La storia di Capo Giuseppe
l nome in lingua originale Hein-Mot-Too-Ya-La-Kekt significa
“Tuono Che Scende Dalla Montagna”, ma è con il nome di Chief Joseph
the Younger (Capo Giuseppe il Giovane), che questo grande capo è
assurto a celebrità nazionale anche tra i bianchi. Suo padre, Chief
Joseph the Elder, capo prima di lui, fu uno dei primi Nasi Forati a
convertirsi al cristianesimo e ad essere battezzato, oltre ad
intrattenere rapporti di pacifica convivenza con i bianchi almeno
fino al 1863, anno in cui l’ennesimo trattato imposto dal governo
riduceva di 9/10 la superficie della riserva. Capo Giuseppe il
Vecchio si rifiutò di portare la sua gente lontano dalla valle
Wallowa, nella minuscola riserva dell’Idaho e, alla sua morte nel
1871, lasciò in eredità ai figli Allokut e Giuseppe il Giovane una
situazione conflittuale con le autorità governative che sfociò poi
nelle vicende che sappiamo. La cultura popolare americana tende ad
assegnare a Capo Giuseppe il titolo di grande stratega nelle vicende
che si susseguirono durante la grande fuga. Tuttavia è ormai
accertato che il fratello Allokut, Specchio e altri capi guerrieri
furono i reali artefici delle straordinarie manovre militari che
fecero impazzire per mesi i capi dell’esercito degli Stati Uniti.

Capo Giuseppe era piuttosto il responsabile della sicurezza del
campo che, nella fattispecie, era un incarico cruciale vista la
necessità di proteggere centinaia tra donne, anziani e bambini oltre
alle masserizie e alla mandria, in continuo movimento e minacciati
dagli attacchi dei soldati. La fama di Capo Giuseppe è anche dovuta
alle sue capacità di oratore e celeberrimo divenne il suo discorso
di resa a Bear Paw dopo l’ultima battaglia:
“… Sono stanco di combattere. I nostri capi sono stati uccisi.
Specchio è morto. Too-hul-hul-sote è morto. I vecchi sono tutti
morti. Sono i giovani che dicono di sì e di no (cioè votano in
consiglio). Colui che li guidava è morto (Allokut). Fa freddo e non
abbiamo coperte. I bambini piccoli stanno congelando. Della mia
gente, alcuni sono fuggiti sulle colline e non hanno coperte né
cibo; nessuno sa dove siano, forse stanno morendo di freddo. Voglio
avere il tempo di cercare i miei figli e vedere quanti ne riesco a
trovare. Forse li scoprirò tra i morti. Ascoltatemi, miei capi. Sono
stanco, il mio cuore è triste e malato. Da dove si trova ora il
sole, io non combatterò mai più.”
Contrariamente a quanto aveva creduto (o gli avevano fatto
credere), dopo la resa Capo Giuseppe non fu riportato nelle sue
terre, bensì venne deportato insieme alla sua gente dapprima in
Kansas , successivamente nel Territorio Indiano (l’attuale Oklahoma)
dove molti morirono per gli stenti e le epidemie. Anche quando nel
1885 i resti della sua tribù furono finalmente ricondotti nel
NordOvest, a Capo Giuseppe non fu mai concesso di tornare a vivere
nella sua terra, fu infatti rinchiuso in una riserva nello stato di
Washington, ben lontano dalla valle Wallowa.
Negli ultimi anni della sua vita fu invitato più volte all’Est,
dove intervenne a cerimonie e commemorazioni perorando in ogni
occasione la causa della sua gente. Morì nel 1904, poco più che
sessantenne, e, secondo il medico dell’agenzia, la causa della morte
fu “crepacuore”.
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