SUA MAESTA' GEORGE WASHINGTON
Pochi giorni dopo la vittoria degli insorti americani contro le truppe inglesi dell’ammiraglio Cornwallis, nell’ottobre 1781, una delegazione di ufficiali dell’armata insurrezionale si recò dal generale George Washington, loro comandante supremo, per congratularsi del brillante successo che coronava la conquista dell’indipendenza. Uno di essi, parlando a nome di tutti, offrì al famoso piantatore virginiano, divenuto eroe nazionale, la corona del nuovo Stato indipendente, chiamandolo “maestà”. Infatti, secondo le aspirazioni di molti politici e militari, Washington avrebbe dovuto diventare il nuovo sovrano delle ex colonie liberate, magari assumendo il nome di Re Giorgio I d’America. Invece, il grande condottiero replicò in maniera del tutto inattesa, chiedendo di essere chiamato semplicemente “Mister Washington”.
Alcuni anni dopo, concluso il conflitto e fondati finalmente gli Stati Uniti d’America, l’ex comandante in capo dei ribelli americani accettò di malavoglia di diventare il primo presidente degli Stati Uniti. Washington fu eletto il 16 aprile 1789, all’età di 57 anni e raggiunse in carrozza la capitale di allora, New York. Rieletto nel 1794, si ammalò di una forma influenzale tre anni dopo e morì il 14 dicembre 1797. In suo onore, gli Americani costruirono la nuova capitale – Washington - a poca distanza da Mount Vernon, la località della Virginia dove il padre della patria possedeva la tenuta di famiglia.
BISONTI... ESAGERATI!
Quando ebbe inizio la colonizzazione delle Grandi Pianure situate ad
ovest del fiume Mississippi, cacciatori di pellicce, commercianti e
militari tentarono più volte di ricavare stime precise sulla
consistenza numerica dei bisonti, effettuando appostamenti e
rilevazioni in diverse regioni.
Tuttavia, queste statistiche, effettuate in maniera poco sistematica
e con metodi abbastanza approssimativi, non diedero quasi mai
risultati credibili.
Durante una delle rilevazioni, condotte dal generale Philip Henry
Sheridan nel 1866, risultò addirittura che nell’area compresa tra
Fort Dodge (Kansas) e Camp Supply (Oklahoma) si trovavano 10
miliardi di bufali, cifra poi abbassata ad un miliardo, sebbene
ancora enormemente esagerata.
In realtà, al termine della Guerra Civile non erano rimasti, nel
territorio degli Stati Uniti d’America, più di 10 o 15 milioni di
esemplari, che si ridussero, dopo l’arrivo delle ferrovie nel West,
a meno di 1.100 secondo il censimento del dottor W.T. Hornaday, nel
1889. Grazie all’intervento delle autorità governative e soprattutto
per merito della Società Americana del Bisonte, mezzo secolo dopo la
presenza di questo animale, tanto prezioso per l’economia tribale
degli Indiani, aveva raggiunto il rassicurante numero di 25.000
capi.L'UMILIAZIONE DI SANTA ANNA
Antonio Lopez de Santa Anna, nato nel 1795, dominò per mezzo secolo
la storia politico-militare del Messico, assurgendo a personaggio di
primo piano fin dal 1823, quando la giovane repubblica stava ancora
cercando di strappare il cordone ombelicale che la legava alla
Spagna. Diventato presidente del nuovo Stato nel 1833, si trovò a
dover fronteggiare il problema dell’insurrezione del Texas,
incorporato nella regione messicana di Coahuila, ma abitato
prevalentemente da coloni di lingua inglese provenienti dal Kentucky
e dal Tennessee.
Dopo avere invaso nel 1836, alla testa di 4.000 uomini, il
territorio ribelle e distrutto gli avamposti texani di Goliad e
Alamo, il generale venne sbaragliato dall’esercito di Sam Houston,
in notevole inferiorità numerica, a San Jacinto. La battaglia
rappresentò un’umiliazione cocente sia per l’esercito messicano –
composto da 1.200 soldati – che per il presidente-dittatore.
Infatti, dopo che gli 800 Texani di Houston ebbero sconfitto e messo
in fuga l'armata avversaria, Santa Anna venne fatto prigioniero
insieme a buona parte delle sue truppe. Si narra che, per non essere
riconosciuto dalle truppe di Houston, avesse indossato la divisa di
un soldato, cercando di mescolarsi agli uomini catturati, ma
l’incauta esclamazione di uno di essi – che si lasciò sfuggire, a
voce alta: “El Presidente!” – lo tradì. Condotto davanti a Sam
Houston ed al suo stato maggiore, cercò poi di sminuire le proprie
responsabilità, dicendo di avere agito “per conto del proprio
governo”. Naturalmente non venne creduto e il 14 maggio 1836 fu
obbligato a riconoscere l’indipendenza formale del Texas, che
proclamò la “Repubblica della Stella Solitaria”. Nel dicembre 1845
il nuovo Stato entrò a far parte dell’Unione. Quanto a Santa Anna,
sarebbe rimasto sulla scena da protagonista ancora per diverso
tempo, partecipando a tutti i maggiori eventi della storia del suo
Paese fino al 1867, anno in cui il presidente Benito Juarez lo
esiliò per avere complottato contro di lui. Il “massacratore di
Alamo”, come la stampa statunitense lo aveva battezzato, potè
rientrare in patria nel 1874 e morì due anni dopo, all’età di 81
anni.
RIO BRAVO
Uno dei più celebri western di John Ford è “Rio Grande”, prodotto
nel 1950 (attori: John Wayne e Maureen O’Hara) e ritenuto il
completamento ideale della cosiddetta “trilogia militare”, della
quale facevano parte “Il massacro di Fort Apache” (1948) ed “I
cavalieri del Nord Ovest” (1948) sempre interpretati da John Wayne.
Poiché in Italia il film venne distribuito con il titolo di “Rio
Bravo”, quando Howard Hawks diresse nel 1956 una pellicola con lo
stesso titolo, questa venne ribattezzata “Un dollaro d’onore” e fu
anch’essa un grande successo. Ancora una volta la parte principale
venne interpretata da John Wayne, affiancato da Dean Martin, Walter
Brennan e Ricky Nelson, mentre Angie Dickinson – l’attrice
proclamata “le gambe d’oro d’America” – recitò il ruolo di una
giocatrice professionista innamorata dello sceriffo Chance (Wayne).
GLI INDIANI DI COSTNER
Kevin Costner balzò prepotentemente alla ribalta nel 1990, con il
film “Balla Coi Lupi”, di cui era produttore, regista e
interprete principale. L’opera, costata 18 milioni di dollari e
vincitrice di ben 7 premi Oscar, venne tratta dal libro “Dances
With Wolves”, pubblicata da Michael Blake nel 1988. Il film
ricalca abbastanza fedelmente la trama del libro, ma Costner
preferì sostituire agli indiani Comanche del lavoro letterario i
Lakota Sioux. Per rendere più credibile l’avventura del tenente
John W. Dunbar fra i Pellirosse, il regista si avvalse della
collaborazione di Albert White Hall, docente di lingua e cultura
lakota, che curò la traduzione dei dialoghi nell’idioma tribale
originario.
L'ALBERO FRUSCIANTE
Il “Populus Sargenti”, un pioppo americano dalla chioma più ampia
rispetto alla specie europea, veniva indicato dai Lakota con il
nome di “Wagachun”, che significa “albero frusciante”. La pianta
era inoltre considerata sacra da questi Indiani, perché
ritenevano che lo stormire delle sue fronde equivalesse ad una
preghiera innalzata al Grande Spirito. Ma vi erano, secondo i
Sioux, altri motivi che confermavano la sacralità dell’albero.
Le sue foglie ricordavano la forma del “teepee” (la tenda
conica) e la sezione del tronco recava un disegno molto simile a
quello di una stella a cinque punte.
Il “Wagachun” poteva essere tagliato soltanto con un apposito
rituale e veniva eretto al centro della capanna predisposta per
la Danza del Sole, cerimonia comune a molte tribù delle praterie
occidentali.
INDIANI SUL GRANDE SCHERMO
Nella cinematografia western tradizionale, le parti di capi o
importanti guerrieri indiani furono quasi sempre assunte da
attori di razza bianca o, assai più raramente, da meticci,
mulatti o uomini dalla pelle nera.
Mentre i vari Anthony Quinn, Victor Mature, Burt Lancaster,
Chuck Connors comparivano sullo schermo dei panni di Mano
Gialla, Cavallo Pazzo, Massai o Geronimo, il nero Woody Strode,
uno degli attori preferiti dal regista John Ford (memorabile la
sua interpretazione del sergente Rutledge nel film “I dannati e
gli eroi” del 1960) impersonava il capo Comanche Orso di Pietra
in “Cavalcarono insieme”, sempre di Ford (1961).
In epoca più recente il western si è invece servito spesso di
autentici nativi per i ruoli più significativi. Basti ricordare
il celebre “Balla Coi Lupi” di Kevin Costner (1990) nel quale la
parte di Uccello Scalciante è interpretata dall’Irochese Graham
Greene e quella del capo Dieci Orsi da Floyd Red Crow Westerman,
un vero Sioux. In altri due notissimi film moderni – “L’ultimo
dei Mohicani” di Michael Mann (1992) e “Geronimo”, di Walter
Hill (1993) - l’attore Cherokee Wes Studi ha impersonato
rispettivamente il perfido capo-guerriero Urone Magua ed il
famoso condottiero Apache Geronimo.