anno con sé due o tre cavalli o muli e sei
trappole portate in una borsa di pelle detta sacco-porta-trappole.
Non mancano le munizioni, alcune libbre di tabacco, pelli conciate
di cervo per i mocassini che sono trasportate in una bisaccia di
pelle conciate di bisonte detta sacco-delle-occorrenze. Si vestono
con una cacciatora di pelle conciata di cervo e ornata di lunghe
strisce della stessa pelle; i pantaloni sono ugualmente di pelle di
cervo con lunghe strisce di pelle ed aculei di porcospino nella
parte esterna delle gambe. In testa portano un cappello floscio ed
ai piedi hanno dei mocassini di foggia indiana. A tracolla, dalla
spalla sinistra a sotto il braccio destro, pendono il corno con la
polvere da sparo e la borsa dei proiettili (con dentro pallottole,
pietra focaia, acciarino ed altre cosette). La vita è stretta da un
cinturone al quale viene appeso un lungo coltellaccio chiuso in una
fodera di cuoio di bisonte assicurata da una catenella o da un fermo
metallico. Completano l’equipaggiamento un lungo e pesante fucile da
caccia ed un tomahawk.
In questa accurata descrizione redata da un
certo George F. Ruxton, cronista della frontiera, sta gran parte del
fascino che da sempre circonda la vita ed il lavoro dei cacciatori
di pellicce.
Le compagnie di pellicce si servivano
principalmente di cacciatori che lavoravano per loro con un rapporto
di “dipendenza”, ma non disdegnavano certamente di acquistare le
pellicce dei cacciatori autonomi, i Mountain Men o Trapper. Nella
vita si facevano accompagnare da donne indiane che spesso erano
costate fino a 2000 dollari – nel caso della figlia di un capo
riconosciuto -, una cifra che potevano permettersi proprio perché
non lavorano sotto un padrone. La frequentazione con gli indiani
portava, a volte, ad “adozioni” vere e proprie da parte delle tribù
che trovavano comodo avere con sé qualcuno pratico delle cose dei
bianchi.
All’inizio facevano le spese della caccia di
questi uomini i castori, la cui pelliccia era molto richiesta in
Europa e negli stati orientali degli Stati Uniti. Per la caccia al
castoro si usavano trappole che si posavano nell’acqua dei fiumi e
sulle quali si versavano alcune gocce di “castoreo”, una sostanza
che veniva estratta dal castoro stesso e che fungeva da efficace
richiamo. La donna indiana si occupava di preparare le pelli e di
preparare i pasti. Questi erano principalmente a base di carne di
bisonte – che allora abbondava – anche se l’alimento più comodo da
trasportare e conservare era il “pemmican”, una focaccia derivante
da ricette indiane a base di carne secca di bisonte, grasso e bacche
macinati insieme.
Le pellicce venivano accumulate e, spesso,
conservate in profonde buche nel suolo ove restavano perfettamente
isolate dagli agenti atmosferici in attesa che il cacciatore le
recuperasse per la vendita o lo scambio.
Il momento dei raduni era uno dei punti di
riferimento nella dura vita dei cacciatori perché si riusciva a
vendere il frutto della caccia e nello stesso tempo ad incontrare
amici che non si vedevano da mesi.
Talvolta il cacciatore poteva perfino diventare
realmente ricco. Fu il caso di Astor, un cacciatore che grazie ad
astuti e lungimiranti accordi commerciali con alcune tribù di
indiani riuscì ad acquisire una posizione dominante nell’ambito di
una società di compravendita di pellicce le cui quote, rivendute,
fruttarono un vero e proprio capitale.
Oltre alla durezza della vita di tutti i giorni
– di cui, oggi, pare essere rimasto solo qualche retaggio romantico
– i trapper erano soggetti anche alle bizarrie della moda. Così
accadde, ad esempio, che il prezzo delle pelli di castoro crollò
negli anni ’30 portando alla fine del commercio già dal 1840.
Forse l’ultimo grande raduno di cacciatori di
cui si serbi il ricordo fu quello del 1837 nel Wyoming, presso il
Green River, al quale si racconta che presero parte oltre 100
cacciatori e ben 1500 indiani Shoshoni.
Chi vi prese parte raccontò che i raduni si
svolgevano perlopiù in due giorni. Nel corso del primo ci si
incontrava e si socializzava. I cacciatori e gli indiani
raccontavano le loro esperienze e si scambiavano opinioni e trucchi.
Gli alcolici scorrevano a fiumi e gli “incidenti” erano quanto di
più normale ci si potesse aspettare e molti ne uscivano con le ossa
rotte. Anche le sfide di vario genere erano caratteristiche degli
incontri. Il secondo giorno veniva eretta la tenda della Compagnia
delle Pellicce ed iniziavano le vere e proprie trattative.
Con la fine della caccia al castoro (animale
portato sull’orlo dell’estinzione), i cacciatori decisero di
convertirsi ad altre attività che garantissero la sopravvivenza.
Alcuni, tra cui Kit Carson e Tom Fitzpatrick, si impiegarono come
guide mentre altri si riciclarono nella caccia al bisonte, altro
animale che sarebbe stato “cancellato” dal suolo americano.
Ai cacciatori autonomi il popolo americano deve
l’apertura delle strade verso il west. Solo i commercianti diedero
in tal senso un contributo paragonabile a quello dei cacciatori.