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A cura di Andrea Galasso -Dineh

La fine della sua pista

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uello che il Capo guerriero non conosceva però, era la vita delle riserve, che dopo la battaglia dell’erba grassa, il Little Bighorn, erano passate sotto il controllo dell’esercito, diventando, in tal modo, anche ufficialmente campi di prigionia. In questa sorta di luoghi quelli che erano i fondamenti della cultura Lakota non esistevano più. Libertà, modo di vivere, valori tradizionali non avevano ormai significato, così il potere (e non il prestigio - nella cultura Lakota infatti il potere non esisteva e neanche il capo più grande poteva ordinare qualcosa ad un altro uomo) si otteneva a seconda della vicinanza al padrone bianco. Si viveva di elemosina, così i leccapiedi, i traditori e coloro che vincevano le battaglie interne per il comando della fame erano i capi: ormai si doveva ragionare con l’ottica e lo stile dell’invasore, pena l’estinzione anche fisica.

La verità è che gli indiani d’America furono vinti, non solo dalle guerre, non solo dalla fame, non solo dalle epidemie studiate a tavolino, né dal whisky, ma dal totale annullamento della loro identità e dignità, che sfocerà col divieto della celebrazione dei propri riti, della propria religione e con la strage di Wounded Knee(1890). Fu così che Cavallo Pazzo visse i pochi mesi della sua vita da indiano delle riserve, tra i vari capi, Nuvola rossa in testa, gelosi di lui, pronti a mettere, continuamente, sospetti negli occhi dei bianchi che stavano imparando ad apprezzare la grandezza di quell’Uomo sacro. Visto come ostacolo, dai suoi, per il raggiungimento del potere (intendiamoci il potere della miseria) e dai bianchi, per il totale annientamento dei Lakota, che a Lui solo, e con amore e ardore, guardavano. Così, dopo mille intrighi, quando come ultima richiesta, per la concessione della bugia di una riserva propria, venne chiesto al piccolo capo Oglala dai capelli ricciuti di combattere I Nez Perces di capo Giuseppe(da sempre amici dei bianchi)uno sporco e vile interprete tradusse una frase di rassegnazione in una di guerra (combattere l’ultimo Nez Perces in Combattere l’ultimo bianco). Ecco dunque che, sotto la luna delle prugne (31 Agosto), quando si sparse la voce che il guerriero Lakota, sarebbe fuggito per tornare alla guerra, fu trovato il pretesto. Ma dove sarebbe potuto fuggire, disarmato e circondato dai soldati? Lui che ai suoi amici che parlavano di guerra aveva detto “ormai voglio la pace e solo la pace, sono un Lakota, non un wasichu, ho una sola parola”. Tashunka Uitko fu chiamato per chiarire l’equivoco, ma era un tranello, a tradimento fu fatto prigioniero. Al forte gli venne incontro un uomo della polizia indiana, un uomo che conosceva molto bene, Piccolo Grande Uomo, lo salutò, ma non poté stringergli la mano, sarebbe stato troppo doloroso. Così fu portato in un edificio, con la scusa che, data l’ora tarda, avrebbe potuto parlare col comandante solo l’indomani e sarebbe stato meglio riposare. Sulla soglia della porta, un tanfo di aria cattiva, come quella dei luoghi chiusi, lo invase e nel buio della sera vide le sbarre e le catene della prigione, la più atroce paura di un indiano. Come un animale ferito si tolse la coperta di dosso e sguainò il coltello nascosto, ma Piccolo Grande Uomo lo conosceva, era un gran guerriero, così riuscì a bloccargli i polsi. Nel duro duello che seguì, Tashunka ferì l’amico, ma per due volte incontrò la baionetta del soldato semplice William Gentles nella schiena: con la prima gli fu trafitto un rene, con la seconda l’intestino...Fermato da uno del suo popolo dava compimento alla visione.

“Basta amici, mi avete già ucciso” e si accasciò al suolo. Morì quella notte, sulla terra Lakota, rifiutando il letto dei bianchi, tra le braccia del suo più vero compagno, Tocca le Nuvole dei Mineconju, con il suo amico, l’ufficiale medico Gillycuddy e suo padre che lo copriva di erbe sacre: Salvia, Tabacco, Corteccia di salice rosso, cervello e cuore di aquila tritati. Morì poco prima di mezzanotte, il 5 settembre 1877. Dopo una luna di veglie il suo corpo fu sepolto in un luogo segreto nella zona di Chenkpe Opi Wakpala(wounded knee) e, ancora oggi, solo 7 sciamani Oglala sanno il luogo esatto.

I Lakota furono trasferiti sul Missouri dove morirono in molti ancora prima di tornare

alle riserve attuali. Ma Tashunka, come il suo popolo sa, non è morto, nella prateria che fu sua,capita di veder un falco rosso al sibilo di un fischietto d’osso d’aquila, il suo fischietto da guerra. Egli vive, perché i sogni non possono morire e lui fu il sogno più grande, la libertà. La sera del 5 stringete quattro strisce colorate, una rossa, una gialla, una nera ed una bianca, ricordatevi che “un uomo può guardarne un altro dall’alto in basso solo per aiutarlo a rialzarsi”(G.G. Marquez), pensate che sarete morti solo quando vi avranno levato fino alla speranza della libertà.

Quella sera, purificate il cuore e lo spirito, sedetevi al vento, respirate profondamente più volte e quando sentirete voi stessi, quando sarete un tutt’uno col battito che vi pulsa tra le vene, urlate un nome agli spiriti della sera: Tashunka Uitko…
Gli spiriti non dimenticano.

 

Speciale. In questo speciale non possiamo gratificarvi con la pubblicazione del consueto materiale iconografico che da sempre contraddistingue Farwest.it perché Cavallo Pazzo scelse di non farsi ritrarre dall’uomo bianco. Potete approfondire la conoscenza del mondo di Cavallo Pazzo leggendo in questo sito la biografia dello “strano uomo degli Oglala”, lo speciale sulla battaglia del Little Bighorn e tanti altri articoli rintracciabili per mezzo del nostro motore di ricerca.

 

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