadevano altre vicende, che avrebbero avuto il loro peso al passaggio di queste regioni, California, Nuovo Messico, Arizona, sotto la

bandiera a stelle e strisce. Accennavamo già prima alla "caccia all'indiano" legalizzata dalla municipalità di Chihuahua; questa spietata decisione arrivava come epilogo di oltre un decennio di guerriglia condotta dagli Apache Mimbreno contro gli insediamenti di bianchi nella zona di Santa Rita del Cobre, dove erano stati scoperti ricchi giacimenti di rame. Le decisioni di Chihuahua furono le più disumane, e portarono ad un massacro di Apache durante una fiesta indetta proprio per attirarli in trappola, con la falsa promessa di colloqui di pace; mancava però da parte messicana un sistema "organico" di affrontare la loro questione indiana. Con lo scoppio della guerra (maggio 1846) tra Messico e Stati Uniti, guerra che si sarebbe conclusa con l'annessione all'Unione dei territori sopra citati, gli indiani si illusero di poter convivere con gli americani, dato il comune interesse a combattere i messicani. L'armonia durò poco. Il 9 febbraio 1848 un certo James W. Marshall, sorvegliante di un mulino per il grano in California, trovò un sasso che non aveva mai visto nel condotto dell'acqua che faceva muovere la ruota della macina. Si trattava di una pepita d'oro. Iniziò una delle più tumultuose e incontrollate migrazioni che la Storia ricordi, la California gold rush, la corsa all'oro della California. Gli Apache Mimbreno si trovarono all'improvviso il loro territorio invaso da diecine di migliaia di cercatori, con l'immancabile codazzo di giocatori, prostitute, parassiti e trafficanti d'ogni tipo; gli indiani riuscirono a mantenere comunque rapporti tranquilli con i bianchi, pur non capendo bene cosa facessero. La scoperta di ulteriori giacimenti del metallo giallo sui Monti del Gila (estate 1851) fece morire, come dicevamo, l'illusione di una possibile convivenza pacifica. Quando gli indiani incominciarono a ribellarsi all'invasione ormai incontrollata dei loro territori si accorsero ben presto che i soldati, dei quali si erano considerati alleati contro il comune nemico messicano, avevano l'ordine di garantire comunque il libero passaggio delle carovane di cercatori e coloni, perché il governo di Washington voleva che i nuovi territori acquisiti venissero colonizzati e la corsa all'oro era una spinta formidabile, da favorire e non da frenare. Significative la vicenda degli Apache Rogue River, costretti da una schiacciante superiorità militare a siglare un trattato di pace (che come molti altri non sarebbe mai stato ratificato dal senato degli Stati Uniti) e soprattutto quella dei Modoc, che tennero in scacco per cinque anni truppe regolari e compagnie di volontari, dopodiché il capitano Ben Wright (eravamo nel novembre del 1857) organizzò un banchetto come atto preliminare di un consiglio in cui parlare di pace, avvelenando i cibi, con lo scopo di uccidere il capo Old Schonchin e il suo seguito di guerrieri. Poiché il veleno non faceva effetto, il capitano Wright estrasse la sua pistola, uccidendo due degli ospiti indiani, imitato subito dai suoi soldati, che avevano aperto il fuoco tutti assieme. Il banchetto si era concluso con l'uccisione di 36 guerrieri. Anche i Modoc, sbandati dopo l'uccisione del loro capo, avevano cessato di essere un problema per gli insediamenti dei bianchi, ma a prezzo di un'azione aberrante come il tradimento.

Mentre accadevano questi avvenimenti, nelle Grandi Pianure la vita e le usanze degli indiani non sembravano minacciate. Nella prima metà del XIX secolo tra uomini rossi e uomini bianchi si era avviata una sorta di convivenza "quasi pacifica", basata principalmente sull'attività commerciale e i traffici che i due gruppi intrattenevano. Gli scontri armati erano stati di scarso rilievo; del resto, pareva ancora che lo spazio a disposizione fosse talmente tanto da consentire la convivenza di due gruppi etnici diversi tra loro per tradizioni, interessi, usanze, ma soprattutto per due visioni della vita profondamente differenti. Gli indiani avevano proseguito, come era loro antico costume, le guerre tribali: Sioux, Cheyenne e Arapaho avevano compiuto scorrerie contro gli

accampamenti dei Pawnee, dei Corvi e degli Shoshone, che a loro volta naturalmente avevano cercato di rendere la pariglia agli avversari. Questi scontri tribali, inizialmente quasi inavvertiti dai bianchi, avevano preso a disturbare sempre più sia lo sviluppo dei traffici, sia i movimenti dei coloni e, seppur di rado, qualche carovana di questi ultimi era stata attaccata da gruppi di guerrieri. I reparti dell'esercito avevano percorso, nel decennio tra il 1830 e il 1840, a più riprese le Grandi Pianure, suscitando l'ammirazione dei pellirosse, che ne apprezzavano l'armamento, l'equipaggiamento, il colore delle uniformi e che non avevano mai cercato lo scontro con i grossi coltelli, come da loro venivano chiamati i soldati di cavalleria, armati di sciabola.
Nel 1851 su iniziativa di Tom Fitzpatrick, agente governativo per gli indiani, era stato convocato un grande consiglio, invitando tutte le nazioni delle Pianure a parteciparvi. La conferenza si era tenuta a Fort Laramie, che sorgeva alla confluenza dei fiumi Laramie e North Platte, nel territorio del Wyoming. La fama di Fitzpatrick, conosciuto e stimato dai pellirosse per la lealtà e l'onestà, aveva spinto circa 10.000 indiani a portarsi a Fort Laramie, in rappresentanza di tutte le nazioni e tribù delle Grandi Pianure, con eccezione dei Pawnee, che avevano rifiutato l'incontro. Nella più grande assemblea di indiani delle Pianure ricordata dalla Storia, i pellirosse avevano concordato sull'opportunità di una pace generale e si erano impegnati a mantenere un atteggiamento amichevole verso le carovane di emigranti, mentre l'esercito si era impegnato a mantenere nelle Pianure le truppe necessarie per difendere gli indiani da eventuali depredazioni dei bianchi.
Tutto insomma sembrava avviato per il meglio, in un clima di tolleranza e di pacifica convivenza. Ma era una pace provvisoria, perché il flusso dei coloni era in continua crescita e la fame di nuove terre dell'uomo bianco si sarebbe ben presto scontrata col diritto dell'uomo rosso a vivere sulla propria terra.
Il primo incidente grave fu generato da un motivo quanto mai futile: un Sioux Minneconjou aveva ucciso una malandata vacca per prendersene la pelle. L'animale apparteneva a un colono, che aveva protestato a Fort Laramie, pretendendo i danni. Gli indiani offrivano 10 dollari, il colono ne pretendeva 25. Un tenente del Forte si recò allora al campo Sioux per arrestare l'uccisore della vacca, con una scorta di 32 soldati. L'ufficiale si comportò con inutile irruenza, uccidendo con un colpo di pistola il capo dei Brulè, che si trovavano in visita ai Minneconjou. Gli indiani avevano reagito e non uno solo dei soldati aveva salvato la vita. Era il primo sangue versato da soldati americani e l'opinione pubblica aveva chiesto a gran voce vendetta. In una successiva spedizione, nell'estate del 1855, un reparto di 1300 soldati aveva attaccato e distrutto un villaggio di Brulè, uccidendo 86 indiani. Ad una conferenza di pace, tenuta nella primavera dell'anno successivo, gli indiani avevano infine promesso di consegnare l'uccisore della vacca.
Il motivo, dicevamo, era ben futile, ma gli avvenimenti dimostravano che tra bianchi e indiani il fuoco covava sotto la cenere, pronto a scatenarsi anche per eventi che si sarebbero potuti risolvere con moderazione e buon senso.

 

Invasione. Il primo dato di fatto, banale quanto si vuole, ma non per questo sbagliato, è che i pellirosse si trovavano sulla propria terra, che fu invasa.

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Buffalo Bill

Il Generale Custer

Il Generale Sheridan

Toro seduto

Una famiglia di Sioux col classico travois

Victorio, capo Apache

 

 

 

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