Rapimenti e scorrerie
'incontro fra
culture molto diverse porta a incomprensioni altrettanto profonde:
ciascuno di due gruppi interpreta le azioni dell'altro secondo i
principi della propria cultura senza rendersi conto che esse
invece possono avere diverso significato nella cultura di coloro che
le compiono. Ciò avvenne anche nell'incontro fra i bianchi e i
pellerossa, generando odi profondi.
In particolari
due usi indiani resero questi particolarmente odiosi ai bianchi:
l’adozione (o rapimento) dei bambini e la scorreria.
ADOZIONE DI
BAMBINI
E RAPIMENTI
Gli indiani
accoglievano nelle proprie famiglie i bambini ed i giovani che
venivano “catturati” al termine di battaglie o spedizioni
guerresche. Questa abitudine ebbe quasi sempre tragiche conseguenze
sui rapporti con i bianchi quando ad essere “adottati” erano
fanciulli di quella razza. Le bande indiane non perpetravano dei
veri e propri rapimenti, ma nelle continue guerriglie fra le tribù
avveniva che restassero, dopo lo scontro, dei bambini orfani dei
vinti. In questo caso gli indiani adottavano ed allevavano tali
bambini come propri. Non era una malvagia usanza anzi… Un bambino
senza famiglia si poteva considerare morto; se adottato, invece,
poteva avere una vita come tutti gli altri. Questa usanza può essere
considerata molto umana oltre a venire incontro alla esigenze
proprie delle culture primitive di accrescere il numero dei membri
delle proprie comunità. Ma dal un punto di vista dei bianchi si
trattava di un rapimento di bambini, uno dei crimini più nefandi che
si possa concepire. Se poi si trattava di una bambina questa
rischiava di essere data in sposa molto presto, secondo l’uso
tribale, ma per i bianchi questa era ancora più terribile. Nella
cultura giuridica dei bianchi era una violenza sessuale perpetrata
contro una ragazzina, oltre che il rischio concreto della
inaccettabile nascita di un figlio “bastardo”.
LE SCORRERIE
Per gli indiani
era perfettamente lecito, anzi meritorio operare delle scorrerie
presso le altre tribù per procurasi dei beni. I giovani per
acquistare prestigio, per farsi belli agli occhi delle ragazze,
compivano l’ardita impresa di assalire o rubare presso gli altri
gruppi. Questo fatto entrava nella logica e nello spirito di quei
bellicosi guerrieri e ciascuna tribù ricambiava allo stesso modo e
con lo stesso stile. Effettivamente gli indiani potevano assalire
diligenze e fattorie semplicemente per predare secondo i loro usi
tradizionali dato che i bianchi, in fondo, possedevano una quantità
di oggetti che essi non erano in grado di produrre e apparivano
ricchissimi. Ma se per gli indiani erano quelle imprese gloriose di
cui fare vanto intorno al fuoco del loro campo, per i bianchi era
tutta un’altra questione! Gli indiani erano considerati ladri,
rapinatori, assassini, criminali.
Per questi
fatti i coloni invocavano l’intervento dell’esercito con
l’intenzione di reprimere dei crimini più che per combattere un
nemico. Gli indiani erano sostanzialmente equiparati ai banditi e
delinquenti comuni: non erano sentiti come un popolo o un esercito
nemico che si può combattere anche senza odio e secondo leggi di
guerra e leggi umanitarie come era avvenuto per i Francesi del
Canada o per i Messicani o anche nella Guerra Civile. Almeno in una
prima fase dei rapporti tra popoli. La recrudescenza di certi fatti
trasformarono rapidamente la richiesta di tutela in vero e proprio
odio razziale.
L’odio dei
bianchi quindi era dovuto alle scorrerie e al rapimento dei bambini
che per le mentalità indiana non erano "colpe" ma che tali
apparivano invece ai bianchi; crimini propri di polpoli “selvaggi”
per i quali non poteva esserci comprensione e che esigevano
repressioni inflessibili, collettive come erano stato i "crimini"
perpetrati. Mentre le tribù potevano rispondere a una scorreria
con un'altra scorreria e ammiravano i guerrieri più bravi invece i
furti e gli assalti provocavano nei bianchi reazioni abnormi, almeno
secondo la mentalità indiana.
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