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A cura di Omar Vicari

La battaglia finale

I

l 1870 fu per Custer un anno di relativa tranquillità. Nel 1871 venne inviato col 7° nel profondo sud a causa dei continui disordini provocati dal Ku Klux Klan, un movimento politico che si batteva contro la concessione del voto ai negri.

Nel 1872, durante la visita negli Stati Uniti del figlio dello zar, il granduca Alessio di Russia, Custer, assieme ad altri generali fu incaricato di organizzare una caccia al bisonte per intrattenere l’ospite europeo. Facevano parte del gruppo anche Buffalo Bill e un centinaio di guerrieri Sioux che eseguirono davanti al granduca le loro danze e si esibirono a cavallo in spericolati caroselli.

Custer e il granduca simpatizzarono moltissimo e al generale fu concesso l’onore di scortare il figlio dello zar a New Orleans dove erano ancorate le navi della flotta russa.

Nell’aprile del 1873 il 7° cavalleria venne di nuovo rispedito al nord, a Fort Lincoln nel Nord Dakota. Appena sul posto, Custer, su pressione del generale Sheridan, organizzò una spedizione di ricognizione nella zona delle Black Hill con la scusa di proteggere gli indiani da eventuali intrusioni da parte dei bianchi. La spedizione, per colmo di sventura dei Sioux, portò alla scoperta dell’oro.

A quel punto era chiaro che quello che doveva essere un territorio inviolabile “sino a quando il sole splenderà e l’erba continuerà a crescere”, d’un tratto doveva diventare un territorio di esclusiva pertinenza dei bianchi. Il governo di conseguenza organizzò una nuova spedizione, nella quale i geologi avrebbero dovuto verificare la consistenza dei giacimenti. Per placare la collera degli indiani, il governo arrivò a mercanteggiare le loro terre, a tentare in qualche modo di comperare le Colline Nere. La posizione dei Sioux a tale riguardo era del tutto prevedibile e solo Nuvola Rossa, stanco di combattere i bianchi, sembrò accettare l’offerta. La maggior parte delle tribù, come risposta, abbandonò nel 1875 le riserve di Pine Ridge e di Standing Rock per portarsi nella zona del fiume Powder. Nei primi mesi del 1876 il governo degli Stati Uniti considerò ostili gli indiani fuori delle riserve e a tale riguardo sollecitò un intervento da parte dell’esercito.

Era quello che voleva Sheridan! Convocati a Chicago i generali George Crook e Alfred H. Terry, concordò con essi un piano nel quale avrebbe avuto una parte attiva anche George A. Custer.

Il piano prevedeva l’impiego di tre grosse colonne di soldati, una al comando di Crook proveniente dal Wyoming, un’altra al comando del colonnello Gibbon proveniente dal Montana e la terza al comando di Terry  proveniente dal Nord Dakota. Le tre colonne avrebbero dovuto incontrarsi nella zona del Powder dove maggiormente si concentravano le forze dei Sioux e dei Cheyenne.

Nel mese di aprile 1876, da Fort Shaw nel Montana, si mosse John Gibbon con circa 500 uomini tra fanteria e cavalleria. Il 17 di maggio, da Fort Lincoln ( Nord Dakota) partì la colonna di Terry composta da un migliaio di uomini tra i quali il 7° cavalleria di Custer. Terry avrebbe dovuto, costeggiando il fiume Yellowstone, andare incontro alle truppe di Gibbon e poi con esse ricongiungersi con quelle di Crook nel punto in cui il fiume Big Horn si congiunge allo Yellowstone. Il piano , ben congegnato, aveva comunque un grosso limite. I tre generali, infatti, marciando ognuno per proprio conto, date le asperità del terreno e le difficoltà delle comunicazioni, rischiavano di ignorare quello che poteva accadere alle altre colonne. Crook, infatti, all’insaputa degli altri due colleghi, venne fermato per due volte da Cavallo Pazzo nel Wyoming e costretto a tornare a Fort Fetterman in attesa di nuovi rinforzi. Comunque sia, Terry raggiunse lo Yellowstone già ai primi di giugno e alla confluenza del Powder trovò attraccato, come prestabilito, il battello a ruote “Far West” che doveva servire per il trasporto dei rifornimenti. Una volta sul Powder, Terry predispose una perlustrazione in larga scala della zona. Nei giorni che seguirono, il maggiore Reno con alcuni reparti del 7°, trovò tracce di un grosso accampamento tra i fiumi Tongue e Rosebud.

Subito avvertiti, Terry e Gibbon, navigando col “Far West”sullo Yellowstone, arrivarono alla foce del Rosebud dove il 21 di giugno approntarono un piano d’attacco.

L’idea di Terry era quella di affidare a Custer il compito di chiudere gli indiani da sud risalendo la valle del Rosebud e spingerli quindi verso nord da dove sarebbero sopraggiunte le truppe di Gibbon.

Il generale Terry conosceva bene Custer e, conoscendo ancora meglio la sua avventatezza, gli ordinò di non attaccare prima del 26 giugno. Questo perché le truppe di Gibbon, perlopiù appiedate, non sarebbero giunte prima di quella data a ridosso degli indiani. Come si può leggere nel libro si Gualtiero Stefanon, “Uomini bianchi contro Uomini rossi”, Terry diede le consegne a Custer concludendo con una frase ambigua: non attaccare “a meno che voi non abbiate un motivo sufficiente per non eseguire gli ordini”. Una frase che Custer avrebbe preso alla lettera e che lo avrebbe condannato per sempre. Come preso da un presentimento, Terry offrì a Custer dei rinforzi, che però vennero con cortesia rifiutati. Custer rifiutò anche l’offerta di alcune mitragliatrici “Gatling”, ritenute probabilmente ingombranti e stranamente i cavalleggeri partirono senza neanche le loro spade d’ordinanza.

Il 22 di giugno, sotto gli occhi di Gibbon e Terry, Custer partì in direzione della valle del Rosebud con 617 uomini tra ufficiali, sottoufficiali, truppa, scout indiani, guide e alcuni civili. Nei giorni che seguirono, la colonna di Custer avanzò nella valle per un centinaio di chilometri sino a quando , alle prime luci del 25 giugno, gli scout Arikara del tenente Charles A, Varnum individuarono il lontananza ad ovest della valle, esattamente sul corso del Little Big Horn, il fumo dei fuochi dell’accampamento degli indiani. Custer stesso si rese conto della cosa arrivando di persona sull’altura del Crow Nest (Nido del corvo), il punto di osservazione degli indiani Arikara. Bisognava però rispettare gli ordini di Terry ed aspettare l’arrivo di Gibbon prima di attaccare.

Nella notte del 25 giugno però accadde che un gruppo isolato di guerrieri Sioux venisse a contatto col reparto della salmeria e questo fece temere a Custer che il grosso dei guerrieri del villaggio potesse in qualche modo fuggire, avvertito della presenza dei cavalleggeri. Memore delle parole di Terry, Custer trovò quindi “il motivo sufficiente per attaccare senza eseguire gli ordini”. In altre parole avrebbe fatto di testa sua senza aspettare Gibbon. Era la sua occasione e niente al mondo lo avrebbe convinto del contrario. Quando tutto sarebbe finito, una vittoria certa sui Sioux gli avrebbe aperto la strada per una carriera politica che in cuor suo aveva come obiettivo finale la presidenza degli Stati Uniti. Sicuro di essere stato scoperto, quindi, comunicò ai suoi ufficiali l’intento di attaccare subito il villaggio senza aspettare l’indomani. Intorno a mezzogiorno del 25 giugno, Custer arrivò col reggimento al fiume che oggi è conosciuto col nome di Reno Creek (torrente Reno). In quel punto Custer divise gli uomini di cui disponeva in tre squadroni. Il primo, al comando del capitano Frederick W. Benteen, era composto da circa 120 uomini. Il secondo, al comando del maggiore Marcus A. Reno, comprendeva una forza di circa 150 uomini tra ufficiali, soldati, scout Arikara e civili, dove per civili si deve intendere giornalisti, fotografi ecc. Il terzo squadrone, forte di 250 uomini circa, era al comando dello stesso Custer.

Il generale diede quindi ordine a Reno di avanzare lungo la riva sinistra del torrente dove evidenti erano le tracce degli indiani che portavano al villaggio. Il torrente alcuni chilometri più a vanti sfocia nel Little Big Horn, vicino al punto in cui era sistemato il campo dei Sioux e dei loro alleati.

Il maggiore Reno, quindi, avrebbe dovuto attaccare il campo da sud, mentre Custer, procedendo sulla riva destra dello stesso torrente, avrebbe dovuto arrivare al Little Big Horn un po’ più a nord, guadarlo e attaccare il villaggio da quella direzione. Benteen, infine, col suo reparto avrebbe dovuto concludere la manovra a tenaglia da una direzione diversa arrivando al Little Big Horn da sud-ovest. Per eseguire l’ordine di Custer e arrivare al fiume da quella direzione, Benteen dovette però eseguire una manovra troppo dispersiva che lo portò a perdere il collegamento con le altre due colonne. Custer e Reno, nel frattempo, procedendo lungo il torrente su rive opposte avvistarono i primi indiani presso un tepee in fiamme, a pochi chilometri dalla confluenza del torrente col Little Big Horn. Costoro, alla vista dei cavalleggeri, si diedero a una fuga precipitosa verso il villaggio che distava ormai soltanto qualche chilometro. Immediatamente Custer diede l’ordine a Reno di inseguire il gruppo di indiani assicurandogli nel contempo tutta la sua assistenza. Il maggiore Reno eseguì l’ordine e in pochi minuti, seguendo gli indiani che fuggivano, raggiunse il Little Big Horh.

In lontananza, più o meno a tre o quattro chilometri più avanti, si poteva vedere il villaggio indiano in tutta la sua grandezza. Guadato il fiume, Reno ordinò la carica verso il villaggio e forse in quel momento si rese conto contro chi e contro cosa stava andando perché una massa enorme di guerrieri gli si parò di fronte con le loro urla di guerra. Vista l’impossibilità di sfondare verso il villaggio, Reno ordinò di smontare da cavallo e di trincerarsi tra gli alberi del fiume sicuro dell’intervento di Custer. Reno guardò l’orologio, erano le quattro del pomeriggio, ma dove fossero finiti Custer e Benteen lo sapeva soltanto il cielo. Più o meno alle tre e mezzo, quindi mezz’ora prima, Custer si trovava più a nord, esattamente nel punto in cui un piccolo torrente, il Medicine Tail Coulee, si getta nel Little Big Horn. Da quel punto poteva guardare l’ampiezza del villaggio e, viste le dimensioni, forse per la prima volta sarà stato assalito da più di un ragionevole dubbio.

Sicuramente aveva sottovalutato l’avversario, almeno nel numero. Nella sua mente aveva pensato di dover affrontare  non più di un migliaio di indiani, mentre ora le dimensioni del villaggio potevano deporre per una cifra almeno cinque volte superiore. Ora in cuor suo forse malediceva il fatto di aver frazionato il reggimento. Il suo disprezzo per gli indiani che considerava vili e l’estrema sicurezza della superiorità dei suoi cavalleggeri, lo portava a considerare che era possibile affrontare il nemico anche coi soli 250 cavalleggeri del suo squadrone. Quel giorno però i conti non tornarono e allora in un attimo di esitazione, prima di guadare il Little Big Horn, diede l’ordine al trombettiere John Martin (Giovanni Martini) di raggiungere il capitano Benteen e di esortarlo a raggiungerlo immediatamente per una azione comune contro gli indiani. Giovanni Martini era un emigrante italiano di Sala Consilina, un paese del Salernitano. Il suo era un inglese approssimativo e per tale ragione il tenente W.W.Cooke si incaricò di scrivere l’ordine su un pezzo di carta. Con l’ordine in mano, Martini spronò il cavallo nella direzione in cui doveva trovarsi Bennteen che nel frattempo si stava avvicinando al campo indiano dopo aver compiuto la manovra ordinata da Custer, della quale neanche lui ne aveva capito la ragione. Una volta letto il messaggio Benteen accelerò  il passo e quando raggiunse la pista della colonna di Custer, udì un intenso fuoco di fucileria. Sul momento credette si trattasse di Custer che stava spingendo i Sioux verso di lui, invece era solo il reparto di Reno che disperatamente tentava di raggiungere l’altura che oggi è conosciuta come Reno Hill.

Benteen riuscì in qualche maniera a raggiungere Reno al quale fece vedere l’ordine scritto che gli ordinava di raggiungere Custer. Il maggiore, forse provato psicologicamente dal precedente scontro coi Sioux o probabilmente conscio della morte sicura dei cavalleggeri vista la disparità di forze, diede un nuovo ordine a Benteen col quale lo obbligava a tenere insieme la collina. Un comportamento del genere avrebbe in seguito pesato molto sulle carriere dei due ufficiali.

Alle quattro del pomeriggio, più o meno nello stesso momento in cui Reno tentava di tornare al di là del Little Big Horn e raggiungere l’altura sulla quale attestarsi, Custer a nord attraversava il fiume con l’intento di piombare sul villaggio. Era appena entrato nel fiume quando riecheggiarono alcuni colpi di fucile. I soldati esitarono per un attimo e poi continuarono ad avanzare nell’acqua. I primi uomini erano quasi in mezzo al guado quando la scarica di fucileria degli indiani si fece più intensa.

Erano i Sioux e i Cheyenne che avevano fermato e inchiodato Reno sulla collina e che ora si rivolgevano verso Custer. Cominciarono a cadere i primi cavalleggeri e la confusione diventò panico quando un colpo prese in pieno lo stesso Custer. Il corpo del generale stava per cadere in acqua quando Mitch Bouyer, un interprete sanguemisto, lo sorresse e lo sistemò in qualche maniera sulla sella di “Vic”, il cavallo preferito di Custer. Sono state fatte mille rappresentazioni della battaglia sulla collina vicino al Little Big Horn e in tutte Custer appare in piedi coi capelli lunghi accanto ai cadaveri dei suoi cavalleggeri. Niente di più falso.

Custer, quel giorno, non portava i capelli lunghi e probabilmente è stato uno dei primi a morire, forse a causa di quel colpo ricevuto in mezzo al fiume. Il corpo di Custer venne trovato come tutti gli altri sulla collina e questo ci dice che il suo cavallo arrivò comunque sull’altura. Ciò che non sappiamo e se, una volta là, fosse già morto oppure ancora vivo.

I cavalleggeri, nella confusione più totale, tentarono di riguadagnare la sponda del fiume da dove erano partiti. Tra gli alberi che costeggiavano il fiume li aspettavano i guerrieri di capo Gall che li costrinsero a indietreggiare e a guadagnare un’altura, conosciuta oggi  come Custer Hill, dalla quale forse era possibile organizzare una pur minima difesa.

Gli squadroni “C”, “E”, “F”,”I” e “L” di cui era composta la colonna di Custer, sulla collina vennero letteralmente investiti da una muraglia umana di guerrieri Sioux, Cheyenne, arapaho guidati dai loro capi Gall, Cavallo Pazzo, Re Corvo, Due Lune ecc.

La carneficina fu totale. Più o meno alle cinque del pomeriggio, quando l’eco della battaglia si stava spegnendo, si sentivano qua e la solo i lamenti dei pochi cavalleggeri feriti e agonizzanti ai quali venne dato il colpo di grazia. I massacri del “Sand Creek” e del “Washita” erano vendicati.

Quando tutto tacque, gli indiani recuperarono tutto quello che era possibile prendere. Armi, selle, oggetti personali ecc. I soldati, uno ad uno, vennero denudati e la maggior parte evirati e scalpati.

Molti altri vennero trovati orrendamente mutilati con la testa e gli arti fracassati.

Poi, d’improvviso, come uno stormo di cavallette che si leva da un campo di grano, gli indiani scomparvero. Il 26 giugno venne levato il campo e le tribù si dispersero nelle valli di quelle zone ancora poco conosciute dai bianchi.

Certamente l’esercito avrebbe cercato la vendetta e Cavallo Pazzo in cuor suo già sapeva che, se quella del giorno prima era stata una grande vittoria, il giorno dopo per i Sioux sarebbe stato il principio della fine.

 

La fine. Poi, d’improvviso, come uno stormo di cavallette che si leva da un campo di grano, gli indiani scomparvero. Il 26 giugno venne levato il campo e le tribù si dispersero nelle valli di quelle zone ancora poco conosciute dai bianchi.

 

Sotto: la morte di Custer nei dipinti di Steinegger, Mulvany, Becker e Paxson

 

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