L'ultima battaglia del guerriero
ra una calda giornata d’estate, di quelle
tipiche di quando si è nella luna in cui le ciliegie diventano rosse
(Luglio), il cielo era limpido e la gola bruciava a causa della
prateria estiva.
Le pelli essiccavano al sole, i bambini
rubavano i pezzi di carne stesi al sole dalle vecchie, mentre i più
grandi apprendevano dai loro kola (guerriero adulto, guida e amico)
o dagli anziani alla scuola della natura, molte donne erano fuori a
raccogliere bacche da mettere nei wasna (insaccati di carne
essiccata e frutti) per l’inverno o per le spedizioni.
D’improvviso un tuono spaccò l’animosità
dell’accampamento, un lampo squarciò il cielo e dal lago uscì un
cavaliere sfolgorante.
Era un guerriero Lakota, ma aveva qualcosa di
strano: indossava una sola pezzuola di daino ai fianchi, i capelli
intrecciati erano raccolti in una crocchia ed un’unica penna, una
penna di falco rosso ne faceva ornamento. Dietro il lobo sinistro si
vedeva spuntare una pietruzza e montava uno splendido baio lanciato
al galoppo; sembrava quasi volare, fluttuava nell’aria tra
proiettili e frecce nemiche che si dissolvevano per incanto intorno
a lui. D’improvviso apparve il suo popolo, centinaia di persone che
cercavano di stringerlo, abbracciarlo, poi un tuono, un fulmine
colpì in pieno l’uomo misterioso e una pioggia di grandine si
scatenò di colpo fino a dissolversi poi, per restituire agli occhi
la splendida figura del cavaliere in corsa, fin quando la folla lo
raggiunse e lo disarcionò, facendolo precipitare a terra. Poi un
falco rosso volò via e fu il buio.
Cosa significava quella visione?
All’inizio della Luna delle piogge primaverili, il 6 maggio per i
bianchi, i wasichu (ladri del buono), lui, Tashunka Uitko, alla
testa dei suoi 900 Oglala Lakota, si arrendeva ai soldati di Fort
Robinson. Proprio come l’uomo del sogno, e come in tutti i suoi
scontri col nemico, indossava una sola pezzuola di daino ai fianchi,
una penna di falco rosso tra i capelli a crocchia, un sassolino
dietro il lobo, montando il suo fedele baio, ormai allo stremo per
la fame, con i colori del fulmine e della grandine.
Così, in quella che da resa era diventata una
marcia trionfale, con l’intero popolo accorso a cantare il suo
profeta -seppur ormai a capo di una massa di derelitti- fu l’amico
Cane, dei Lakota Piedineri, come da cerimoniale, a donare il suo
piumaggio onorario (oltre 100 penne) al capo dei soldati Cappello
bianco (Ten. Clark). Il grande guerriero,
infatti, non aveva niente: come gli era stato imposto dalla Sua
visione, non poteva tenere nulla per sé, né bottino, né trofei,
doveva donare tutto, proprio Lui, che quando aveva indossato la
sacra camicia, ancora 10 anni prima, aveva ben 240 simboli d’atti di
valore! Quel giorno fu l’inizio della fine
definitiva di un Uomo e del suo Popolo. Tashunka Uitko, Cavallo
Pazzo, si era consegnato per due motivi tanto semplici quanto
spietati.
L’estate gloriosa aveva segnato la sconfitta
della campagna voluta dal Gen.Sheridan (1876), ma non aveva permesso
agli indiani di fare provviste per l’inverno, perciò durante il
culmine della fredda stagione, sotto la luna degli alberi che si
spaccano (gennaio)molti bambini erano morti e molte donne e anziani
erano caduti nella neve ridotti a stracci dalla fame e dalla tosse
dell’uomo bianco. Inoltre i capi “in pace” delle riserve avevano
dovuto subire la minaccia di essere trasferiti sul Missouri qualora
lui non si fosse arreso.
Si sarebbe ripercorsa la strada da cui era
stato salvato, proprio dal grande ribelle indiano, il popolo di Coda
Chiazzata, con donne e anziani a mangiare polvere, ragazzi legati
alle ruote dei carri e neonati gettati nelle acque gelide per puro
divertimento.
Avevano già patito l’atroce tortura di non aver
nessun sostentamento, né alcunché di niente, come estorsione per la
cessione dell’intero territorio delle Black Hills e del Powder;
loro, che per la pace erano diventati amici dei bianchi, consegnando
ogni arma e proprietà come rifiuto della guerra, ora si trovavano lì
senza viveri, senza poter cacciare e circondati dai soldati armati.
Abbandonare anche quel poco di territorio proprio che era rimasto
loro sarebbe stato troppo, troppo doloroso, era l’ultimo cordone che
li legava alla loro identità.
Così Tashunka Uitko, con la promessa di una
propria agenzia, finì col consegnarsi, come ultimo e più doloroso
sacrificio per il bene e la sopravvivenza del suo popolo (e
francamente non aveva scelta). |