Le eroine del west
ra le tante forme di nostalgia la più
insidiosa è anche la più illogica: la nostalgia delle cose che non
conosciamo, la mancanza di cibo che non abbiamo mai vissuto.
Cosi,
noi europei, bravi ragazzi di fine secolo, proviamo un profondo
struggimento per il passato, non se pensiamo all’editto di Nantes
o al Concilio di Trento, ma quando la mente galoppa,
è
il caso di dirlo, all’assedio di Alamo, alla sfida all’OK
Corral.
Sono luoghi in cui non abbiamo radici storiche eppure, come
piante rampicanti, ci avviluppano l'anima. Sono i nostri
"ricordi inventati", le leggende a sud-ovest del Pecos.
Se
il Piave mormorava, il Red River cantava a squarciagola. Allora
giusto rendere un omaggio alle nostre fidanzate impossibili, le
donne che “avremmo” amato se, anziché studenti, giornalisti o
parrucchieri per signora, fossimo stati cowboy. E oggi che in Italia
le cronache parlano dell’arrivo di un esercito composto da ragazze
dell’Est, "pretty woman" a cui auguro la stessa fortuna di Julia
Roberts, più dolce pensare alle ragazze dell’Ovest, le fanciulle
selvagge del selvaggio West.
Chi erano?
Ce n’è per tutti i gusti,
dalle ballerine alle suore, passando per le mogli cercate per
corrispondenza dai giovanotti del West che scrivevano a sconosciute
a migliaia di chilometri di distanza lettere piene di bugie. Negli
annunci matrimoniali i cowboy, Ia più grossa categoria di bugiardi
dopo i giornalisti, esageravano la propria prestanza fisica e la
propria situazione economica per rimediare alla penuria di donne.
Mogli e buoi dei paesi altrui.
Del resto, anche le ragazze, che
avrebbero dovuto incrementare la popolazione femminile dell’ovest,
scrivevano con la lingua biforcuta. Gli incontri, al dunque, erano
spesso comici. Se Johnny non era Apollo, Sally non era Venere.
Eppure nacque Ia mitologia. Il matrimonio non era la tomba
dell’amore, ma la “Tombstone dell’amore”. Seguiamo il
percorso femminile nel paese che Cesare Pavese definiva il più
grande palcoscenico sul quale si recitano i nostri drammi”. Lui
non intendeva esplicitamente il West. Noi sì.
Chi si immagina il
west un paradiso di machismo equestre commette un grande errore di
valutazione. Sin dai primi viaggi verso l’Ovest del 1846, Ia
penetrazione nel continente, ostile a dispetto del termine, era riservata
al maschio. Il prototipo della famiglia media vede la donna moglie e
madre, ma anche cercatrice di piste e guidatrice di carri. La donna
non solo è equiparata all’uomo, ma perde il ridicolo appellativo
di sesso debole, in quanto si rivela più dura, paziente, anche
fisicamente più forte del compagno.
E proprio al tempo delle marce
verso la California nasce il mito della “mom”: la donna è
vista come sorgente di forza della nazione. La carovana che lascia
Springfield, nell’Illinois, comprende nove famiglie dirette verso
la California: i Donner, Reed, i Graves, i Keseberg, i Breen, i
Murphy, gli Eddy, i McCutchen, e i Wolfinger. La marcia prenderà il
nome di “Donner Party” e rimarrà una delle pagine più
agghiaccianti di istinto di sopravvivenza. Alla fine di un terribile
inverno i membri del convoglio, intrappolati dal maltempo nelle
sierre, praticarono il cannibalismo nei confronti dei compagni di
marcia otto uomini su dieci perirono diventando cibo. Tutte le
donne, invece, sopravvissero, evidentemente più forti di tempra e
di stomaco. Se il macabro "Donner Party" rivela la
sindrome della mantide, che nell’americano medio è fonte di
orgoglio e preoccupazione, il West ha primati ben meno truculenti
che coinvolgono “l’altra metà del West”.
All’inizio del
periodo di intensivo sfruttamento del West americano, poche donne
giunsero all’Ovest: un manipolo di coraggiose che si resero
immediatamente conto di godere di maggiori privilegi rispetto alle
ragazze rimaste a Est. La penuria di donne nei territori di
frontiera eleva Ia loro condizione sociale. D’altro canto, gli
uomini erano così presi dai loro sforzi per arricchirsi che
l’idea di una qualche supremazia maschile era l’ultimo pensiero
della loro frenetica giornata.
Le esigenze della vita del West
fecero spesso crollare la distinzione femminile. Fu proprio questa
consapevolezza di vivere in una zona franca, lontana dai pregiudizi
ancestrali, che rese le donne del West determinate nel rendere
l’attimo fuggente duraturo. Quando Charles Goodnight barone del
bestiame, progettò la sella laterale da amazzone, il milionario (in
dollari) incorse in uno dei pochi fiaschi della sua carriera. Le
donne, che affrontavano già i rodei, boicottarono Ia pudica
positura a cui Goodnight voleva costringerle e seguitarono a
cavalcare come gli uomini.
Cent’anni dopo, in Italia, vedo sulle
cartoline anni Cinquanta donne sedute lateralmente su vespe
ingombranti, nella stilizzata posizione che le cow-girl avevano
rifiutato. Nel 1867, il movimento per il voto alle donne dilaga nel
Kansas. Patrocinate dall’oratoria di George Francis Train,
l’energico tentativo per la conquista dei diritti civili ha
pioniere come Susan Anthony e Lucretia Mott. Due anni più tardi,
nel 1869, nel Wyoming il tema del suffragio femminile coinvolse
candidati di opposti partiti pungolati da Esther Morris di South
Pass City. Dopo le elezioni, ai repubblicani andò il governatorato,
ai democratici il controllo della legislatura. Convinti di mettere
in difficoltà i repubblicani, i democratici approvarono un progetto
di legge che concedeva il diritto di voto alle donne. Erano sicuri
che il governatore repubblicano avrebbe opposto il proprio veto. Il
governatore, invece, gabbò i suoi avversari politici firmando la legge. Così,
davanti alla nazione incredula, quanto erano increduli i
democratici, le donne godettero del diritto di voto nel territorio
del Wyoming. Tutto ciò avveniva cinquant’anni prima che
l’emendamento alla Costituzione del 1920 estendesse questo diritto
alle altre donne americane.
Il Colorado capitolò nel 1893. Nel
frattempo, donne di opposti caratteri, vite e attitudini lasciarono
traccia di sé fuori e dentro la legge, ma sempre con spirito di indipendenza. Calamity Jane, Belle
Starr, Cattle Kate, Lola Montez, Ann Eliza Young, Etta Place,
lottarono, ciascuna a proprio modo, per sostenere l’uguaglianza
sociale e la libertà sessuale. Ann Eliza Webb, nata nel 1844 in
Illinois, fu un caso clamoroso in quanto non solo combatté per i
diritti delle donne, ma lo fece in una società poligama come era
allora la chiesa mormone. Il suo primo matrimonio, conclusosi
rapidamente, fu un fallimento, il secondo un trionfo. Non che il
secondo tentativo, con Brigham Young, il patriarca noto come “il
leone di Dio”, funzionasse.
Al contrario. Ma fu proprio questo
matrimonio della ventitreenne Ann con il sessantaseienne profeta,
che aveva già altre 18 mogli, a rendere la ragazza cosciente di sé
e dei propri diritti. Quando a Salt Lake City si aprirono finalmente
le porte anche ai non mormoni, Ann conobbe il giudice Hogan e il
giornalista Pond. Da uno dei due ricevette l'opuscolo “Denuncia
della poligamia nell’Utah” di Fanny Stenhouse. Ad Ann si
aprirono gli occhi e lei li aprì
al resto del mondo.
L’Associated Press si interessò a lei. Ann
piantò infine capra, cavoli e “leone di Dio” e girò gli Stati
Uniti tenendo conferenze. Anche Barnum, il re del circo, un
personaggio che sapeva certamente fiutare i fenomeni, la contattò.
Lo stesso presidente Ulysses Grant, dopo averla applaudita, andò a
stringerle la mano. Sfruttata dal suo stesso liberatore, il
giornalista Pond, Ann nel 1907 scrisse "Vita di una prigioniera
dei mormoni”. Il libro uscì soltanto nel 1928 quando colei che era
stata l’eroica Ann Eliza Young, dato il nuovo corso dei tempi,
poteva ormai aspirare solo al dimenticatoio.
Altra autrice, di urlo più che di grido, fu Elisabeth Bacon
Custer, moglie del “generale” George Armstrong. Custer, in realtà,
non era il massimo, come ufficiale. Impulsivo, irresponsabile,
gigione, Custer trovò in Elisabeth una compagna che lo difese
contro ogni evidenza, scrivendo libri, gonfiando leggende, tenendo
conferenze. Il Custer storico è ben lontano dal fulgido eroe alla
Erroll Flynn ma la Elisabeth storica è molto più determinata e
coraggiosa della moglie piagnona e retorica riportataci dal cinema.
Se a Little Big Horn ci fosse andata Elisabeth, Toro Seduto si
sarebbe alzato in piedi per rispetto. Belle Starr, la regina dei
banditi, assaltava carrozze postali, treni, banche. Sposò il
rapinatore di banche Younger, ebbe un figlio da un collega, Jim Reed,
nel 1876 sposò il mezzosangue Blue Duck, poi il mezzo Cherokee Sam
Starr che le diede il cognome, poi il bandito texano Middleton, che
le aveva eliminato Sam Starr. Infine sposò l’indiano Creek Jim
July. A 41 anni aveva avuto sei mariti ufficiali. Altro che mormoni,
era lei la “leonessa di Dio”. Che dire poi di Oklahoma Annie,
detta Cattle Annie, che, insieme all’amica Jenny Stevens, alla
verde età di 16 anni, si unì alla banda Doolin?
Cattle Annie,
fuggita di casa, sparando e rapinando aggregata alle bande più
note, morì di tisi negli slums di New York. Jenny Stevens morì,
invece, da donna “rispettabile”, così come lo era stata, prima
di darsi alle rapine in banca al fianco di Butch Cassidy e Sundance
Kid, la maestrina Etta Place. Un ultimo ricordo per Annie Oakley, la
mia preferita. Fin da bambina imparò a sparare con fucili ad
avancarica.
A 18 anni, nel 1877, divenne nota battendo in una gara
di tiro il celebre campione Frank Butler che, senza pensarci sopra
un solo momento, la sposò: forse una tiratrice del genere preferiva
averla sotto contratto. Annie, col Wild West Show di Buffalo Bill,
girò il mondo. In Europa, con un colpo di pistola, mozzò Ia
sigaretta in bocca al kaiser Guglielmo II.
Ethel Merman, quando
Annie mori, le dedicò il musical “Anna prendi il fucile” e i
cowboy chiamarono gli scontrini ferroviari “Annie Oakley”, in
slang, perché il controllore bucava i biglietti con la stessa
sicurezza con cui Annie centrava il bersaglio. Insomma, se il nostro
Manzoni avesse conosciuto le donne del West le avrebbe sostituite
alle Lucie comasche e alle monache monzesi, per temperamento e
problematiche.
Non per nulla, tra “manzoni” e cowboy il legame, non solo
etimologico, è evidente.
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