Il massacro di Bear River
uattro miglia
a nord di Preston, nell'Idaho, il Bear River (1) si snoda quieto
attraverso valli verdi e montagne ricoperte da cespugli di
artemisia. Ora è tranquillo, con solo pochi capi di bestiame al
pascolo nei dintorni o in fattorie ben tenute. Oggi, gli alti
salici che un tempo fornivano una fresca tregua per i gruppi di
Shoshone del nord ovest (2) che si accampavano qui per sfuggire al
calore abbagliante dell'estate sono praticamente scomparsi. Successe
qualcosa in questo luogo che è poco conosciuto nella Storia degli
Stati Uniti. Ma che è impresso a fuoco per sempre nella memoria
degli Shoshone.
Il 29 gennaio
1863 la milizia del Terzo Volontari della California dell'Esercito
degli Stati Uniti, al comando del Colonnello Patrick E. Connor,
scese cavalcando dai pendii ghiacciati e massacrò circa 300 Shoshone
del nord ovest – il più grande massacro di Nativi Americani della
Storia del Paese. Fu uno scontro
tra due diverse culture che cercavano di condividere la stessa
terra, e gli Shoshone persero. Gli Shoshone, suddivisi in diversi
gruppi, avevano stretti contatti con i coloni bianchi che si
muovevano nell'onda sempre crescente dell'espansione verso ovest. Si vennero a
trovare nella posizione non invidiabile di essere esattamente dove
gli immigranti sarebbero passati nel loro movimento verso il
Pacifico. Questo, combinato con la percezione negativa che la gente
aveva al tempo dei Nativi Americani, fu la ricetta perfetta per il
disastro.
Gli Shoshone
erano un popolo affamato quell'inverno, e le rare offerte amichevoli
di cibo da parte dei residenti del luogo si erano ridotte dato che
gli Shoshone erano incolpati delle scaramucce e delle atrocità
contro altri gruppi vicini.
Subito dopo la
scoperta di Salt Lake (3), Peter Skene Ogden (4) scrisse: “Quale
sarà la ricompensa per questi poveri miserabili nell'aldilà io non
posso pretendere di dirlo, ma sicuramente non potranno trovarsi in
uno stato più miserabile di questo”. Era la visione comune del
tempo. I Nativi Americani erano visti come dei mendicanti poveri e
morti di fame, che non capivano il concetto ed i benefici del
Manifest Destiny (5) o, come credeva il Colonnello Patrick E.
Connor, dei violenti selvaggi che bisognava distruggere ad ogni
costo.
Degli scontri
erano scoppiati lungo tutta la frontiera dello Utah, e ciò aveva
portato alla Guerra dello Utah, con le rotte postali via terra sotto
attacco. Si erano avuti omicidi isolati e le locali autorità si
trovavano allo stremo.
Il Governatore
dello Utah Frank Fuller e diversi altri amministratori chiesero al
Ministro della Guerra di intervenire con un reggimento temporaneo di
rangers a cavallo. Brigham Young interpretò tale richiesta come un
tentativo di scavalcare la milizia dello Utah che “era pronta ed in
grado di prendersi cura [...] di tutti gli Indiani e [...] di
proteggere le linee postali se richiesta di farlo”. Sembra che le
poche persone che parlavano dell'argomento non capissero gli
Shoshone del nord ovest, e non distinguessero un particolare gruppo
della tribù dall'altro.
Vi erano
gruppi che davano problemi: rubavano un po' di cavalli e bestiame,
erano coinvolti in dispute con i coloni (due Indiani e due coloni
bianchi erano stati uccisi), e mangiavano il bestiame rubato per
fame. Nessuno di questi gruppi apparteneva agli Shoshone del nord
ovest, tuttavia si faceva di tutta l'erba un fascio. Fu in questo
stato di cose che il Colonnello Connors e i suoi Volontari della
California cavalcarono verso la zona del Bear River.
Era talmente
freddo quell'inverno che il solo espirare faceva ghiacciare i baffi
degli uomini. Prima di partire per il Bear River nell'Idaho
meridionale, circa 75 dei 275 uomini di Connor furono lasciati
indietro a Brigham City nello Utah perché avevano i piedi congelati,
poi il resto del reggimento iniziò la dura cavalcata verso nord. Lungo le rive
del fiume, nel gelido mattino del 29 gennaio 1863, Capo Sagwitch si
alzò presto. Un amico bianco degli Shoshone era venuto a dir loro
che il Colonnello Connor stava infine marciando sull'accampamento
per “punire i colpevoli”.
Capo Sagwitch
si era aspettato una visita proprio per tale motivo e quel mattino
di gennaio, al rendersi conto che la foschia scivolando sulle
montagne si avvicinava, si rese anche conto che i soldati erano
infine arrivati. Mentre
chiamava gli altri che erano ancora addormentati, gli uomini si
gettarono fuori dai tepee ed afferrarono le armi. Nella frenesia,
Sagwitch gridò agli uomini l'ordine di non essere i primi a tirare.
Come riferisce
sua nipote Mae Parry nel suo racconto Massacre at Boa Ogoi, “Egli
pensò che forse questo militare fosse un uomo saggio e giusto. Pensò
che il Colonnello avrebbe richiesto i colpevoli, i quali sarebbero
stati da lui immediatamente consegnati”.
L'incontro non
avvenne nel modo in cui aveva pensato Capo Sagwitch. Il Colonnello
non fece domande. Il reggimento iniziò a far fuoco, e gli Indiani
vennero “massacrati come conigli selvaggi”. Vedendosi in
grave inferiorità numerica, gli Shoshone iniziarono a saltare nel
fiume gelido nel tentativo di fuggire. Nessuno venne risparmiato:
uomini, donne e bambini, i cui nomi sono conosciuti solo dagli
storici della tribù. Una dei
sopravvissuti fu Anzee Chee. Venne inseguita dai soldati, ma riuscì
a nascondersi sotto una protuberanza del terreno che sporgeva sul
fiume. Ricevette ferite alle spalle e al petto, e perdette il
bambino, che venne gettato nelle fredde acque ed annegato.
Capo Bear
Hunter era conosciuto come un leader dai soldati. Venne preso a
calci e torturato, ed infine, dato che non avrebbe urlato, gli fu
passata una baionetta attraverso le orecchie. Si provò in
modo penoso che le frecce non erano in grado di competere con i
fucili. Vi erano quasi
450 uomini, donne e bambini nell'accampamento quel giorno. Se Connor
fosse arrivato poche settimane prima, durante la Danza del Calore
degli Shoshone, il numero delle morti avrebbe potuto essere
maggiore.
La
tradizionale Danza del Calore (Warm Dance), per far tornare il caldo
e scacciare il freddo, radunava molti gruppi insieme, per praticare
giochi e socializzare. Il Colonnello Connor, che si vantava di
conoscere i modi degli Indiani, era all'oscuro della tradizione
della Danza del Calore. Per tutta la
battaglia, i feriti sollecitarono il loro capo a scappare. Dopo
essere sopravvissuto a due dei suoi cavalli durante lo scontro,
Sagwitch alla fine scappò su di un terzo. Un altro Shoshone scappò
con lui afferrando la coda del cavallo nella cavalcata attraverso
una sezione ghiacciata del fiume.
Un avvenimento
che è stato raccontato molte volte dalla famiglia Timbimboo narra di
Yeager Timbimboo (o Da boo zee, che significa coniglio dalla coda
cotonata), il quale era il figlio di Capo Sagwitch.
Di soli dodici
anni, Yeager si trovò nel mezzo del massacro, cercando rifugio
mentre le pallottole gli sibilavano intorno. Intravide un tepee di
erba (6) che era così pieno di gente da muoversi. Entrò nel tepee e
lì trovò sua nonna. Ella era
preoccupata che presto il tepee sarebbe andato a fuoco, ma aveva un
piano. Insieme al ragazzo sarebbe andata tra i morti dove sarebbero
rimasti assolutamente immobili, senza fare alcun rumore e, come lo
istruì, “senza neanche aprire gli occhi”. Circondati dai
morti, restarono immobili sulla freddissima terra tutto il giorno
finché Yeager, vinto dalla curiosità, sollevò la testa e si trovò a
guardare nella canna del fucile di un soldato il quale si era
accorto che era ancora vivo. Yeager
raccontò in seguito che il soldato sollevò ed abbassò il fucile due
volte mentre lo guardava negli occhi. Il soldato alla fine abbassò
il fucile e, forse stanco del sangue versato, se ne andò. Un altro dei
figli del Capo fuggì con una ragazza. Ella cavalcò dietro di lui sul
suo cavallo nella corsa verso le colline vicine. Egli la scampò, ma
la ragazza morì a causa delle pallottole che la colpirono.
Storia dopo
storia dell'intima sofferenza di quel giorno, la rabbia ed il
coraggio divennero i capitoli più tristi della Storia degli Shoshone
nord occidentali. Su di essi quel giorno anche il peso di scene di
disperazione, il coraggio di sopravvivere, e la perdita del sogno
che avrebbero ricevuto giustizia dalle mani dei colpevoli.
Oggi, il campo
di sterminio è marcato da un piccolo monumento di pietra con una
targa. Intorno al piccolo parcheggio ci sono fattorie e poche case
ben tenute e tranquille. Sebbene
designato Luogo Storico Nazionale nel 1990 dal Servizio Nazionale
dei Parchi, si può facilmente guidare oltre questo monumento di
pietra, una testimonianza silenziosa per coloro che persero le loro
vite nel più grande massacro di Indiani della Storia degli Stati
Uniti, senza mai sapere quello che è successo. Fin dalla sua
designazione come Luogo Storico, il Servizio Nazionale dei Parchi ha
avuto discussioni pubbliche con membri tribali e residenti locali;
sono state firmate petizioni e sono state scritte lettere nella
speranza che esso venga designato come Sito Storico Nazionale (7).
Tutte le
situazioni devono essere valutate prima che si renda nota qualsiasi
decisione finale. Se si decidesse per la designazione come “Sito”,
il Servizio Nazionale dei Parchi dovrebbe spendere circa 14,4
milioni di dollari per acquistare più di 160 acri di terra (8)
nell'area; costruire un centro culturale e per visitatori ed una
rete di sentieri; e mantenere il sito. Il Servizio dei Parchi lo
farebbe in caso sulla base di acquisto e vendita volontaria, non
obbligatoria.
144 acri
comprenderebbero il luogo del massacro vero e proprio. I proprietari
attuali, che hanno opinioni diverse al riguardo, manterrebbero ogni
uso esistente della loro terra entro le linee guida stabilite dal
Servizio dei Parchi. Alcuni
proprietari (non Shoshone) hanno coltivato la loro terra per molti
anni e, sebbene ammettano senza problemi che ciò che è successo agli
Shoshone fu un'atrocità, non vogliono subire una perdita qualora la
valutazione fiscale per la terra non fosse equa rispetto al prezzo
richiesto.
Per gli
Shoshone, tuttavia, c'è un desiderio urgente di vedere il frutto di
tutto questo. Dice Patty Timbimboo Madsen, amministratrice della
tribù a Brigham City, Utah: “Ci dicono che il Servizio Nazionale dei
Parchi voglia ora proporre altri incontri. Molto di tutto ciò
dipende dal Congresso, abbiamo scritto lettere ai nostri Senatori
dell'Idaho e dello Utah, ed abbiamo provato a scoprire quanto si sia
progredito tramite questi canali; spesso tuttavia riceviamo poco
aiuto per capire cosa accadrà in seguito”.
Tutto ciò è un
classico esempio di un'area storica, con profondi significati per un
gruppo culturale, sulla quale risiede un altro gruppo. I temi del
tipo, ad esempio, di come effettuare la ricerca archeologica,
dovrebbero essere affrontati secondo le leggi vigenti (come la legge
sul rimpatrio e sulla protezione dei luoghi di tumulazione dei
Nativi Americani, dovesse questa applicarsi) e le sensibilità
culturali di entrambe le parti.
Si tratta di
portare la Storia dura e cruda alla realtà odierna dato che questa
non è una situazione in cui i diretti discendenti non siano
rintracciabili, come nel caso di effettuare ricerche sull'uso della
terra di aree di migliaia di anni prima.
Amy Timbimboo
sopravvive ancora come una parente diretta di 104 anni. Ci sono
anche molti altri che vorrebbero che le voci dei loro antenati
fossero udite e non restare solo una memoria luttuosa.
Nessuno può
contestare che si tratti di una parte vitale della Storia dell'area,
sebbene poco conosciuta. Comunque, vi sono ora famiglie residenti
che stanno rifacendo la Storia.
Alcuni dicono
che sono disposti a considerare la vendita della loro terra se il
prezzo è giusto, e vi sono altri che non ne sono molto sicuri. La
proposta sulle terre coinvolge non più di poche famiglie la cui
proprietà tocca l'area.
Si dovrà
raggiungere, come sempre, un delicato equilibrio. Mentre è
importante che l'integrità e l'onore dei morti siano riconosciuti e
che la loro storia non muoia mai grazie ai visitatori che si recano
al sito proposto, gli sforzi debbono essere riconciliati con coloro
che si stanno guadagnando da vivere oggi su ciò che gli Shoshone del
nord ovest considerano terreno sacro.
Per molti
Shoshone, il contrassegno di legno e il piccolo monumento di pietra
non più alto di otto piedi (9) non è una giusta testimonianza per le
centinaia che furono brutalmente uccisi quel giorno di gennaio.
Mark Carter,
un residente del luogo, indicando il pendio da cui scesero i
Volontari della California, disse: “non fu una battaglia, fu un
massacro, ed io ricordo di averne sentito parlare tutta la vita. Io
sono ora sulla settantina e ricordo all'età di 14 anni di aver visto
le pietre impilate qui come monumento. Questa gente deve essere
ricordata”.
NOTE CONCLUSIVE
1) Fiume
dell'orso (N.d.T.)
2) Gli Shoshone del nord ovest occupavano un territorio oggi corrispondente
allo Utah settentrionale ed all'Idaho sud orientale, mentre gli
Shoshone orientali vivevano in quello che oggi è il Wyoming. Gli
Shoshone, i Piutes ed i Bannock fanno parte dello stesso ceppo
linguistico, sotto il nome comune di Neme – il popolo. In origine
gli Shoshone si muovevano solo a piedi (il termine So-so-goi con cui
venivano designati significa “quelli che camminano”); conobbero il
cavallo grazie ai contatti commerciali con i Navajos e gli Ute, con
i quali scambiavano pelli (N.d.T.)
3) Lago
Salato, da cui il nome della capitale dello Utah, Salt Lake City (N.d.T.)
4) 1794-1854,
trapper ed esploratore della Hudson's Bay Company, raggiunse
il Bear River nel 1824 (N.d.T.)
5) “Evidente
Destino”, la pseudo-filosofia che dava ai bianchi il diritto di
prendere le terre ai Nativi. Secondo i teorici di tale idea,
l'evidenza della superiorità dei bianchi era vista come un
riconoscimento divino concesso a chi era destinato a dominare (N.d.T.)
6) Le
case degli Shoshone nord occidentali includevano tepee di pelli,
case di erba e rami, ed anche caverne (N.d.T.)
7) La
designazione attuale è Historic Landmark, formula meno
ufficiale e solenne, e dai minori costi, rispetto allo Historic
Site che si vorrebbe (N.d.T.)
8) Circa
65 ettari (N.d.T.)
9) Circa
2 metri e mezzo (N.d.T.)
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