e ferrovie (ben dopo il 1860), con gli enormi campi di lavoro che
le circondavano, facevano fuggire i bisonti, rendendo stabile la
separazione delle mandrie a nord e sud del Platte.
Il continuo attraversamento delle piste e l’utilizzo intenso dei
treni, tra l’altro, inducevano ad una caccia spietata dei capi
rimasti in zona, al fine di nutrire i pionieri ed i lavoranti che a
migliaia costruivano le nuove tratte ferroviarie.
Pascoli che potevano essere considerati remoti divennero in breve
tempo a portata di molte tasche: bastava pagare un biglietto di
treno. Cacciatori e curiosi ricercavano le mandrie di bisonti per
farsi fotografare a fianco ad un grosso maschio appena ucciso.
Le stesse proprietà delle linee ferroviarie ingaggiavano
cacciatori professionisti affinché provvedessero a procurare cibo
(ovvero bisonti) ai lavoranti. In questi anni nacque la leggenda di
Buffalo Bill, il cacciatore che in pochi mesi di lavoro per le
ferrovie cacciò quasi 5000 bisonti.
A volte accadeva che i treni incrociassero una grossa mandria che
stava attraversando i binari. In questi casi il comportamento dei
bisonti era sorprendente. Se il treno procedeva lentamente, i
bisonti ultimavano l’attraversamento e tutto filava liscio, ma se il
treno sopraggiungeva troppo rapidamente, molti bisonti sceglievano
l’attacco, gettandosi contro la locomotiva o contro i vagoni,
provocandone, a volte, il deragliamento.
Le ferrovie finirono per fare incrociare la caccia di semplici
appassionati con quella dei professionisti armati di tutto punto in
una miscela micidiale che non tardò a produrre effetti nefasti.
Numerosi accampamenti di cacciatori professionisti battevano le
pianure dal 1872, uccidendo tutti i bisonti che trovavano, al fine
di scuoiarli ed inviare le pelli ai mercati dell’est.
Migliaia di chilometri quadrati di praterie finirono per essere
uno spaventoso cimitero all’aperto dall’aria irrespirabile per via
delle carcasse abbandonate ad una indegna putrefazione che scatenava
l’ira delle tribù indiane.
La ricerca del massimo profitto armò migliaia di braccia con
fucili sempre più potenti e precisi, mentre altre migliaia di
braccia si occupavano di scuoiare le carcasse.
Calcoli piuttosto affidabili hanno consentito di stimare in 3
milioni i bisonti ammazzati dai bianchi tra il 1872 ed il 1873, a
fronte di neanche mezzo milione di uccisioni da parte di indiani.
Tutto questo a discapito degli stessi affari dei commercianti
bianchi che nel 1874 poterono raccogliere appena 50 mila pellicce!
Dal 1875 un’ottusità ben superiore a quella che gli stessi
bianchi attribuivano ai bisonti aveva portato alla completa
sparizione delle grandi mandrie del sud.
Restavano quelle del nord, molto più piccole, ma distese su
territori più ampi e maggiormente controllati da indiani.
Erano quelli gli anni delle ultimi guerre indiane e lo sterminio
dei bisonti del nord fu invocato da parti importanti dell’esercito,
allo scopo di fiaccare la resistenza delle tribù. I cacciatori di
professione invasero il Dakota ed il Montana, uccidendo centinaia di
migliaia di bisonti, ovunque si trovassero, in estate e nel gelo
dell’inverno.
Il bisonte arrivò a sfiorare rapidamente l’estinzione.
Nel 1883 i Sioux di Toro Seduto furono autorizzati ad organizzare
un’ultima grande caccia al bisonte, ma le prede erano impossibili da
rintracciare.
Nel 1894 il Governo Federale dovette prendere atto della
necessità di difendere le poche decine di esemplari di bisonte
sopravvissuti e lo fece con una legge che vietò la caccia al
bisonte. A quel tempo restava una sola mandria “misurabile”, quella
protetta dai labili confini del Parco Nazionale di Yellowstone, che
contava quasi 200 esemplari, ma anche questi – cacciati dai
bracconieri – divennero presto 25.
Da quel momento lo stesso popolo bianco che tanto aveva fatto per
distruggere la specie simbolo degli USA, si organizzò per
promuoverne la salvaguardia in ogni modo, riuscendo a consegnarci,
oggi, circa 35 mila bisonti che ruminano comodamente all’interno di
ranch privati, riserve indiane e nel citato Parco di Yellowstone.