Il primo attacco ai carri
er questo si
decise di rivolgere l’attenzione ai soldati rimasti tra i cassoni
dei carri. Erano 36 militari che si erano subito dati da fare per
organizzare la migliore difesa possibile in quelle condizioni. Tutti
i cassoni dei carri, poggiati a terra, erano stati rinforzati con
pali di legno, terra, sacchi di sabbia e coperte ammucchiate. Alcune
piccole trincee erano state scavate nella prateria per consentire ai
tiratori scelti di infilarsi dentro e sparare restando abbastanza
protetti. Ogni soldato in grado di sparare con abilità era aiutato
da quelli meno pratici che si occupavano di caricare i fucili. Ogni
tiratore, infatti, disponeva almeno di 3 o 4 fucili e sappiamo
almeno di un caso in cui un esperto di guerre indiane ne aveva con
sé ben 8! Erano i temibili Sprinfield a retrocarica, un’arma capace
di moltiplicare la capacità difensiva di un manipolo di soldati.
Sulle colline
ricoperte di vegetazione, intanto, erano accorsi altri guerrieri ed
ora Nuvola Rossa poteva disporre di quasi 1000 combattenti tra Sioux
e Cheyenne, tutti pronti a lanciarsi all’attacco non appena fosse
stato comandato. Gli “Akicita” (una sorta di corpo di guardia
indiano che veniva incaricato di far rispettare l’ordine e gli
ordini dei capi di guerra) trattenevano a stento i giovani
guerrieri, ansiosi di dimostrare a tutti il proprio valore. Persino
le donne erano accorse sulle colline per incoraggiare i guerrieri e
vedere l’attacco da una posizione sicura.
Nuvola Rossa,
orgoglioso dei propri guerrieri ed ancor più di essere riuscito –
ancora una volta – ad organizzare una coalizione così forte, si
incaricava di dare gli ordini con l’aiuto di una coperta colorata
che veniva agitata in maniera che tutti potessero comprendere
rapidamente cosa fare. A dire il vero non si trattò di una manovra
particolarmente elaborata. Al comando del capo, un gruppo di 500
cavalieri guidato da Cavallo Pazzo e Cavallo Americano (noto come
Scudo di Ferro – Iron Shied), si lanciò all’attacco. Gli indiani
galopparono lungo i sentieri nella foresta gridando come forsennati
ed agitando le lance, gli scudi, archi, frecce ed i fucili (che
avevano sottratto nell’attacco vittorioso a Fetterman). I loro
copricapo ondeggiavano al vento, le facce erano dipinte, i cavalli
galoppavano vigorosi ed agili. La velocità aumentava man mano che si
avvicinavano al corral difeso dai soldati. Questi ultimi, spaventati
dalla gran massa di indiani che stava avvicinandosi e dal modo con
cui l’attacco stava iniziando, attendevano l’ordine di Powell per
iniziare a sparare. E l’ordine del Maggiore arrivò. Gli indiani
erano quasi a ridosso del “fortino”, mancavano poche decine di
metri, quando una fitta sparatoria prese avvio. Non si trattò di una
scarica di fucileria, ma di un fuoco continuo. Era merito dei fucili
Springfield, le cui canne scottavano per i troppi spari. Alcuni si
inceppavano, ma intanto gli indiani cadevano sotto i colpi dei
soldati, rotolavano uno sull’altro, trascinati dalla loro stessa
velocità e foga, senza mai riuscire a raggiungere le sponde dei
carri dietro le quali si riparavano i soldati.
Gli indiani si
resero presto conto che qualcosa di nuovo stava accadendo. Non era
mai successo prima che i soldati riuscissero a sparare in quel modo,
ad infliggergli così tante perdite nonostante l’incredibile
disparità numerica.
Presero quindi
a girare intorno ai soldati, lanciando frecce e sparando contro il
loro riparo che appariva sempre più invalicabile ed irraggiungibile.
Attendevano,
turbinando in cerchio, che si affievolisse la sparatoria dei
soldati, ma questi mantenevano inalterato il volume di fuoco in un
caos infernale che alla fine convinse Cavallo Pazzo ad ordinare il
ritorno tra gli alberi della foresta per discutere con Nuvola Rossa
un nuovo piano d’attacco.
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