Su

 


A cura di Paolo Deotto. Si ringrazia Storiain.net

La politica dello sterminio

I

n quella stessa primavera del 1856 in cui si concluse la guerra della vacca bastò una contesa tra alcuni coloni e una banda di Cheyenne, circa la proprietà di un cavallo catturato da quest'ultimi mentre vagava per la prateria, per innescare un'altra serie di uccisioni, con relative rappresaglie e contro-rappresaglie.

Ma il suo comportamento fu l'eccezione che conferma la regola e la "politica di sterminio" venne adottata anche nel grande territorio del Nord Ovest, dove il 29 novembre 1864 sul Sand Creek, un piccolo corso d'acqua che si getta nell'Arkansas, nell'angolo sud orientale del Colorado, si consumò uno degli eventi più infami, passato alla storia appunto col nome di "massacro di Sand Creek". In questa zona si era accampata per l'inverno la tribù di Cheyenne di capo Pentola Nera, fautore convinto della pace coi bianchi, che si era adoperato per far cessare una serie di scontri fra guerrieri Cheyenne e militari, scontri nati ancora una volta da contese con i coloni che accusavano gli indiani di furto di bestiame. Pentola Nera aveva convocato un consiglio dei capi Cheyenne convincendo anche i più riottosi a riprendere la vita pacifica di prima e aveva effettuato poi molte visite al colonnello Chivington, comandante di Fort Weld, per sapere se le sue proposte di pace erano state accettate dal "padre bianco" di Washington. Il colonnello Chivington prendeva tempo, rassicurando peraltro il capo Cheyenne affinché stesso tranquillo nel suo campo. L'ufficiale stava semplicemente ammassando forze sufficienti per "dare una lezione" ai pellirossa. All'alba del 29 novembre 1864 il colonnello Chivington con una forza di 800 uomini attaccò di sorpresa il campo indiano, uccidendo circa 300 pellirossa, dei quali solo 75 erano guerrieri; gli altri erano donne, bambini e vecchi. Le perdite dei bianchi furono di 7 morti. Pentola Nera riuscì a salvarsi e anche sua moglie sopravvisse, nonostante nove ferite da arma da fuoco. Ufficiali e soldati in cerca di facile gloria l'avevano trovata, massacrando senza alcuna giustificazione una tribù pacifica, anziché assumersi il rischio di prendere contatto con tribù ostili con le quali ingaggiare un combattimento, Qualche sera dopo nel teatro di Denver i partecipanti all'azione si esibirono, tra i battimani della folla, agitando tra le mani un centinaio di scalpi di indiani.

L'infamia del Sand Creek fu l'innesco di un incendio destinato ad estendersi sempre di più, eliminando ogni possibilità di pacifica convivenza tra uomini bianchi e uomini rossi. Nelle sue conseguenze vanno ricercate le cause di quello che entro pochi anni sarebbe accaduto al Little Big Horn. Analizzando questo terribile episodio e i diversi altri che lo precedettero e che abbiamo prima tratteggiato, notiamo anche un particolare di importanza tutt'altro che secondaria: sia per il Sand Creek, sia per tutti gli altri episodi di uccisioni gratuite, mai accadde che i responsabili di tali atti subissero alcuna conseguenza, che quantomeno venissero privati di quell'uniforme che avevano disonorato. La politica di Washington circa il problema indiano era ormai chiara nei fatti concreti e ben si attagliano alla realtà le parole che usavamo prima: politica dello sterminio. Occorsero diversi anni, e il sacrificio di un gran numero di vite umane, perché un uomo più illuminato di altri, il presidente Ulysses Grant (il vincitore della guerra di secessione), cercasse di avviare una politica meno disumana, anche se, come vedremo, ciò si concretò comunque nella distruzione del popolo rosso, attuata non più con mezzi bellici, ma con la cancellazione delle tradizioni, degli usi, del modo di vita; in una parola, con la cancellazione dell'identità.

Il 9 aprile 1865, domenica, ad Appomattox Court House, un villaggio della Virginia settentrionale, il generale Lee, comandante dell'esercito confederato, si arrendeva al generale Grant, comandante dell'esercito unionista. Era la fine della guerra di secessione e la nazione americana, risolto il nodo della sua unità, poteva ora riprendere il suo sviluppo, incentrato sulla colonizzazione definitiva della parte occidentale. Già durante il periodo di guerra, nel 1862, era stato emanato l'Homestead Act, la legge che offriva ai pionieri le terre dell'Ovest, alla sola condizione di occuparle e lavorarle. Gli eventi bellici avevano cristallizzato la situazione, ma ora la penetrazione a Ovest poteva riprendere con tutta la sua forza e per il popolo rosso, mai censito, ma stimato attorno ai due milioni di persone, si preparava il confronto definitivo con una massa di diecine di milioni di uomini ben decisi a costruire una nazione, forti della disponibilità di enormi mezzi tecnici e di un apparato militare ampiamente collaudato. E a proposito dell'apparato militare, va sottolineato che, nel quadro del ridimensionamento delle forze armate dopo la guerra di secessione, fu costituito un nuovo corpo dell'esercito, gli U.S. Volunteers, i Volontari degli Stati Uniti, destinato esclusivamente all'impiego contro gli indiani dell'Ovest.

La fine della guerra di secessione comportò, oltre alla realizzazione dell'Homestead Act, anche la ripresa dei lavori per le ferrovie intercontinentali, allo scopo di collegare la costa dell'Atlantico con quella del Pacifico; due fattori che fecero rinascere, aumentandolo, il flusso di colonizzatori verso Occidente.

Ma l'Ovest non era da colonizzare solo dal punto di vista agricolo. Gli immensi territori erano ricchi anche di oro, di argento e di materiali strategici; erano terre troppo ricche per poter sperare di frapporre alcun ostacolo alla conquista. L'unico nemico da fronteggiare per i colonizzatori era il pellerossa e i più lungimiranti tra i capi indiani si rendevano ben conto della fine della loro civiltà. La lotta dei popoli rossi assunse sempre di più quei caratteri di orgogliosa disperazione che hanno gli uomini fieri della propria libertà, quando sanno di combattere una battaglia persa, in cui resta però da salvare un bene più prezioso della ricchezza e della stessa vita: la dignità.
Da parte dei bianchi la politica nei confronti degli indiani si sarebbe realizzata con tre principali mezzi: l'esercito, che, come abbiamo già visto, risolto il problema della secessione confederata, aveva ora un solo nemico da combattere, i pellirossa; lo sterminio dei bisonti, che sconvolgeva le basi stesse dell'economia primitiva degli indiani delle pianure, gettandoli nell'indigenza; e infine, come vedremo, il confinamento nelle "riserve", dove l'indiano era costretto a un nuovo tipo di vita, a credenze religiose per lui incomprensibili, alla rinuncia alle proprie tradizioni; dove, in una parola, lo si annullava come realtà sociale e culturale distinta da quella del bianco.

Mentre la guerra di secessione era ancora in corso era esplosa, come diretta conseguenza del massacro del Sand Creek, la rivolta dei Sioux e degli Cheyenne, le due grandi nazioni indiane del Nord Ovest. La disunione che affliggeva perlopiù le nazioni e le tribù era stata superata dal desiderio di vendetta degli Cheyenne, che avevano trovato alleati nei Sioux e negli Arapaho settentrionali, mentre il capo Pentola Nera, pur avendo subìto l'attacco proditorio dei soldati, non aveva accettato di partecipare ad azioni di guerra e si era trasferito con un gruppo di Cheyenne meridionali a sud dell'Arkansas, ove si era unito ai Kiowa, ai Comanche e agli altri Cheyenne ed Arapaho meridionali che svernavano in quella regione.
In un consiglio tenuto il 2 gennaio 1865 sullo Cherry Creek, un fiumiciattolo affluente del Republican, nell'angolo nord occidentale del Kansas, contrariamente alle usanze secondo le quali nessun conflitto veniva mai iniziato nei mesi invernali, si era deciso di dare inizio ad una serie di atti di guerra per vendicare l'infame attacco del Sand Creek. Tra i capi guerrieri che avevano preso questa decisione alcuni sarebbero diventati famosi: Nuvola Rossa, Naso Aquilino e soprattutto Toro Seduto. L'obiettivo prescelto dai pellirossa fu Julesburg, allora centro di smistamento dei servizi postali e bivio da cui la pista proveniente da Kansas City si divideva in due rami, uno dei quali si dirigeva verso Fort Laramie e verso Ovest e l'altro verso Denver, scendendo a Sud verso l'Arkansas, fino a raggiungere Santa Fé. Il piccolo insediamento era costituito dalla stazione di posta della Overland Stage Line, da un posto di ristoro per i viaggiatori, da una stazione telegrafica, da un magazzino e un emporio. A un paio di miglia sorgeva una postazione militare, Fort Rankin, presidiato da uno squadrone del 7° cavalleggeri dello Iowa. Tutt'intorno vi erano numerose fattorie isolate. In tutto nella zona erano presenti un centinaio di militari e meno di duecento civili.
Contro quest'obiettivo mossero, il 7 gennaio 1865, circa 1.000 guerrieri pellirossa, che distrussero completamente Julesburg, infliggendo anche gravi perdite ai soldati.

La rivolta continuò fino alla fine di luglio 1865 e vide i pellirossa vincitori su reparti militari sempre più numerosi, tanto da spingere Washington a cercare contatti di pace con le tribù del Nord Ovest, per guadagnare il tempo necessario per completare un dispositivo militare più efficace, al quale poter devolvere compiti di sicurezza e repressione. Una commissione, presieduta dai generali Sanborne e Harney, fu nominata col compito di perseguire due risultati: il permesso di transito attraverso i territori del Wyoming e del Montana per le carovane di minatori e coloni, e l'insediamento di stanziamenti permanenti; la cessione della regione compresa tra i fiumi Platte e Arkansas, abitata da Cheyenne, Kiowa, Arapho e Comanche, ove realizzare il tracciato di una delle ferrovie intercontinentali. Si trattava della parte ancor incontaminata di territorio indiano e soprattutto nuvola Rossa si oppose alla firma di qualsiasi trattato stipulato con i bianchi su queste basi. Il grande ascendente che il capo dei Sioux Oglala aveva anche sugli indiani di altre tribù aveva fatto sì che i risultati conseguiti dalla commissione fossero molto più formali che sostanziali, perché l'accettazione da parte di capi come Pentola Nera e Piccolo Corvo lasciava fuori proprio le tribù più reattive ed animose. I trattarti stipulati dai due generali, lungi dal garantire la pacifica espansione verso Ovest, avevano posto le premesse per l'acuirsi dello scontro sia sul fiume Platte, sia più a Nord sui fiumi Powder e Tongue. Infatti in base ai trattati sarebbe stata sconvolta proprio la zona di caccia delle tribù meridionali, la regione del fiume Smoky Hill, dove era in progetto il passaggio della linea ferroviaria.
Il rifiuto esplicito di questi trattati venne ben presto anche da parte degli Cheyenne meridionali e dei Kiowa, che semplicemente non avevano partecipato alle riunioni preliminari alla firma; dopo molte pressioni il maggiore Wynkoop, agente indiano del Missouri, era riuscito, il 13 novembre 1866, a convincere anche i capi più riottosi. Ma agli inizi del 1867 voci sempre più insistenti di una nuova rivolta indiana avevano messo in allarme il comandante del dipartimento militare del Missouri, generale Hancock, che aveva deciso di organizzare una spedizione contro i pellirossa, per far loro capire che entro i limiti di questo dipartimento siamo in grado di punire quanti di essi molestino coloro che viaggiano attraverso le pianure o che commettano ostilità contro i bianchi". I superiori di Hancock, generali Sherman e Pope approvarono incondizionatamente il piano, anche se le voci di rivolta non avevano effettivi riscontri: erano state a bella posta messe in giro dai finanziatori delle ferrovie che, preoccupati di dover continuare i lavori sotto la costante minaccia indiana, auspicavano una pressione militare contro i pellirossa, nella convinzione che in tal modo si sarebbe garantita la tranquilla prosecuzione dei lavori.
Il 28 marzo 1867 la spedizione voluta da Hancock, forte di oltre 1.400 uomini, e che comprendeva tra l'altro il 7° reggimento di cavalleria, da pochi mesi al comando del tenente colonnello George A. Custer, lasciò Fort Riley, per iniziare una delle più curiose campagne della storia dell'esercito degli Stati Uniti. Infatti per quasi quattro mesi i soldati non riuscirono mai ad avere un contatto diretto con i pellirossa che, giocando come il gatto col topo, li precedevano o li aggiravano su territori a loro notissimi e dei quali i militari non possedevano nemmeno carte topografiche. Il risultato fu che gli indiani, messi in allarme comunque dai movimenti di truppe, da loro considerati atti aggressivi, si diedero a scorrerie attaccando gli insediamenti del Kansas e del Nebraska, distruggendo stazioni di posta e fattorie e punzecchiando le colonne militari con continui attacchi di guerriglia, soprattutto notturna. I reparti rientrarono stremati e frustrati.
L'inutilità dell'azione militare spinse il Congresso a cercare di nuovo soluzioni politiche, che si concretarono nel trattato stipulato il 28 ottobre 1867 sul Medicine Lodge Creek, nel Kansas meridionale. Con questo trattato si definiva il territorio indiano ristretto nei limiti dell'attuale Oklahoma, entro il quale i pellirossa avrebbero dovuto tenersi senza sconfinare a nord, col divieto per i bianchi di valicarne i confini per cacciare.
Con questo trattato l'Amministrazione di Washington era convinta di aver risolto ogni problema di convivenza con gli indiani delle Pianure, mostrando ancora una volta di non aver capito la mentalità del pellerossa, al quale nessun accordo, quasi sempre preso sotto pressioni militari, ma non compreso, poteva impedire di vivere secondo regole ancestrali.

La restrizione in un territorio definito segnava per gli indiani la fine della loro vita di liberi cacciatori e guerrieri e quindi anche il trattato di Medicine Lodge non fu altro che un incentivo a ulteriori atti di guerra. Dopo la firma del trattato infatti seguirono altri sei mesi di scontri, che si chiusero con l'umiliazione subita dal generale Sherman, che dovette scendere a patti con Nuvola Rossa il quale, in cambio dell'impegno a non ostacolare la costruzione della ferrovia Northern Pacific, che correva molto più a sud dei territori di caccia, pretese e ottenne che le truppe abbandonassero Fort Kearny, avamposto per la progettata penetrazione nei territori del Montana e dell'Idaho.
Il desiderio di rivalsa dopo la sconfitta è ben espresso in quella lettera inviata dal generale Sherman al ministro della guerra, Stanton, di cui riportavamo un brano all'inizio di questo nostro studio. Tracciando un quadro di grave insicurezza dell'Ovest, il generale scriveva: "…50 indiani ostili possono tenere in scacco 3000 soldati. Meglio buttarli fuori al più presto possibile, e non fa molta differenza se ciò avverrà mediante l'imbroglio da parte dei commissari per gli affari indiani o uccidendoli". Ossia: usiamo pure dei trattati con i pellirossa, ma teniamoci pronti, ove necessario, all'imbroglio; se non riusciamo poi a imbrogliare gli indiani, possiamo sempre ucciderli.
Con questa mentalità partì la "campagna invernale" voluta dai generali Sheridan e Sherman e appoggiata dal governo di Washington, con lo scopo di effettuare una spedizione punitiva che convincesse gli indiani della regione del Missouri a non commettere più razzie e attacchi contro gli insediamenti. E in questa campagna si "distinse" il tenente colonnello George A. Custer, che sul fiume Washita, nel cuore del territorio indiano, il 27 novembre 1868, distrusse completamente una tribù, adottando la sua abituale tattica di attaccare alle prime luci dell'alba, quando la vigilanza si attenua. Peccato che, nell'ansia di raccogliere gloria militare, Custer non avesse controllato chi erano con precisione gli indiani che si apprestava ad attaccare. Gli indiani uccisi furono oltre un centinaio, contro sette caduti tra i soldati. La tribù distrutta era quella degli Cheyenne di capo Pentola Nera, che si era sempre tenuto ostinatamente fuori da qualsiasi conflitto e che venne ucciso mentre al centro del campo agitava una bandiera a stelle e strisce per far capire che lui e i suoi uomini erano "amici" dei bianchi.

Oscillante tra interventi militari e ricerca di patteggiamenti, la politica del governo americano verso gli indiani delle Pianure tendeva comunque, sempre di più, a restringere il territorio a disposizione dei pellirossa per far spazio all'inarrestabile flusso di coloni. Le sconfitte subite da un esercito potente e addestrato, ma tenuto spesso in scacco da bande di guerrieri "selvaggi", acuivano nei militari il desiderio di salvare la faccia in ogni modo, attaccando anche, come vedevamo sopra, tribù inermi e pacifiche, sicuri comunque dell'impunità, perché alle tragiche leggerezze dei comandi dell'esercito, che costavano gran numero di vittime innocenti, non seguiva mai né mai seguì alcuna sanzione da parte delle autorità politiche. La vita di un indiano non era molto considerata; non c'era motivo particolare per considerare la vita di intere tribù.
Mentre il decennio 1860-70 si concludeva tra venti di guerra nelle Grandi Pianure, la politica dello sterminio era continuata contro gli indiani del Sud Ovest, con meno veemenza ma senza interruzione. L'ordine per i soldati in servizio in quelle zone era sempre quello di uccidere a vista ogni Apache in grado di usare un'arma. La pressione continua spinse la tribù degli Apache Aravaipa a cercare un accordo con il comandante di Camp Grant, un posto militare a circa 80 chilometri da Tucson. Questi, il tenente Royal E. Whitman, era fortunatamente un uomo ragionevole, che non odiava gli indiani e anzi cercava di aiutarli ad integrarsi in una realtà nuova. Invitò quindi gli Aravaipa ad accamparsi in prossimità del posto militare e a lavorare per la provvista di fieno necessaria al forte. La proposta fu accolta e oltre 300 Apache, che sarebbero divenuti ben presto 500, si stabilirono nelle vicinanze del Forte. Tucson era all'epoca una città che brulicava di banditi e avventurieri e il 30 aprile 1870 un gruppo di questi, approfittando dell'assenza dal forte di gran parete dei soldati, impegnati in una missione esplorativa, attaccò nottetempo il campo indiano, uccidendo tutti gli Apache che vi si trovavano.
Con tipica ipocrisia, il massacro di Camp Grant, compiuto da avventurieri e non soldati, fu commentato con sdegno e meraviglia ed ebbe però, se così si può dire, il risultato positivo di far capire che la politica dello sterminio doveva essere abbandonata, sia per ragioni morali, sia perché non era possibile perseguire la distruzione fisica di tutti gli indiani. Il primo atto di questa svolta fu l'invio da parte del presidente Grant di un inviato speciale, Vincent Coyler, incaricato di muovere i primi passi di una nuova politica di conciliazione. Vedremo come effettivamente questa politica venne realizzata; per gli indiani d'America si preparavano gli ultimi anni: erano comunque destinati a scomparire come popolo, perché sarebbero stati di ostacolo alla costruzione definitiva della nazione americana.

 

Malvagio. Il Colonnello Chivington prendeva tempo, rassicurando peraltro il capo Cheyenne affinché stesso tranquillo nel suo campo.

***

Una vista sul luogo della battaglia al Little Bighorn

Un ipotetico e non confermato ritratto di Cavallo Pazzo

Un'immagine che ritrae tre pionieri

Buffalo Bill e Toro seduto insieme per una foto

I famosi guerrieri Red Horse e Low Dog (Sioux)

 

 

Benvenuti! www.farwest.it ® è una comunità di appassionati di old west americano. Tutto il materiale pubblicato proviene dai visitatori. Eventualmente nel sito fosse presente qualche testo appartenente ad altri, è sufficiente segnalarlo perché venga immediatamente eliminato. Tutti i diritti sono riservati ai titolari del materiale.