L'attacco al campo Cheyenne
ue ore di marcia furono sufficienti per
rintracciare la preda. "Fermatevi", gridò uno degli
scout. Gli Osage insistevano di sentire odore di fumo nell'aria.
Smontarono tutti nel silenzio più assoluto mentre Custer e qualche
indiano andavano avanti, oltre un piccolo dosso. "Che c'é?",
chiese Custer. "Ci sono mucchi di indiani laggiù!"
rispose un Osage, indicando con decisione un punto nel buio pesto.
Tesero le orecchie e si sentì distintamente un abbaiare di cani in
lontananza. Poco dopo percepirono uno scampanellio da un'altra
direzione. Ancora pochi istanti e nel silenzio udirono il pianto di
un neonato. Li avevano trovati: gli indiani ostili, quelli che
sembravano fantasmi e non si riusciva mai a individuare, erano
davanti a loro.
Il campo indiano era immerso nell'oscurità. Tutti i guerrieri erano
nelle tende a godersi il tepore del fuoco che le donne tenevano
sempre acceso. Qualche volenteroso raccontava storielle ai bambini
in attesa di metterli a nanna. Le donne stavano riordinando le
stoviglie e tutti si preparavano a coricarsi. Fuori, nel freddo,
restavano alcuni giovani incaricati di vigilare sul branco di ponies
(da lì proveniva il suono del campanellino). Nessuna sentinella,
quella notte, vigilava sul campo; nessuno poteva ipotizzare un
attacco in pieno inverno.
Custer chiamò intorno a sé gli ufficiali sui quali nutriva la
maggiore fiducia e si dilungò a spiegargli il piano che aveva
escogitato: le forze sarebbero state suddivise in quattro parti che
avrebbero preso posizione intorno all'accampamento durante la notte.
Quindi i soldati avrebbero dovuto attendere che la notte
trascorresse per poi sferrare l'attacco, tutti insieme, alle prime
luci dell'alba. Sarebbe stata necessaria la massima attenzione per
evitare di spararsi addosso da punti opposti.
Era una notte tersa con un freddo intenso che faceva star male al
solo pensarci. I cavalli dovevano essere spostati con grande
prudenza e circospezione perché il terreno, ricoperto di ghiaccio,
scricchiolava sotto i loro zoccoli e il rumore poteva essere sentito
a distanza nel silenzio.
A disposizione delle forze ultimata, con i nervi a fior di pelle e
la paura che era quasi palpabile, ai soldati fu consentito di
riposare un pochino dandosi il cambio nelle postazioni. Chiaramente
nessuno riuscì veramente a dormire e, a onor del vero, neppure a
distendersi perché ciascun uomo sapeva bene che quelle ore di
attesa sarebbero potute essere le ultime della vita. Gli indiani
sarebbero stati sorpresi, certamente, ma avrebbe venduto cara la
pelle e una freccia poteva arrivare da qualunque parte.
Nel campo indiano quelle ultime ore della notte trascorrevano
pigramente. Dai colmi dei tepee, le alte tende che ospitavano gli
indiani delle pianure, usciva un filo di fumo che immeditamente
ghiacciava al contatto col freddo dell'aria. Persino i cani, sempre
così attenti a ogni minimo segnale di pericolo, non si resero conto
di quel che stava per succedere di lì a poco. I cavalli, pure loro,
si scaldavano stringendosi l'uno all'altro senza un nitrito di
inquietudine. Pentola Nera, poi, sapeva di poter dormire tra due
guanciali: lui aveva scelto di mettere il "segno" sui
fogli di pace dei bianchi a Medicine Lodge, poco tempo prima. La sua
gente era certamente al riparo dai guai e nessuno tra i giovani si
era reso colpevole di attacchi ai coloni o alle carovane o ai posti
di scambio. Davvero, valeva la pena, nonostante l'attacco
sconsiderato subito a Sand Creek da quell'assatanato di Chivington,
di dormire beatamente... Ad ogni buon conto una bandiera bianca
sventolava sul tepee di Pentola Nera.
Il primo raggio di sole mattutino vide i soldati del VII Cavalleria
ormai pronti ad attaccare, tutti in postazione, con i cavalli a
fianco e i fucili e i cento proiettili di riserva pronti all'uso.
"Gli uomini si levino i cappotti e appoggino le bisacce a
terra", disse Custer ai suoi ufficiali che si curarono di fare
eseguire prontamente quell'ordine. La manovra serviva a liberare i
soldati da ogni impiccio ritenuto superfluo nel corso della
battaglia che stava per iniziare. I cappotti e le bisacce sarebbero
stati raccolti dai soldati al seguito dei carri.
Ad un certo punto si sentì uno sparo. Era un indiano che aveva
visto un soldato. Da quel momento l'azione divenne rapidissima. Le
forze di Custer attaccarono il villaggio dai quattro punti in cui si
trovavano. Un gruppo di cavalleggeri attraversò rapidamente il
villaggio tra il furioso abbaiare dei cani in direzione dei ponies
indiani per catturarli e impedire la fuga dei Cheyenne. Il villaggio
parve deserto perché tutti gli occupanti erano all'interno delle
tende.
I soldati uscirono improvvisamente dai nascondigli, dalle forre
circostanti, dai cespugli e dai macchioni di salvia gelata e si
gettarono all'attacco sui cavalloni americani che tanto spaventavano
gli indiani. La banda prese a incitare i cavalleggeri suonando
"Garry Owen".
Il villaggio si animò di colpo in un inferno di spari, sciabolate,
urla e pianti, cavalli al galoppo, gente che fuggiva da tutte le
parti. I guerrieri non riuscirono ad organizzare una seria azione
difensiva e il loro unico pensiero fu di agguantare qualunque arma e
gettarsi nella mischia contro i soldati per consentire alle donne di
scappare e portare in salvo i bambini. La battaglia si trasformò
rapidamente in combattimenti corpo a corpo che impegnarono i
cavalleggeri contro adulti e anche ragazzini, persino donne che
disperatamente tentavano di difendere la propria vita e i
figlioletti. Le corse dei cavalieri dentro il villaggio portarono ad
inseguire i fuggitivi in tutte le direzioni, anche dentro il fiume,
dietro i canneti, dentro i cespugli. Le "prede" venivano
stanate e uccise sul posto, senza alcuna pietà. Ovunque si vedesse
un nemico si udivano sparatorie. Gesti nervosi, a volte disperati,
tutto era concitato, frenetico. I soldati avevano ricevuto ordini
precisi: tutti i guerrieri dovevano essere annientati senza alcuna
pietà e la stessa sorte doveva essere riservata a chiunque
mostrasse ostilità, uomini, donne e bambini. Accadde proprio così!
Nonostante la bandiera bianca che sventolava sulla tenda del capo,
gli indiani, colti alla sprovvista, in pieno inverno e al buio,
furono sconfitti senza aver potuto realmente combattere. Morti
dappertutto e moribondi senza speranza di essere curati si potevano
trovare anche a lunga distanza dal campo indiano.
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