I monti Candelaria
el novembre del 1879, il giornale "Sun" di New York, riferì:
"Victorio, il capo degli Apache Warm Springs, ha sconfitto i suoi
inseguitori. Domenica scorsa (9 novembre) ha teso un imboscata a una
compagnia di cinquanta uomini del Nuovo Messico che lo stavano
braccando, uccidendone trentadue. Gli altri, benché feriti, sono
riusciti a scappare e hanno potuto raccontare la storia."
Secondo lo storico Dan Thrapp, nonostante il resoconto
dell'avvenimento fosse confuso, le cifre riportate erano quasi
esatte.
Dopo lo scontro con il maggiore Morrow - avvenuto il precedente mese
di ottobre - Victorio si recò con la sua banda sui Monti Candelaria,
uno dei rifugi preferiti degli Apache. Sui versanti settentrionali
di questa catena montuosa era situato un pozzo d'acqua, da allora
chiamato Tinaja de Victorio, e con ragione, visto che proprio là
avvenne uno dei massacri più sanguinosi della storia dell'Apacheria.
A quanto pare proprio quel giorno presso il pozzo la banda di
Victorio stava costruendo la propria rancheria quando le sentinelle
annunciarono che si stava avvicinando una banda di messicani. Subito
gli Apache scomparvero tra le rocce, attendendo nel silenzio più
assoluto.
I messicani erano stati armati e mandati a perlustrare le montagne
alla ricerca d'indiani ostili dal sindaco della cittadina di
Carrizal (Chihuahua), posta a circa 30 miglia a sud dei monti
Candelaria.
La storia di ciò che accadde a quei diciotto uomini e a coloro che
li seguivano è raccontata in alcune lettere. In quella del giudice
A.Jaquez - della Hacienda di El Carmen - si narra testualmente:
"Poco fa (alle dieci e mezza di sera) ho mandato un gruppo armato
alla città di Carrizal, su richiesta del sindaco della stessa, per
gli scopi descritti nella seguente comunicazione a me inviata:
Città di Carrizal
Sono appena tornati venti degli uomini da me mandati in soccorso
agli altri precedentemente partiti, i quali mi hanno informato di
essere rimasti senza cavalli, e hanno raccontato che gli indiani
hanno ucciso quindici di loro mentre stavano seppellendo i diciotto
del primo gruppo, anch'essi ammazzati dagli indiani. I cadaveri sono
rimasti insepolti sul campo, perché gli indiani si sono
asserragliati alla Tinaja de la Candelaria che domina la strada
principale fra El Paso e La Salada. Credo che soltanto radunando un
gruppo di duecento uomini esperti sarà possibile tentare di
scacciare gli indiani dalla posizione che occupano, o di seppellire
i morti che, lo ripeto, sono più di trenta. Accludo la lista dei
defunti che è stato possibile compilare."
Il tenente George W.Baylor, che comandava un drappello della
compagnia C del Battaglione di frontiera dei Ranger del Texas, in
un'altra lettera inviata da Ysleta, raccontò come era rimasto
coinvolto nella sanguinosa faccenda: "Dopo la sconfitta del
maggiore Morrow, gli indiani, probabilmente duecento, proseguirono
fino a circa 55 miglia ad ovest di qui, e si accamparono sulle
Candelaria Mountains. Ma un gruppo di 15 messicani, i migliori
cittadini di Carisal, trovò una traccia, la seguì, cadde in un
imboscata, e fu sterminato. La scena del massacro era orribile. Vidi
dietro un piccolo parapetto (che i messicani avevano frettolosamente
eretto) sette cadaveri ammucchiati in uno spazio di circa un metro e
ottanta per poco più di due metri. Gli indiani avevano dimostrato
grande astuzia. Il sentiero passava fra tre colline rocciose. I
messicani furono aggrediti quando giunsero sul crinale.
Evidentemente erano già smontati; corsero al versante opposto alla
collina dalla cima della quale gli indiani sparavano. Poi gli
indiani aprirono il fuoco anche da una posizione quasi sovrastante
alla loro e ammazzarono i cavalli legati. Tutti i messicani furono
uccisi. Fuori del parapetto venne trovata una loro lettera d'aiuto,
vicino alle salme di due uomini che, evidentemente, erano stati
crivellati di pallottole mentre cercavano di scappare. Altri
trentacinque uomini, quasi tutti combattenti di Carisal, si recarono
alla ricerca dei loro compagni, e gli indiani riuscirono ad
attirarli sul luogo stesso del massacro, presso il quale ne uccisero
undici. I cadaveri di tre che erano riusciti ad allontanarsi non
furono ritrovati. Ne seppellimmo 26."
A questo drappello di Rangers si erano uniti diversi altri gruppi di
combattenti, provenienti da altre cittadine messicane, cosicché le
forze unite contavano 179 combattenti, muniti di armi a retrocarica.
Cercarono di ingaggiare combattimento con la banda di Victorio, ma
le tracce rivelarono che gli Apache erano rimasti soltanto per circa
due giorni, dopo il doppio massacro. Si erano poi dileguati. Infine,
Baylor disse: "Nascosti fra le rocce, trovammo dieci selle
appartenute ai defunti. Le spade e i fucili ad avancarica erano
stati tutti spezzati, a dimostrazione che Victoria è ben provvisto
d'armi. Le tracce conducevano a nord, quindi gli indiani stanno
probabilmente tornando nel Nuovo Messico, dove presto sapremo di
altri delitti."
A confermare le summenzionate fonti "americane e messicane" - circa
il doppio massacro del 9 novembre 1879, subito dai messicani sui
Monti Candelaria - vi sono le dichiarazioni di Kaywaykla (un
giovanissimo membro della banda di Victorio),il quale, sicuramente,
si riferiva proprio a questo episodio quando narrò ad Eve Ball:
"Nana raccontò che entrammo nel Messico durante la Luna Indiana
(settembre); In quel periodo gli Apache e i Comanche facevano
scorrerie per procurarsi cavalli. Sanchez, come Victorio, conosceva
bene le abitudini dei messicani.
Fu più tardi che alcuni guerrieri riferirono al capo (Victorio) di
una insolita agitazione che si era creata a Carrizal; molti uomini
si riunivano in gruppi per discutere. Sanchez si offrì volontario
per scoprire cosa stava accadendo. Tempo prima (Sanchez) aveva
ucciso un vaquero vicino al Rio Grande, e ne aveva conservato gli
abiti. Li indossò e montò su un cavallo e si avviò verso Carrizal.
Girò tranquillamente, prese qualcosa da bere nella cantina e si
fermò a parlare con dei mozos (servi). Così venne a sapere che i
messicani stavano preparando un piano per invitare Victorio e i suoi
uomini al villaggio per farli ubriacare e ucciderli. Sanchez parlò
con altri vaqueros e se ne andò indisturbato. Il giorno dopo,
infatti, un indiano Tarahumara venne al campo per invitarci a
Carrizal. Il capo(Victorio) lo ricevette cortesemente,
ringraziandolo, e ordinò che l'uomo fosse lasciato libero di tornare
al villaggio. Molti guerrieri erano fuori alla ricerca di munizioni,
ed era un bene, perchè così il Tarahumara avrebbe riferito di aver
visto solo un piccolo gruppo di guerrieri. Quando i guerrieri
tornarono con cavalli razziati, in un primo momento, Victorio fù
contento. Ma Sanchez vide il marchio e scosse la testa. Era quello
di Terrazas, il capo (governatore) della città dei muli (Ciudad
Chihuahua), che sicuramente si sarebbe vendicato. Victorio decise di
tendergli un imboscata: nascose le donne e i bambini in una mesa
sopra il canyon, e dopo aver fatto appostare i guerrieri, si mise ad
aspettare. La vegetazione sulla mesa era fitta, i guerrieri potevano
controllare il canyon senza essere visti. Alle nostre spalle c'era
un arroyo (torrente asciutto), dove nascondemmo i cavalli già
sellati. Come sempre vennero messi osservatori dovunque. Ogni
guerriero di guardia aveva con sé un piccolo specchio per i segnali.
Victorio sistemò alcuni guerrieri scelti lungo il pendio
settentrionale del canyon, da cui si poteva dominare il torrente, e
Nana ne condusse altri sul pendio a sud, che si nascosero dietro ai
massi. Victorio rimase insieme a noi sulla mesa, fino a quando
alcuni segnali che provenivano dall'entrata del canyon non lo
avvertirono dell'arrivo dei nemici. Si sdraio su una roccia,
scrutando con un binocolo: era il primo che vedevo, disse Kaywaykla.
Messicani, non soldati, disse Victorio, e raggiunse Nana con i suoi
guerrieri. I messicani avanzavano verso il canyon risalendo, in
fila, il torrente. Smontarono da cavallo per bere e proseguirono
dritti verso il luogo dell'imboscata. Kayatennae li lasciò passare
davanti al suo nascondiglio, prima di aprire il fuoco. Quelli che si
trovavano sulla sinistra, uccisero tutti i cavalli prima di colpire
gli uomini: dei 12 messicani, 2 morirono mentre gli altri si
ritirarono verso sud, dove erano appostati i guerrieri di Nana.
Tutto durò pochi minuti. I guerrieri camminarono tra i corpi,
raccogliendo fucili e munizioni, e non appena uno di questi dava
segni di vita, veniva infilzato con una lancia. Presero le casacche,
le selle e risalirono faticosamente la mesa. Non ci furono torture
né mutilazioni. Lo so perché avevo osservato quanto era accaduto.
Victorio arrivò, ma non diede l'ordine di montare a cavallo e
rimanemmo al campo. Nessuna danza fu fatta per la vittoria
conseguita, nonostante le insistenze dei guerrieri più giovani. Chi
stava di guardia non si mosse. Mentre i giovani si dividevano il
bottino, Victorio si allontanò. Ando dalla nonna (di Kaywaykla) per
avere del cibo e rimase in silenzio. Sembrava depresso.
Un secondo gruppo di ricos venne a cercare i compagni che erano
morti. Ma gli avvoltoi e i lupi avevano lasciato poco dei loro corpi
e lo stesso accadde a quest'altro gruppo. Tutto avvenne senza che
nessun Apache fosse ferito. Dopo, Victorio ordinò di muoversi."
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