Il popolo delle stelle
l cielo lontano, che ha pianto lacrime di compassione sul mio
popolo per innumerevoli secoli e che ci appare senza cambiamenti ed
eterno, può mutare. Oggi è bello. Domani può essere coperto di
nuvole. Le mie parole sono come le stelle che non tramontano mai.
É con queste parole profetiche che inizia il famoso discorso del
capo indiano Seattle pronunciato nel 1854 in risposta al Governatore
dello Stato di Washington, Isaac Stevens, nominato per dare il via
alla colonizzazione della regione.
Di pensieri come quello di Seattle è permeata tutta la cultura
nativa americana, conscia della sacralità della natura e del
pericolo che l’uomo rischia quando non rispetta il legame antico che
lo lega ad essa.
L’universo nel suo insieme ha sempre esercitato sulle culture del
passato un forte influsso che le ha portate ad organizzare la vita
in rapporto agli eventi naturali. Le stelle, in particolare, hanno
sempre avuto un ruolo fondamentale nella vita dei nativi,
soprattutto per i popoli le cui attività produttive erano centrate
sulla caccia e l’agricoltura; lo sviluppo dello studio del cielo era
necessario per stabilire con precisione i periodi di inizio e fine
delle stagioni, ma non solo. Il legame che li univa alle stelle era
un qualcosa di sacro e spirituale, tramandato di generazione in
generazione, una sorta di consapevolezza che proprio tra gli astri
era racchiuso il mistero delle loro origini.
La maggior parte dei miti della creazione ha, infatti, come
protagonisti esseri venuti dalle stelle. Basti guardare le Pleiadi,
ritenuto dagli astronomi uno degli ammassi stellari più affascinanti
del cielo, posizionato nella costellazione del Toro, costituito da
circa duemila stelle poste a circa 380 anni luce; a occhio nudo sono
visibili solo sette stelle, quelle principali, citate anche in miti
e leggende di tanti popoli antichi del Vecchio Mondo, quali Egizi e
Greci. Secondo questi ultimi le sette stelle non erano altro che le
sette giovani figlie di Atlante, dio che sostiene il cielo, e
Pleione, dea dell’oceano, trasformate in astri da Zeus che in questo
modo le aiutò a sfuggire alle attenzioni dell’irruente Orione,
figlio del dio del mare Poseidone. Anche Orione ,secondo il mito, fu
tramutato in costellazione dagli dèi, che mossi a compassione lo
posero vicino alle Pleiadi.
Una particolarità di queste sette stelle è la loro disposizione, che
assume la forma di un cerchio aperto e suggerisce una danza. Sia gli
antichi Greci che gli indiani d’America le hanno dunque
rappresentate come una sorta di corpo di ballo celeste.
Tutte le tribù del Nord America pensavano di provenire dalle
Pleiadi e di essere state inviate sulla Terra allo scopo di
preservarla, e molte di loro narrano al riguardo la seguente storia:
“Quando noi abitavamo ancora in cielo, accadde che un giorno vi
fummo piuttosto stretti. Il Grande Spirito decise quindi di mandarci
sulla Terra per viverci come esseri dotati di corpo fisico. Fu
convocato un grande consiglio celeste e così fu ordinato: «Quelli di
voi che vorranno esserci quando la madre Terra comincerà ad animarsi
e a riempirsi di vita, dovranno anche proteggerla. Noi vi daremo la
potente medicina della libera scelta e della libera volontà. Con
quella, siate i custodi della Terra. Voi dovete procurare che tutti
vivano in armonia, poiché sapete di essere dipendenti l’uno
dall’altro». Quando, al settimo giorno, il Grande Spirito discese
sulla Terra, udì le preghiere e scorse anche i cuori riconoscenti.
Egli fu molto orgoglioso delle sue creature, poiché vide che esse
non avevano dimenticato il tempo trascorso nella volta celeste: le
onorò e portò loro molti regali.”
Molte cerimonie in onore delle Pleiadi si svolgevano sul pianoro del
Mato Tipi (o Devil’s Tower), la loro montagna sacra con la vetta
"mozzata" e solcata sui fianchi da lunghi graffi lasciati secondo un
antico mito dalle unghie di un Orso Gigantesco.
Una leggenda indiana racconta che sette capi minacciati da questo
mostruoso animale, si erano rifugiati in cima
alla montagna per poi "salire in cielo". Un’altra leggenda, degli
indiani Irochesi, racconta che alle origini dei tempi sette bambini
(bambine secondo altre versioni) si erano così appassionati al ballo
da scansare qualsiasi altra attività, persino il mangiare. Col
tempo, divennero talmente magri e leggeri da librarsi in cielo,
diventando le Pleiadi.
Altro popolo antico per cui le Pleiadi hanno sempre avuto
un’importanza speciale sono i mitici Maya. Nel tempo che vide il
fiorire della loro cultura, essi erano i custodi del tempo e
dell’universo, e il fatto di provenire dagli astri era per loro una
convinzione.
I Maya conoscevano perfettamente i tragitti orbitali di molti
pianeti, avendo sviluppato metodi di misurazione tanto complessi
quanto efficaci.
Attraverso l’osservazione e il calcolo dei movimenti celesti il
popolo maya trovò accesso ai segreti della vita, indicando come
tutte le cose fossero connesse tra loro, semplicemente a formare la
grande rete della vita e del tempo.
Secondo i discendenti diretti di questo popolo, ovvero la gente che
oggi abita stati come il Messico, il Guatemala, l’Honduras e il
Belize, la grande scienza degli antenati legata alle stelle e al
cosmo, fu tramandata a lungo oralmente, custodita gelosamente dai
popoli indigeni che riuscirono in questo modo a proteggerla dai
conquistadores, in attesa che tornasse il suo tempo.
Tornando alle Pleiadi, quindi, queste hanno un ruolo fondamentale
per i Maya proprio per il passaggio dall’età presente a quella
nuova, futura. Così tratta questo argomento Magda Wimmer, studiosa
della civiltà e dei misteri di questo grande popolo, nel suo libro
“I Maya”: "Da sempre le Pleiadi erano importanti per il loro
rapporto con gli equinozi (giorno e notte di uguale durata) e con i
solstizi."
Nelle due Americhe le Pleiadi spuntano proprio nel solstizio
d’estate, prima di diventare poi invisibili alla luce dell’alba.
Nell’equinozio d’autunno le Pleiadi spuntano intorno alla mezzanotte
e nel solstizio d’inverno sono visibili subito dopo il calar delle
tenebre. Nell’equinozio di primavera invece, esse si accompagnano al
sole e non sono quindi visibili.
Presso i Maya, le Pleiadi sono conosciute come la Muchuchumil e gli
anziani maya riferiscono che secondo loro , l'universo ha avuto
origine da questa costellazione. Pochi anni fa, gli scienziati hanno
scoperto che in essa vi è effettivamente un movimento a forma di
spirale, dal quale escono in continuazione nuove stelle. Intorno
alla spirale però lo spazio sarebbe completamente vuoto. A Tikal, la
località più importante delle piramidi dei Maya nel Guatemala, la
disposizione delle piramidi riproduce la costellazione delle
Pleiadi. Anche la piramide di Kukulkán a Chichén Itza (Yucatán /
Messico) fa riferimento alla sincronizzazione della Terra con le
Pleiadi, la quale si verifica localmente, ogni 52 anni, il 20
maggio. E' questa per i Maya una data importante nel movimento di
ritorno della Terra nel centro della galassia.
Poiché presso i Maya l'astronomia non era una semplice attività
scientifica, ma era sempre intimamente connessa con la loro
spiritualità, essi hanno narrato nelle loro storie mitologiche
l'importanza che , per la Terra, hanno il sole, Venere e le Pleiadi.
Il libro sapienziale dei Maya, il Popol Vuh - che si basa sui miti
ed i racconti dei Maya tramandati, in origine oralmente e che furono
messi per iscritto dopo la conquista degli spagnoli - ci porta alla
seguente spiegazione:
Uno Hunahpú (simbolo di Venere) e Sette Hunahpú (simbolo di Giove)
sono "uno nello spirito" e simboleggiano con ciò i solstizi d'estate
e d'inverno. Essi sono uccisi dai signori degli inferi e il teschio
di Uno Hunahpú è appeso ad un albero (albero della Via Lattea).
Quando una figlia di un signore degli inferi, "Luna di sangue", vi
passa accanto, viene misteriosamente fecondata dal seme di questi
teschi e mette al mondo i gemelli Hunahpú e Ixbalanqué (simbolo
degli equinozi di primavera e di autunno). Essi sono campioni nel
gioco della palla e mediante diverse imprese eroiche sconfiggono
dopo molto tempo, le potenze delle tenebre, fino a riportare infine
la morte alla vita. Il loro padre, Uno Hunahpú, può quindi far
ritorno dagli inferi come unità delle quattro forze antagoniste,
degli equinozi e dei solstizi e le Pleiadi diventeranno
successivamente il suo simbolo.»
Questo racconto è di grande significato mitologico per il tempo
calcolato dai Maya, corrispondente alla data del 21 dicembre 2012
del nostro calendario e che segna l'inizio di una nuova età. E a
questo punto si annuncia un evento, che i Maya e molti altri
popoli conoscono già da millenni: il giorno in cui il sole perviene
al centro della nostra galassia, un evento che si verifica soltanto
ogni 26.000 anni.
Se quello dei Maya si può ritenere uno dei più grandi misteri della
storia dei popoli antichi,a condividerlo c'è un' altra altrettanto
grandiosa civiltà andina, gli Incas.La sconfitta di questo imponente
impero da parte dei conquistadores, un manipolo di 170 avventurieri
spagnoli guidati da Francisco Pizarro, avvenne nel 1532 , segnando
così la fine di un popolo dalle straordinarie abilità e
approfondite conoscenze astronomiche, che contava all'epoca circa
sei milioni di abitanti.Gli sciamani Incas lessero nel cielo i segni
di un evento apocalittico che avrebbe significato la scomparsa del
loro popolo.
Custodi di questa saggezza sono oltre a Maya e Incas anche Hopi,
Cherokee, Irochesi, Lakota, per quando riguarda le due Americhe,
Tibetani, Maori, Dagara (Africa) e Nisga'a (Canada), per il resto
del mondo.E tutti concordano nella stessa previsione di rinascita
degli antichi valori.
Gli Hopi parlano della Donna Ragno, la Madre del mondo, protagonista
dei miti sulla Creazione. Scesa dal monolito di Spider Rock,
rappresenta l'energia e la saggezza che insegna agli uomini, e tutto
unisce nella sua Tela Sacra. Gli Hopi credono che quello in cui
viviamo sia il "quarto mondo", e anche questo sarà destinato a una
fine come gli altri tre, se l'umanità non ritornerà a vivere in
armonia e secondo gli antichi usi.
"La profezia Hopi sulla fine del mondo parla di un'umanità piena di
dubbi, di un mondo afflitto da malattie, miseria, un mondo senza
equilibrio. Dice la profezia che la fine arriverà quando gli uomini
voleranno nel cielo per raggiungere le stelle, quando il sole
diventerà nero e quando gli Hopi andranno alla Casa di Mica. Negli
anni settanta una delegazione hopi si recò alle Nazioni Unite e un
delegato, attraversando una zona industriale dell'Indiana, vide che
il sole attraverso i fumi delle ciminiere delle fabbriche era nero.
Quando poi arrivarono al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite
capirono di essere alla Casa di Mica: le antiche profezie dicevano
che questi sarebbero stati i primi segnali. Poi come ultimi
avvertimenti, ci sarebbero stati terremoti, eclissi, eruzioni
vulcaniche. Ma agli uomini è concecco invertire il corso disastroso
degli eventi, e anche il singolo individuo può fare qualcosa:
seguire la via hopi, cioè lsa ricerca dell'armonia fra tutte le
creature attraverso una via rispettosa della natura e della
preghiera."
(Tratto da "Una storia degli Indiani del Nord America" Atlanti Il
Sapere)
Al contrario, la società moderna ha sempre visto in questo possibile
cambiamento, un qualcosa di negativo e minaccioso; un esempio? i
meteoriti.
Mentre per gli indiani i proiettili caduti dal cielo erano "doni"
inviati sulla Terra, per i bianchi si trattava di oggetti maledetti
noti solo per le possibili catastrofi naturali che procurerebbero
colpendo il nostro pianeta, ma anche come minaccia alle umane
certezze. La letteratura di fantascienza ha sempre giocato su questo
duplice aspetto: è come se la civiltà moderna (e occidentale),
proprio mentre sviluppava una tecnologia spaziale si rivelasse al
contempo atterrita dal contatto con una realtà stellare concepita
come separata e aliena Gli antichi e gli indiani consideravano il
cielo come la nostra origine, noi, spesso, come il nostro destino
futuro, fatalmente assimilato all’idea della Fine...
Ma siamo davvero convinti che la minaccia alla nostra sopravvivenza
venga dallo Spazio?
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