Sfida finale e ritorno
el frattempo, mentre il grosso delle truppe di
Custer prendeva possesso del villaggio, una parte dei soldati era
andata a presidiare una collinetta vicina dalla quale si poteva
vedere tutta la zona circostante. "Ma è enorme - disse con
stupore il Tenente Godfrey - saranno centinaia e
centinaia!" Si riferiva alle tende dell'enorme villaggio
indiano che si stendeva a pochissima distanza da quello di Pentola
Nera. Come era consuetudine, gli indiani di diverse tribù
condividevano parte dei mesi invernali accampandosi in zone
contigue. Il campo di Pentola Nera era uno dei villaggi della zona.
E da quelli stavano arrivando al galoppo ingenti forze di guerrieri,
armati di tutto punto, che andavano a prestare soccorso agli amici
Cheyenne. Godfrey fece ritorno al campo galoppando a rotta di collo
e appena incontrato Custer gli fece una relazione dettagliata di
quanto aveva potuto vedere con le sue truppe. Custer si mostrò
visibilmente preoccupato e decise di accelerare le operazioni. Molti
soldati mostrarono forte interesse per certi manufatti e capi di
abbigliamento lasciati dagli indiani; gli fu consentito di prelevare dai tepee
alcuni oggetti personali e altre cose e cosette utili per il viaggio
di ritorno, poi parte delle tende venne smontata rozzamente dai
soldati e fu fatto un mucchio enorme al quale venne dato fuoco. Lo
stesso fuoco fu esteso al resto delle tende e tutti gli oggetti
vennero bruciati. Niente doveva essere lasciato agli indiani che
potesse aiutarli a riorganizzarsi. Ai prigionieri fu infine permesso
di scegliere un pony ciascuno.
Dalle creste intorno si affacciavano gli altri indiani, indecisi sul
da farsi e impotenti, preoccupati per quanto era accaduto e per
quanto stavano ancora facendo i soldati. Vedevano anche le loro
donne e i bambini prigionieri dell'odiato nemico.
Custer decise un ennesimo gesto di sfida molto emblematico. Fece
raggruppare in un corral improvvisato gli oltre 900 ponies indiani
in maniera che non potessero sfuggire. Organizzò i soldati in più
batterie e scatenò una gigantesca sparatoria contro quelle povere
bestie inermi. Le file dei soldati sparavano a turno e non smisero
di sparare finché anche l'ultimo cavallo non cadde a terra morente.
Tutto in un caos totale di spari, nitriti disperati, neve che
schizzava dappertutto,fango, disgusto e sangue. Tanto sangue, al
punto che la neve divenne presto rossa. E gli indiani che
assistevano impotenti.
Al tramonto anche quest'ultimo eccidio era completato e le truppe
iniziarono a muoversi. Per spaventare gli indiani, Custer fece
muovere la cavalleria in direzione dei loro villaggi. I guerrieri
fecero immediatamente marcia indietro per avvisare la loro gente e
organizzare la difesa. La manovra diversiva durò poco, quel tanto
che bastò ad ottenere lo scopo. A quel punto tutti fecero
dietrofront e puntarono decisi verso il forte di provenienza. Fino a
tarda notte i pellerossa seguirono i soldati ma non fecero gesti
ostili. Era troppo forte la paura di fare del male ai propri cari
prigionieri, sia pure involontariamente.
La battaglia del Washita era finita. L'esercito riuscì a contare
103 nemici morti, ma tra loro solo 11 erano guerrieri. Gli altri
erano donne, vecchi e bambini e di fronte a questi numeri anche le
considerazioni da farsi cambiano notevolmente. Pentola Nera e la
moglie furono trovati, morti, a faccia in giù, quasi dentro l'acqua
del fiume Washita nel quale avevano tentato invano di trovare
riparo.
I fatti del Washita segnarono l'inizio della capitolazione degli
indiani liberi e nomadi delle grandi pianure americane del nord
ovest.
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