a caccia al
bisonte era per gli Indiani un'attività legata alla vita stessa dal
momento che la sopravvivenza dipendeva completamente da questo
animale. Nello stesso tempo era una competizione, una prova di
coraggio e di abilità a cui ci si preparava fin da piccoli.
Quando gli
studi erano terminati, per il piccolo indiano diventato adulto,
arrivava il giorno degli esami: l'aula era la prateria e
l'esaminatore il bisonte.
Catlin diceva:
"I poveri bisonti sono perseguitati dal loro nemico,
l'uomo, durante tutto l'anno e nei mille modi escogitati per
ucciderli. Lottano invano per sfuggire alle frecce quando il
cacciatore compare nella prateria in groppa al suo cavallo
selvaggio; si buttano in mezzo ai mucchi di neve e diventano una
preda ancora più facile; oppure osservano ignari e tranquilli senza
sospettare che sotto la pelliccia di un lupo bianco si cela uno di
loro, con le sue armi micidiali, pronto a colpirli prima che si
siano accorti del pericolo. Da queste parti ci sono diversi tipi di
lupi. Il più formidabile e numeroso è il lupo bianco. Gira furtivo
in branchi di 50 o 60 individui, comparendo in lontananza, sul verde
della prateria, come se fosse un gregge di pecore. Molti diventano
grossi, rivaleggiando in dimensioni con un cane Terranova.
Attualmente i bisonti sono numerosi e questi feroci animali sono
sempre sazi della loro carne e quindi sono inoffensivi e sfuggono la
presenza dell'uomo. Ma penso che non sarà così dopo che i bisonti
saranno scomparsi da questo territorio e a loro sarà rimasto ben
poco da mangiare. Li si vedono sempre seguire da vicino le mandrie,
pronti a balzare sui resti che i cacciatori lasciano indietro o ad
avventarsi sugli animali feriti. Quando i bisonti sono tutti in
gruppo non hanno troppa paura dei lupi e li lasciano avvicinare.
Così gli Indiani hanno approfittato di questo fatto e spesso si
celano sotto la pelle di un lupo e strisciano per un miglio e anche
più sulle mani e sulle ginocchia, fino ad arrivare a pochi passi
dalla mandria e quindi abbattono agevolmente i capi più grossi."
La caccia
aveva anche una grande sacralità per i Pellerossa. Non a torto il
bisonte ha avuto un ruolo considerevole per gli indiani, tanto che
possiamo considerare dipendenti l'una dall'altra la vicenda dell'estinzione
dei bisonti e l'annientamento delle tribù delle praterie. Però in
entrambi le tristi vicende anche i nativi non sono esenti da colpe.
Allo sterminio dei bisonti hanno contribuito enormemente anche gli
indiani, spinti verso il commercio delle pelli per il
soddisfacimento di bisogni indotti.
Così
l'attività della caccia non sempre è servita solo ad assicurare il
sostentamento alle tribù. Se troviamo deprecabile la mattanza fatta
da Buffalo Bill e lo sport di sparare ai bisonti dai finestrini dei
treni, ancor più è riprovevole e sconsiderata la caccia per
procurarsi le pelli e barattarle con l'alcool od altri beni
voluttuari.
Prima
dell'avvento del cavallo, la tecnica di caccia al bisonte prevedeva
la messa in fuga della mandria verso un precipizio, nel quale
sarebbe precipitata, o dentro ad un recinto dove sarebbe stata
annientata con facilità. Veniva utilizzato un uomo con indosso la
pelle di un bisonte che attirava la mandria nella direzione voluta.
Il ruolo di chiamatore di bisonti non solo richiedeva la perfetta
conoscenza del comportamento di questi animali, ma anche una grande
resistenza ed abilità. Camuffato da bisonte il chiamatore, con il
suo comportamento e la mimica, doveva piano piano stimolare,
attrarre e convincere i capi della mandria ad andare verso di lui e
verso il dirupo. Una volta che la mandria era ben avviata nella
direzione voluta, gli altri indiani uscivano dai nascondigli
collocati lungo i fianchi del percorso ed urlando la mettevano in
fuga verso il precipizio. Questo modo di cacciare non era nè
selettivo nè stagionale ed il bisonte non era il perno attorno a cui
ruotava l'intera vita degli indiani. Nel burrone o nel recinto
capitavano animali giovani e vecchi, sani e malati, tori,vacche e
vitelli, scarsi o abbondanti secondo la mandria individuata ed il
periodo dell'anno. I cacciatori indiani a piedi avevano gravi
problemi logistici e per questo spesso si adattavano anche
all'agricoltura e praticavano una cacciagione varia e diversificata.
Con l'arrivo del cavallo si ebbe una vera e propria rivoluzione nel
rapporto indiano-bisonte. Con il cavallo l'indiano aveva acquistato
velocità e capacità di movimento. Poteva cercare le mandrie in tutta
la prateria ed una volta individuati i bisonti, poteva selezionare
il sesso, l'età, nonchè la quantità degli animali da abbattere
secondo le sue necessità.
Prima di
iniziare la caccia i Capi scelgono i cacciatori più bravi e veloci a
cui affidano il compito di attaccare per primi la mandria. Il loro
bottino è destinato a tutti coloro che non sono in grado di
provvedere a se stessi: i poveri della tribù, le vedove, le donne
non maritate, i vecchi, gli omosessuali ed a tutte quelle persone
che non partecipano alla caccia. Questa è la prima fase e solo dopo
che i guerrieri hanno ucciso i primi animali per la comunità, la
caccia diventa un affare individuale. Ciascuno sceglie i suoi
bersagli e cerca di abbaterli come meglio crede, per suo conto e nel
numero che ritiene necessario.
Ma seguiamo in
successione tutte le varie fasi della caccia.
Quando gli
indiani scorgono in lontananza la mandria dei bisonti si tiene un
conciliabolo sul modo di condurre l'attacco. Trovato l'accordo
sull'azione di accerchiamento, i cavalieri, armati di arco, frecce e
lancia montano i loro cavalli appositamente addestrati alla caccia
del bisonte e si dividono in due colonne prendendo opposte
direzioni. Piano piano si dispongono attorno alla mandria, ad una
distanza di circa due chilometri, formando un cerchio di cavalieri
equidistanti fra loro. I cacciatori devono mantenersi sempre
sottovento per evitare che l'odore dei cavalli e dell'uomo metta in
allarme i tori adulti che coprono i fianchi della mandria,per
proteggere le femmine ed i vitellini che si trovano al centro. Poi
ad un segnale convenuto, lentamente stringono verso il centro. La
mandria,che prima non aveva nessun sospetto, ora sente il vento,
avverte cioè l'approssimarsi del nemico e si da alla fuga in una
confusione enorme. Intanto i cavalieri hanno stretto i ranghi in
tutte le direzioni e formano una linea interrotta intorno ai bisonti
che, terrorizzati girano in tondo scalciandosi ed urtandosi a
vicenda.
A questo punto
inizia la mattanza. I cavalieri scagliano lance e frecce per
trafiggere al cuore gli animali. I bisonti feriti spesso si lanciano
con furia contro i cavalli ferendoli mortalmente e costringendo i
cavalieri ad una rapida fuga a piedi. Se si salvano lo devono solo
alla forza delle loro gambe. Qualche volta, il guerriero, pressato
da vicino da un bisonte inferocito, si toglie il corto gonnellino e
lo getta sugli occhi dell'animale, cercando scampo nella prateria.
Cacciare il bisonte era un'impresa che richiedeva un'abilità
straordinaria ed un coraggio enorme. Armati di sole frecce e lance,
i cacciatori dovevano avvicinarsi a pochi metri da quei colossi
muscolosi lanciati in piena corsa per colpirli ed abbatterli.
Abbiamo già
visto come e dove doveva essere colpito il bisonte: sopra la spalla
sinistra per raggiungere il cuore. Questo era il punto più
vulnerabile. Era inutile colpirli alla testa perchè il bisonte ha un
doppio cranio e le frecce rimbalzavano innocue su quei testoni
corazzati. Neppure colpirli ai fianchi era garanzia di successo,
perchè se l'angolo d'impatto della freccia non era perpendicolare,
la punta schizzava via sulla robusta pelle. Perciò i cacciatori
dovevano accostarsi ai bisonti, mettersi al passo con essi,
avanzando a zig zag, evitando però di essere travolti dalla mandria
in corsa per portarsi al centro della stessa per colpire le
giovenche ed i vitelli. Il momento più pericoloso della caccia era
quando la bestia crollava a terra colpita mortalmente. A quel punto
il resto della mandria, scartava bruscamente per evitare la vittima,
continuando la corsa nel panico e minacciava così di travolgere
cavallo e cavaliere. Per questa ragione i cavalli per la caccia
erano addestrati ad allontanarsi subito dal bisonte abbattuto, dopo
essersi portati a ridosso della preda. Quando andavano a caccia gli
indiani portava anche un lungo lazo, che veniva lasciato pendere
dietro le zampe del cavallo. Rincorrendo i bisonti poteva capitare
di essere disarcionati ed allora se si riusciva ad afferrare il lazo
si cercava di fermare il cavallo e rimontare in sella. Si evitava in
tal modo di essere travolti e fatti a pezzi dagli zoccoli della
mandria impazzita, che poteva correre ad oltre 50 chilometri l'ora.
Di solito gli
indiani si procuravano la carne per la scorta invernale cacciando in
autunno, quando gli animali erano più grassi. Si sceglievano le
giovenche ed i giovani vitelli evitando i grossi e vecchi tori la
cui carne risultava immangiabile perchè dura, stopposa ed olezzante.
Però si cacciava anche in inverno sia per avere carne fresca sia
perchè la pelliccia ha maggior valore essendo il pelo più lungo ed
abbondante. Per cacciare nella neve gli indiani non usavano il
cavallo, perchè impossibile, ma andavano a piedi servendosi di
racchette da neve. Nascosti sotto una pelliccia di lupo bianco si
avvicinavano alla mandria quel tanto che bastava per colpire la
preda con le frecce o con la lancia. Altre volte gli indiani
aspettavano, nei loro villaggi invernali, riparati nelle valli,
l'arrivo dei bisonti che si spostavano alla ricerca di pascoli non
ancora ricoperti dalla neve. Quando veniva segnalata l'apparizione
di queste mandrie occorreva che nel villaggio regnasse il silenzio
più assoluto. Gli akicita badavano affinchè tutti si richiudessero
nelle tende, compresi i loro cani. Non si doveva tagliare la legna e
si dovevano spegnere i fuochi. Persino se qualche bisonte si
avventurava nel villaggio e sfiorava le tende degli indiani
affamati, nessuno aveva il diritto di abbatterlo, per paura di
spaventare il grosso della mandria. Uccise le bestie necessarie si
lasciavano fuggire le altre. Solo allora i cacciatori si muovevano
verso gli animali uccisi cercando di riconoscere le proprie frecce
sui capi abbattuti per aggiudicarsene la proprietà. Anche le donne
allora correvano eccitate, da una carcassa all'altra cercando la
bestia abbattuta dal loro uomo e riconoscibile dalle frecce ornate
con le piume ed i colori del clan. Ogni cacciatore aveva le proprie
insegne dipinte sulle armi, per riconoscere quale bisonte ucciso gli
appartenesse e gli akicita, i magistrati poliziotti, dovevano
intervenire spesso per sedare liti e dirimere controversie quando
frecce di diversi colori, dunque di diversi cacciatori, stavano
conficcate in una stessa carcassa. Gli akicita valutavano con occhio
esperto le frecce, esaminavano la bestia per veder quale freccia
avesse inferto il colpo mortale e stabilivano a chi spettasse il
bisonte, o in quante parti andasse diviso. Terminata la caccia, le
donne procedevano immediatamente alla macellazione ed al trasporto
della carne prima del tramonto del sole e prima dell'arrivo dei
predatori della prateria. Intanto gli uomini si interessavano del
recupero delle armi, alla cure delle ferite proprie o dei cavalli.
Per chiudere
la giornata i capi e gli sciamani sceglievano l'animale più grosso e
l'offrivano al Grande Spirito in segno di riconoscimento per quel
cibo e di rammarico per quella morte. Poi, piantate le tende, dopo
la scorpacciata serale di carne di bisonte, si formava un circolo
attorno al fuoco centrale del villaggio, si pregava e si chiedeva
perdono al Fratello Bisonte per avere sparso il suo sangue. Il
massacro era stato necessario per assicurare la sopravvivenza della
tribù. Tutti si impegnano, per il futuro, a non uccidere più animali
di quanti ne fossero necessari al popolo. La carcassa, dopo la
cerimonia, restava all'aperto per molti giorni, prima di essere
bruciata e le ceneri sparse al vento della pianura perchè fossero
come i semi portati dagli insetti e dagli uccelli per assicurare la
rinascita di molti altri bisonti.