Su

 


A cura di Maurizio Biagini

Vero o falso?

P

er anni gli studiosi si sono impegnati a fondo per trovare una foto che potesse essere comprovata come autentica immagine di Cavallo Pazzo. Tante foto ma nessuna certezza. Adesso, per il prossimo anniversario della Battaglia del Little Bighorn, sono pronte riproduzioni della foto che sarà presentata ufficialmente come il ritratto di Cavallo Pazzo.

Ma queste prove sono sufficienti?

Secondo molti Nativi, la foto non rappresenta chi dovrebbe.

Donovin Sprague, insegnante di storia presso l’Oglala Lakota College e l’Università delle Black Hills del South Dakota, sarebbe molto felice di vedere un’immagine del suo avo, “Mi piacerebbe vederne una, ne sarei onorato”. Ma la foto in questione, sostiene, appartiene ad un capo Lakota chiamato No Neck (Senza Collo) che nel maggio 1877 si arrese a Fort Robinson assieme a Cavallo Pazzo.

Sprague, discendente per via matrilineare di Crazy Horse, afferma che le prove portate da Abiuso e dagli studiosi del museo non indicano nulla, in quanto è noto che Cavallo Pazzo rifiutò sempre di farsi fotografare.

“Molte delle famiglie del nostre popolo non vollero essere ritratte perché credevano che queste riproduzioni potessero portare via loro l’anima.”

Anche un altro discendente di Cavallo Pazzo, Don Red Thunder, è della stessa opinione. Red Thunder afferma che è “una follia pensare che il suo avo avesse potuto accettare di posare per il nemico in un ritratto formale. Non credette mai negli uomini bianchi, e si teneva a distanza da ogni fotografo. Non esistono foto di Cavallo Pazzo”.

Steve Feraca, antropologo e rappresentante dell’Ufficio Affari Indiani scrisse dei suoi sforzi nella ricerche di notizie e di immagini di Cavallo Pazzo per la rivista Frontier Times. Dopo molti inutili tentativi, pensò che l’unico modo per sapere se esisteva realmente una foto di Cavallo Pazzo era intervistare una persona che avesse realmente conosciuto il leader Sioux.

Nel 1954, Feraca fu introdotto al novantenne John Y. Nelson presente tra l’altro sulla scena della morte di Tashunka Witko a Fort Robinson. Dopo diverse birre, l’uomo rispose all’interrogativo diretto di Feraca: non esistevano foto di Cavallo Pazzo. Ma vi fu un tentativo di scattarne una: la sera in cui il leader Lakota fu ucciso, il Dottor McGillicuddy, l’uomo che lo assistette nelle ultime ore, tentò di riprendere il capo ferito, ma questi ne rese impossibile la realizzazione, girando il volto contro il muro. Denis McLoughlin, autore di  “Wild and Woolly: An Encyclopedia of the Old West,” del 1975 scrive che il capo negò lo scatto dicendo che “nessuno doveva portargli via l’ombra.”

Fu questa frase, secondo McLoughlin, a creare il mito secondo cui Cavallo Pazzo avrebbe rifiutato per tutta la vita di farsi immortalare dalla macchina fotografica.

“Crazy Horse stava morendo e come indiano, la sua ombra era qualcosa di tangibile e per questo non voleva che fosse fotografata nei suoi ultimi istanti di vita

La prima a negare l’esistenza di immagini del  leader Sioux, fu la famosa scrittrice Mari Sandoz, autrice della prima biografia di Cavallo Pazzo nel 1942 “Lo strano uomo degli Oglala”, a cui pagano tributo tutte opere in seguito scritte sul personaggio. La Sandoz è categorica: 

“(t)here never was a photograph taken or a likeness made from firsthand witness of Crazy Horse.”

D’altra parte le prove portate dal museo sono interessanti e gli studiosi si dichiarano pronti ad affrontare il polverone destinato a sollevarsi con l’esposizione ufficiale dell’immagine attribuita a Crazy Horse.

Oltre all’affermazione di autenticità della figlia di Little Bat e al documento del fotografo in cui lo scatto 104 veniva attribuito a Cavallo Pazzo, sono stati fatti molti confronti tra le descrizioni lasciate da coloro che lo conobbero e l’immagine impressa sul negativo metallico.

Le testimonianze di chi lo conobbe lo descrivono come alto circa un metro e settantatre, snello e muscoloso, volto scavato ed un naso affilato. Si dice che era solito portare una camicia di pelle di daino chiara e dei  gambali blu scuro. I lunghi capelli erano legati in trecce da lacci di pelle di castoro, quasi dello stesso colore dei suoi capelli. Fu conosciuto come il guerriero dalla pelle chiara e in giovane età era chiamato Curly (ricciolo) a causa dei suoi capelli. Tutte caratteristiche, che, secondo gli esperti del museo corrispondono all’uomo ritratto nella famosa foto.

In particolare si sono studiate fondo le interviste rilasciate da Chips, l’uomo di medicina del leader Oglala.

Secondo Chips, la medicina di Crazy Horse includeva due piume maculate d’aquila. Mentre una era lasciata pendere libera nei suoi capelli descritti come light, chiari, l’altra era legata a un pezzo di cuoio che ricopriva una pietra al fondo della sua borsa della medicina appesa alla sua camicia.

Esattamente ciò che si vede nella fotografia, e teniamo a mente che in genere la borsa della medicina, che proteggeva il guerriero in guerra e caccia, era unica e diversa per ogni guerriero.

Un’altra prova a favore dell’autenticità della foto sarebbe in uno degli oggetti presenti nell’immagine. L’uomo della foto tiene una coperta nella mano sinistra avendo ben cura che sia ben visibile con il bordo steso fino al pavimento. Al tempo in cui Crazy Horse si arrese, l’oggetto di maggior valore che possedeva era propria una coperta rossa, una coperta da leader che l’uomo della foto, chiaramente teneva a esibire con cura nella foto. Secondo Mari Sandoz, Crazy Horse recava, piegata sul braccio la sua coperta anche il giorno in cui fu condotto verso la prigione davanti alla quale doveva essere colpito a morte dalla baionetta del soldato William Gentles.

McGillycuddy scrisse in una lettera che il corpo del ferito fu raccolto dal gigantesco guerriero Tocca le Nuvole e portato in braccio come un bimbo fino all’ufficio del medico stesso.

Lì, ricorda McGillycuddy, il dottore gli iniettò della morfina e lo coprì con la stessa coperta rossa.

Lo scetticismo riguardo le foto di Cavallo Pazzo, in genere, riguarda la cicatrice che questi aveva sul viso a causa di un colpo esplosogli a breve distanza da un marito geloso, e praticamente invisibile in ogni foto attribuita al guerriero.

In questo caso è la stessa Mari Sandoz in una lettera a Will G. Robinson (Segretario della South Dakota State Historical Society) il 19 ottobre 1947 a raccontare in risposta all’inchiesta aperta da quest’ultimo, che l’arma usata da No Water per sparare a Crazy Horse era di piccolo calibro, tale che poteva essere nascosta nel palmo di una mano. No Water l’aveva ottenuta in prestito da Bad Heart Bull all’insaputa del fatto che l’arma fosse caricata circa a metà per risparmiare la preziosa polvere da sparo. Era stata caricata per cacciare conigli e altri piccoli animali.

Questo significherebbe un danno relativamente leggero al volto dell’allora ventiseienne guerriero Orlala.

La pallottola entrò nella parte sinistra del viso sotto il naso, passò lungo la mascella superiore oltrepassando l’arcata dentale senza danneggiarla ed uscì in prossimità all’orecchio. Secondo gli studiosi, a dieci anni dallo sparo, la ferita si vede nella foto in un leggero segno lungo la guancia, ed in una zona più chiara che parte dalla narice e prosegue intorno al solco del sorriso. L’ingresso della pallottola è individuabile, secondo gli studiosi del museo, in una piccola infossatura nel centro di questa area.

Il Custer Battlefield Museum dichiara di aver fatto visionare la lastra da uno specialista di ossa facciali che secondo il direttore Kortlander, avrebbe confermato le tesi del museo.

D’altra parte è impossibile dalle immagini disponibili in rete riuscire a vedere questi particolari. Nell’articolo in cui viene presentata la scoperta e l’esposizione dell’oggetto presso il sito del Museo di Garryowen, viene spiegato che la lastra è stata sottoposta ad un’accurata lavorazione, inclusa la colorazione dell’immagine, ottenuta utilizzando le più recenti tecniche di lavorazione informatica e mesi di ricerche di medicina legale per presentare l’immagine reale (non dimentichiamo che stiamo parlando di una lastra metallica).

Il sito rimanda all’autore del complicato lavoro (Richard Jepperson di West Jordan, Utah, recentemente scomparso) e indica il sito dove il nipote di Jepperson presenta il lavoro.

Con nostro grande disappunto ed imbarazzo, nel sito non viene presentata l’immagine dopo la lavorazione, ma solo l’anteprima pubblicitaria del libretto-ritratto con la foto nelle due versioni.

Il tutto alla modica somma di 29 dollari, in vendita dal 25 giugno 2003, anniversario dell’inaugurazione del Memorial Indiano presso il campo di battaglia del Little Bighorn (potete verificare: http://www.stringofbeads.com/)

Sorvoliamo sulle considerazioni su questo tipo di iniziative (per il prossimo anniversario della battaglia, saranno pronti poster e cartoline dell’immagine) e torniamo ad occuparci della foto.

James (Putt) Thompson, responsabile capo del Custer Battlefield Museum di Garryowen, ricorda che non tutti gli Oglala rifiutarono di riconoscere l’immagine di Cavallo Pazzo nella lastra posseduta dal Museo. Incontrò infatti l’artista Ed Two Bulls e la moglie Lovey, discendendenti del grande guerriero. Prima di mostrare loro la foto, conversando con i due, chiese loro che cosa pensassero alla tradizione secondo cui Crazy Horse avrebbe avuto paura di essere fotografato.

“Non aveva paura delle macchine fotografiche. Non aveva paura di niente”, risposero.

Poi, quando mostrò loro la foto, Thompson rimase impietrito dalla reazione dei due:  “È lui, è lui”, dissero all’unisono.

“Per la prima volta  sentii i capelli che mi si rizzavano sulla nuca.” racconta Thompson.”

Al di là di questo aneddoto, le argomentazioni fin qui presentate sembrano convincenti, ad una prima occhiata, ma inevitabilmente saranno destinate a subire l’opposizione di altri studiosi e, soprattutto, dalla gente di Cavallo Pazzo: “Stiamo proteggendo il suo nome. Questo è il modo in cui la nostra famiglia è stata cresciuta.”, ha dichiarato Red Thunder.

Anche John Doerner, il responsabile del Parco Nazionale del Little Bighorn è a sua volta convinto che l’uomo della foto non sia Crazy Horse. L’opinione dello storico si basa, a suo dire, sull’osservazione di molte foto autenticate del capo noto come No Neck, cui, secondo Doerner, appartiene l’immagine.

Doerner afferma che proprio l’ostinata resistenza dei discendenti all’autenticazione della fotografia è la migliore prova dell’inattendibilità del documento conservato al Museo di Garryowen. “Condividono il suo stesso sangue e conoscono storie che probabilmente non saranno mai diffuse all’infuori della famiglia, inclusa l’esatta locazione della tomba del loro avo. La loro opinione dovrebbe essere rispettata.”

[continua]

 

Fotografia. Cavallo Pazzo nel corso della sua breve e avventurosa esistenza sempre rifiutò di farsi fotografare dai bianchi...

***

 

Benvenuti! www.farwest.it ® è una comunità di appassionati di old west americano. Tutto il materiale pubblicato proviene dai visitatori. Eventualmente nel sito fosse presente qualche testo appartenente ad altri, è sufficiente segnalarlo perché venga immediatamente eliminato. Tutti i diritti sono riservati ai titolari del materiale.