Popoli guerrieri
continui spostamenti dei gruppi di indiani
nomadi, specialmente dopo la "scoperta del cavallo" causavano frequenti scontri tra le diverse
nazioni. I Sioux, ad esempio, attraversavano spesso i territori di
caccia dei Pawnee o dei Crow, e da ciò ne derivava una continua
lotta. L'Indiano, di norma, non era ostile se non provocato. Tra le
varie nazioni però non esisteva un rapporto pacifico in quanto la
condizione naturale era quella conflittuale. La guerra, come la
caccia, era un mezzo per procurarsi onore e prestigio in seno alla
tribù. Le spedizioni venivano organizzate da una o più persone che
ricercavano il successo, per acquistare o aumentare il loro valore.
Spesso i giovani guerrieri seguivano il capo militare, che era un
combattente che aveva ottenuto la vittoria in molte battaglie.
Bastava che egli fallisse una sola missione perché non trovasse più
adepti, specie se nella spedizione fosse morto qualcuno. Le vittime
di questi scontri interminabili erano limitate, in quanto il massimo
atto di coraggio non era rappresentato dall'uccisione del nemico,
bensì dal riuscire a toccarlo con il «bastone dei colpi», un'asta
che serviva a percuotere leggermente l'avversario, quindi scappare
salvandosi. Altra azione gloriosa era quella di riuscire a razziare
i cavalli di altre tribù. Si tenga presente che le cavalcature
migliori venivano legate subito fuori il tepee o addirittura al
polso o alla caviglia del geloso proprietario. Le altre erano
radunate nel corral, il recinto. L'abilità stava nel riuscire a
penetrare nel campo avversario senza farsi scoprire. L'uccidere un
nemico era considerata un'azione di poco valore. Secondo le credenze
indiane, lo scotennare l'avversario era un rituale che permetteva al
vincitore di impossessarsi della sua forza e dei suoi poteri
spirituali. L'usanza di prendere gli scalpi dei nemici uccisi non è
indiana, bensì europea: sia gli Inglesi che gli Spagnoli offrivano
un compenso per ogni nativo ucciso. Come prova veniva portato lo
scalpo dell'individuo morto. Ciò che si faceva dopo con lo scalpo
era differente tra le varie tribù. Gli Apache scotennavano
solamente i Messicani, a sottolineare l'odio profondo che
contraddistinse i rapporti tra le due popolazioni. Dopo aver portato
lo scalpo all'accampamento, questo veniva buttato: era qualcosa che
era appartenuto a un morto, e, come tale, non doveva venir
conservato. Era infatti usanza di questa tribù distruggere tutti
gli oggetti che erano stati di proprietà dei defunti, persino la
casa, tanto era il sacro timore della morte. Presso le popolazioni
delle pianure, lo scalpo del nemico era quasi come una medaglia, un
fregio, per cui il guerriero lo conservava come trofeo e lo
appendeva a un lungo bastone che solitamente veniva posto
all'entrata dell'abitazione. Presso i Kiowa, come tra altre tribù,
dopo uno scontro, si svolgeva una cerimonia che prevedeva anche la
danza degli scalpi. Spesso, dopo una battaglia, venivano presi
prigionieri che, se adottati da qualche nucleo familiare, erano
completamente integrati nella tribù, qualunque fosse la loro razza.
«Contando i colpi» si acquistavano dei punti che davano diritto a
particolari privilegi: si poteva aggiungere una piuma, una sorta di
medaglia al valore, al copricapo di guerra (che per altro veniva
usato solo durante le cerimonie e raramente in battaglia), e si
adottavano particolari decorazioni del corpo che permettevano a
tutti di capire il valore del guerriero. L'acconciatura di guerra
era formata da una striscia di pelle a cui si fissavano varie penne,
principalmente di aquila, ma erano pochi coloro che potevano
indossarlo, perché significava possedere un'estrema abilità in
campo militare, sia dal punto di vista tattico che strategico. E, a
dire il vero, gli Indiani peccavano nell'organizzazione delle loro
battaglie: raramente agivano secondo un piano prestabilito ubbidendo
al capo della spedizione. I guerrieri alla ricerca dell'onore
seguivano il loro estro e operavano per proprio conto. Pochi furono
quei condottieri tanto abili da riuscire a mantenere il comando dei
loro uomini anche in battaglia.
In
un primo tempo le armi degli Indiani furono quelle preistoriche:
arco e frecce, landa, scudo e tomahawk (un bastone al cui apice era
fissata una pietra). Prima dell'arrivo dei bianchi la funzione della
guerra era quella di impedire la formazione di un grosso stato e di
permettere quindi la sopravvivenza a comunità relativamente
piccole. Le armi ancestrali bastavano per combattere altre tribù in
scontri poco cruenti. L'abilità nel lanciare le frecce era estrema:
cavalcando, un Indiano riusciva a tirare 10-12 frecce al minuto.
Tale era e continuò ad essere la bravura degli Indiani nel tirare
con l'arco, che durante la seconda guerra mondiale gli Americani li
utilizzarono per eliminare silenziosamente le sentinelle nemiche.
Ogni guerriero sapeva riconoscere le proprie frecce da segni
particolari. Non solo ogni uomo, ma anche ogni tribù aveva frecce
caratteristiche: ad esempio gli Cheyenne erano soliti apporre ad una
estremità delle stesse alcune piume striate. I Crow, per questo
motivo, li chiamavano «Frecce dalle piume striate». Con l'arrivo
dei bianchi cambiarono il modo e i motivi per fare la guerra. Con le
armi da fuoco che gli Indiani riuscirono a procurarsi divennero
abili tiratori che raramente sbagliavano il bersaglio, agguerriti e
implacabili perché combattevano per la loro terra, per la loro
libertà, per la loro stessa esistenza.
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