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a cura di Sergio Mura

Sfida finale e ritorno

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el frattempo, mentre il grosso delle truppe di Custer prendeva possesso del villaggio, una parte dei soldati era andata a presidiare una collinetta vicina dalla quale si poteva vedere tutta la zona circostante. "Ma è enorme - disse con stupore il Tenente Godfrey - saranno centinaia e centinaia!" Si riferiva alle tende dell'enorme villaggio indiano che si stendeva a pochissima distanza da quello di Pentola Nera. Come era consuetudine, gli indiani di diverse tribù condividevano parte dei mesi invernali accampandosi in zone contigue. Il campo di Pentola Nera era uno dei villaggi della zona. E da quelli stavano arrivando al galoppo ingenti forze di guerrieri, armati di tutto punto, che andavano a prestare soccorso agli amici Cheyenne. Godfrey fece ritorno al campo galoppando a rotta di collo e appena incontrato Custer gli fece una relazione dettagliata di quanto aveva potuto vedere con le sue truppe. Custer si mostrò visibilmente preoccupato e decise di accelerare le operazioni. Molti soldati mostrarono forte interesse per certi manufatti e capi di abbigliamento lasciati dagli indiani; gli fu consentito di prelevare dai tepee alcuni oggetti personali e altre cose e cosette utili per il viaggio di ritorno, poi parte delle tende venne smontata rozzamente dai soldati e fu fatto un mucchio enorme al quale venne dato fuoco. Lo stesso fuoco fu esteso al resto delle tende e tutti gli oggetti vennero bruciati. Niente doveva essere lasciato agli indiani che potesse aiutarli a riorganizzarsi. Ai prigionieri fu infine permesso di scegliere un pony ciascuno.
Dalle creste intorno si affacciavano gli altri indiani, indecisi sul da farsi e impotenti, preoccupati per quanto era accaduto e per quanto stavano ancora facendo i soldati. Vedevano anche le loro donne e i bambini prigionieri dell'odiato nemico.
Custer decise un ennesimo gesto di sfida molto emblematico. Fece raggruppare in un corral improvvisato gli oltre 900 ponies indiani in maniera che non potessero sfuggire. Organizzò i soldati in più batterie e scatenò una gigantesca sparatoria contro quelle povere bestie inermi. Le file dei soldati sparavano a turno e non smisero di sparare finché anche l'ultimo cavallo non cadde a terra morente. Tutto in un caos totale di spari, nitriti disperati, neve che schizzava dappertutto,fango, disgusto e sangue. Tanto sangue, al punto che la neve divenne presto rossa. E gli indiani che assistevano impotenti.
Al tramonto anche quest'ultimo eccidio era completato e le truppe iniziarono a muoversi. Per spaventare gli indiani, Custer fece muovere la cavalleria in direzione dei loro villaggi. I guerrieri fecero immediatamente marcia indietro per avvisare la loro gente e organizzare la difesa. La manovra diversiva durò poco, quel tanto che bastò ad ottenere lo scopo. A quel punto tutti fecero dietrofront e puntarono decisi verso il forte di provenienza. Fino a tarda notte i pellerossa seguirono i soldati ma non fecero gesti ostili. Era troppo forte la paura di fare del male ai propri cari prigionieri, sia pure involontariamente.
La battaglia del Washita era finita. L'esercito riuscì a contare 103 nemici morti, ma tra loro solo 11 erano guerrieri. Gli altri erano donne, vecchi e bambini e di fronte a questi numeri anche le considerazioni da farsi cambiano notevolmente. Pentola Nera e la moglie furono trovati, morti, a faccia in giù, quasi dentro l'acqua del fiume Washita nel quale avevano tentato invano di trovare riparo.
I fatti del Washita segnarono l'inizio della capitolazione degli indiani liberi e nomadi delle grandi pianure americane del nord ovest.

 

Disperati. Fino a tarda notte i pellerossa seguirono i soldati ma non fecero gesti ostili. Era troppo forte la paura di fare del male ai propri cari prigionieri, sia pure involontariamente.

 

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