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a cura di Sergio Mura

L'attacco al campo Cheyenne

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ue ore di marcia furono sufficienti per rintracciare la preda. "Fermatevi", gridò uno degli scout. Gli Osage insistevano di sentire odore di fumo nell'aria. Smontarono tutti nel silenzio più assoluto mentre Custer e qualche indiano andavano avanti, oltre un piccolo dosso. "Che c'é?", chiese Custer. "Ci sono mucchi di indiani laggiù!" rispose un Osage, indicando con decisione un punto nel buio pesto. Tesero le orecchie e si sentì distintamente un abbaiare di cani in lontananza. Poco dopo percepirono uno scampanellio da un'altra direzione. Ancora pochi istanti e nel silenzio udirono il pianto di un neonato. Li avevano trovati: gli indiani ostili, quelli che sembravano fantasmi e non si riusciva mai a individuare, erano davanti a loro.
Il campo indiano era immerso nell'oscurità. Tutti i guerrieri erano nelle tende a godersi il tepore del fuoco che le donne tenevano sempre acceso. Qualche volenteroso raccontava storielle ai bambini in attesa di metterli a nanna. Le donne stavano riordinando le stoviglie e tutti si preparavano a coricarsi. Fuori, nel freddo, restavano alcuni giovani incaricati di vigilare sul branco di ponies (da lì proveniva il suono del campanellino). Nessuna sentinella, quella notte, vigilava sul campo; nessuno poteva ipotizzare un attacco in pieno inverno.
Custer chiamò intorno a sé gli ufficiali sui quali nutriva la maggiore fiducia e si dilungò a spiegargli il piano che aveva escogitato: le forze sarebbero state suddivise in quattro parti che avrebbero preso posizione intorno all'accampamento durante la notte. Quindi i soldati avrebbero dovuto attendere che la notte trascorresse per poi sferrare l'attacco, tutti insieme, alle prime luci dell'alba. Sarebbe stata necessaria la massima attenzione per evitare di spararsi addosso da punti opposti.
Era una notte tersa con un freddo intenso che faceva star male al solo pensarci. I cavalli dovevano essere spostati con grande prudenza e circospezione perché il terreno, ricoperto di ghiaccio, scricchiolava sotto i loro zoccoli e il rumore poteva essere sentito a distanza nel silenzio.
A disposizione delle forze ultimata, con i nervi a fior di pelle e la paura che era quasi palpabile, ai soldati fu consentito di riposare un pochino dandosi il cambio nelle postazioni. Chiaramente nessuno riuscì veramente a dormire e, a onor del vero, neppure a distendersi perché ciascun uomo sapeva bene che quelle ore di attesa sarebbero potute essere le ultime della vita. Gli indiani sarebbero stati sorpresi, certamente, ma avrebbe venduto cara la pelle e una freccia poteva arrivare da qualunque parte.
Nel campo indiano quelle ultime ore della notte trascorrevano pigramente. Dai colmi dei tepee, le alte tende che ospitavano gli indiani delle pianure, usciva un filo di fumo che immeditamente ghiacciava al contatto col freddo dell'aria. Persino i cani, sempre così attenti a ogni minimo segnale di pericolo, non si resero conto di quel che stava per succedere di lì a poco. I cavalli, pure loro, si scaldavano stringendosi l'uno all'altro senza un nitrito di inquietudine. Pentola Nera, poi, sapeva di poter dormire tra due guanciali: lui aveva scelto di mettere il "segno" sui fogli di pace dei bianchi a Medicine Lodge, poco tempo prima. La sua gente era certamente al riparo dai guai e nessuno tra i giovani si era reso colpevole di attacchi ai coloni o alle carovane o ai posti di scambio. Davvero, valeva la pena, nonostante l'attacco sconsiderato subito a Sand Creek da quell'assatanato di Chivington, di dormire beatamente... Ad ogni buon conto una bandiera bianca sventolava sul tepee di Pentola Nera.
Il primo raggio di sole mattutino vide i soldati del VII Cavalleria ormai pronti ad attaccare, tutti in postazione, con i cavalli a fianco e i fucili e i cento proiettili di riserva pronti all'uso.
"Gli uomini si levino i cappotti e appoggino le bisacce a terra", disse Custer ai suoi ufficiali che si curarono di fare eseguire prontamente quell'ordine. La manovra serviva a liberare i soldati da ogni impiccio ritenuto superfluo nel corso della battaglia che stava per iniziare. I cappotti e le bisacce sarebbero stati raccolti dai soldati al seguito dei carri.
Ad un certo punto si sentì uno sparo. Era un indiano che aveva visto un soldato. Da quel momento l'azione divenne rapidissima. Le forze di Custer attaccarono il villaggio dai quattro punti in cui si trovavano. Un gruppo di cavalleggeri attraversò rapidamente il villaggio tra il furioso abbaiare dei cani in direzione dei ponies indiani per catturarli e impedire la fuga dei Cheyenne. Il villaggio parve deserto perché tutti gli occupanti erano all'interno delle tende.
I soldati uscirono improvvisamente dai nascondigli, dalle forre circostanti, dai cespugli e dai macchioni di salvia gelata e si gettarono all'attacco sui cavalloni americani che tanto spaventavano gli indiani. La banda prese a incitare i cavalleggeri suonando "Garry Owen".
Il villaggio si animò di colpo in un inferno di spari, sciabolate, urla e pianti, cavalli al galoppo, gente che fuggiva da tutte le parti. I guerrieri non riuscirono ad organizzare una seria azione difensiva e il loro unico pensiero fu di agguantare qualunque arma e gettarsi nella mischia contro i soldati per consentire alle donne di scappare e portare in salvo i bambini. La battaglia si trasformò rapidamente in combattimenti corpo a corpo che impegnarono i cavalleggeri contro adulti e anche ragazzini, persino donne che disperatamente tentavano di difendere la propria vita e i figlioletti. Le corse dei cavalieri dentro il villaggio portarono ad inseguire i fuggitivi in tutte le direzioni, anche dentro il fiume, dietro i canneti, dentro i cespugli. Le "prede" venivano stanate e uccise sul posto, senza alcuna pietà. Ovunque si vedesse un nemico si udivano sparatorie. Gesti nervosi, a volte disperati, tutto era concitato, frenetico. I soldati avevano ricevuto ordini precisi: tutti i guerrieri dovevano essere annientati senza alcuna pietà e la stessa sorte doveva essere riservata a chiunque mostrasse ostilità, uomini, donne e bambini. Accadde proprio così! Nonostante la bandiera bianca che sventolava sulla tenda del capo, gli indiani, colti alla sprovvista, in pieno inverno e al buio, furono sconfitti senza aver potuto realmente combattere. Morti dappertutto e moribondi senza speranza di essere curati si potevano trovare anche a lunga distanza dal campo indiano.

 

Il piano. Custer chiamò intorno a sé gli ufficiali sui quali nutriva la maggiore fiducia e si dilungò a spiegargli il piano che aveva escogitato: le forze sarebbero state suddivise in quattro parti che avrebbero preso posizione intorno all'accampamento durante la notte.

 

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