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A cura di Domenico Rizzi

Settima parte del viaggio

E'

il 27 luglio 2005. Il nostro tour si avvicina purtroppo alla conclusione. Siamo felici, molto stanchi, ma se ci fosse consentito continueremmo all’infinito per scoprire altri preziosi segreti dell’anima del West. Sappiamo che, una volta ritornati a Denver, avremo lasciato dietro di noi l’America dei pionieri e degli Indiani, dei luoghi di battaglia e delle riserve, delle praterie sterminate e degli ultimi bisonti. La metropoli del Colorado ci accoglierà con i suoi grattacieli, il suo traffico sostenuto, la sua vita non meno convulsa di quella di New York.

Per fortuna il viaggio non è ancora del tutto concluso e la nostra agenda prevede ancora una visita a Fort Philip Kearny, un pernottamento a Casper ed una seconda sosta a Cheyenne.

Partiti da Sheridan in mattinata, dopo aver lasciato il suo meraviglioso parco, ci dirigiamo verso uno dei luoghi che furono al centro della contesa fra gli Americani e i Lakota Sioux di Nuvola Rossa, nel 1866-68.

Fort Kearny, l’”odiato presidio sul Little Piney”, si raggiunge facilmente percorrendo una strada secondaria che devia dall’autostrada. Si trova a circa 30 chilometri da Sheridan procedendo verso sud-est.

Mentre guido, avverto i miei compagni di viaggio di non aspettarsi di vedere il classico avamposto che compare nei film western, con la sua palizzata di tronchi e le torrette che fiancheggiano la porta centrale. “Il forte venne consegnato agli Indiani dopo la firma del trattato di Fort Laramie, nel 1868” spiego “Abituati come siamo a considerare una vittoria indiana quella del Little Big Horn, ci dimentichiamo spesso che fu invece questa l’unica guerra vinta dal popolo sioux e dai suoi alleati Cheyenne contro gli Stati Uniti”. Poiché i miei amici sembrano sorpresi da tale spiegazione, aggiungo: “Fort Kearny fu costruito dal colonnello Henry B. Carrington, generale di brigata onorario destinato nel Wyoming con 700 uomini del 18° Fanteria e del 2° Cavalleria. Il presidio doveva servire a difendere la nuova pista che John Bozeman aveva aperto verso il Montana, per collegare la stazione ferroviaria di Julesburg, nel Colorado, con i giacimenti auriferi scoperti a Virginia City e Bozeman City. In realtà, la spedizione fu un fiasco colossale. In pochi mesi le perdite dell’esercito e dei civili in transito furono oltre 150, tutte causate dagli Indiani, che disponevano di oltre 2.000 guerrieri e conoscevano perfettamente il territorio. Il fatto più sconvolgente fu il massacro della colonna guidata dal capitano (tenente colonnello onorario) William Judd Fetterman, il 21 dicembre 1866. L’imprudente ufficiale era stato inviato da Carrington a soccorrere una squadra di taglialegna assalita dai Sioux a poca distanza dal forte. I Pellirosse lo attirarono in un agguato, sterminando tutto il suo reparto di 81 uomini. Fra le vittime ci fu anche il tenente Grummond, che aveva portato a Fort Kearny la giovane moglie Frances Courtney dal Tennessee. Quando accadde il fatto, la donna era incinta di pochi mesi”.

Lungo il percorso incontriamo pochissime auto, quasi tutte dirette alla nostra stessa mèta.

Fort Kearny si trova al centro di un’ampia vallata verde, circondata da colline ondulate. Quando vi giunsero Carrington e il suo seguito, nell’estate 1866, la zona pullulava di Indiani ostili. Infatti Nuvola Rossa e Coda Macchiata, che insieme ad altri capi governavano circa 6.000 Lakota (Toro Seduto, leader degli Hunkpapa Sioux conduceva invece la sua guerriglia più a nord, nel territorio del Dakota) erano affiancati da oltre 1.000 Chyenne del Nord di Coltello Spuntato e Piccolo Lupo.

Il contingente del colonnello Carrington constava inizialmente di 700 uomini, ai quali si aggiunsero poi alcune centinaia di civili e guide indiane appartenenti a tribù nemiche dei Lakota. Metà della spedizione si trasferì poi a Fort C. F. Smith, in costruzione nel Montana meridionale e nel ricostruito presidio di Fort Reno, a sud di Fort Kearny.

Dopo avere posteggiato l’auto nel piazzale antistante il fortino, mi guardo intorno, ansioso di visitare quel luogo. All’argomento dedicai infatti la mia prima opera sulla storia del West, intitolata “Hoka Hey! L’ultima guerra indiana”, pubblicata a Milano nel lontano 1978, pochi anni dopo essermi laureato.

Il forte non esiste praticamente più, se non per un tratto di palizzata di tronchi ricostruita ad hoc.

All’interno, gli spazi occupati un tempo dalle camerate recano soltanto dei cartelli indicatori, una toponomastica essenziale che serve ad individuare dove si trovavano gli alloggi degli ufficiali, il comando, l’infermeria e la mensa della truppa. Al centro, la piazza d’armi, dove sono ancora posizionati due cannoni tipo “Howitzer”, che all’epoca rappresentavano il terrore degli Indiani. Le mitragliatrici “Gatling” invece – in uso dai primi Anni Sessanta – non ebbero pressochè alcun peso nelle guerre contro i Pellirosse, semplicemente perché questi ultimi non erano tanto scriteriati come li ha voluti far sembrare il cinema western. Esporsi al fuoco di un’arma che, con le sue sei canne rotanti, era in grado di sparare da 100 a 350 colpi al minuto, sarebbe stato un suicidio di massa per i variopinti guerrieri che usavano caricare a cavallo. Se non altro, gli Howitzer sparavano un colpo alla volta, consentendo agli attaccanti di irrompere fra le file avversarie prima che i cannoni potessero essere ricaricati.

A Fort Kearny, durante lo stato d’assedio durato dall’autunno 1866 all’estate successiva, le grosse bocche da fuoco non furono quasi mai usate. Mi viene in mente però che nel 1862, nel corso della più sanguinosa delle rivolte pellirosse dell’Ottocento – quella dei Santee-Sioux di Piccolo Corvo, Shakopee e Mankato, nel Minnesota, costata la vita ad oltre 750 Bianchi in un solo mese – fu un pezzo d’artiglieria azionato da uno sconosciuto sergente Jones a salvare Fort Ridgely dalla completa distruzione.  

Dell’imponente avamposto di un tempo non resta un granchè, se non ciò che abbiamo detto.

Quando fu completato, Fort Kearny era un rettangolo circondato da una palizzata lunga 488 metri e larga 183, che conteneva 42 edifici. Ospitava, prima della perdita della colonna Fetterman, 327 militari e 170 civili, quasi 500 persone, fra le quali alcune donne.

Due di queste divennero celebri per aver pubblicato dei libri sulla loro esperienza nel West. La prima – autrice dell’opera “A-bsa-ra-ka. Land of Massacre” - fu Margareth Sullivant, moglie del colonnello Carrington, morta prematuramente in quel periodo. La seconda, divenuta molto più famosa, era Frances Courtney, moglie e ben presto vedova del tenente George Grummond, caduto insieme a Fetterman. Tornata all’Est con le spoglie del marito, “Fanny” scrisse più tardi “My Army Life and the Fort Phil Kearny Massacre”, pubblicato a Filadelfia nel 1911. Pochi anni dopo la tragedia, la vedova si risposò con il colonnello Carrington, che aveva quasi il doppio dei suoi anni.

A Fort Kearny si trovavano, nel suo periodo più critico, uomini famosi, quali Jim Bridger, uno dei più grandi scout della Frontiera, che da giovane aveva esplorato lo Yellowstone Park e raggiunto in canoa il Gran Lago Salato dello Utah insieme a Peter Ogden. Ma il vero eroe della breve, drammatica esistenza del forte fu quel John Phillips che si offrì di andare a chiedere soccorsi a Fort Laramie dopo il disastro di Fetterman e dei suoi uomini trucidati dai Sioux. Fu una cavalcata durata 3 giorni e 2 notti, coprendo una distesa gelata di 378 chilometri, con temperature di 30 gradi sottozero. Questo intrepido giovane, di origine portoghese, è un eroe che non viene mai ricordato abbastanza nella storia del West e il suo nome è stato ingiustamente passato in secondo piano da figure più appariscenti come Buffalo Bill e il generale Custer (Alla sua eroica cavalcata ho dedicato un lungo articolo, pubblicato su “Farwest” verso la fine del 2005, quando avevo ancora negli occhi le immense distese erbose del Wyoming).   

Per la sua impresa, “Portugee” Phillips chiese soltanto di poter usare il cavallo del colonnello Carrington, in sella al quale raggiunse Fort Laramie la sera del 24 dicembre 1866. Frances Courtney rivela nel suo libro di memorie che quell’uomo le aveva dichiarato espressamente di rischiare la propria vita soprattutto per amor suo.    

Nei dintorni dell’ex presidio militare non c’è proprio nulla, se non il monumento eretto con le pietre ai caduti del capitano Fetterman e qualche lapide commemorativa dell’eccidio di quel 21 dicembre. A poca distanza si trova invece il luogo in cui il capitano James Powell sconfisse duramente, con soli 32 soldati, cinque o seicento Sioux di Nuvola Rossa nell’agosto 1867. Lo fece trincerandosi dietro i cassoni di 14 carri da trasporto, disposti in circolo a formare una barricata per i suoi uomini. Secondo il suo rapporto, gli Indiani uccisi in quella battaglia – chiamata appunto “Wagon Box Fight” – furono da 40 a 60, ma la stampa esagerò le cifre, parlando addirittura di 1.000 morti. Il merito della vittoria non fu soltanto della prudenza di Powell, ma anche dei nuovi fucili “Springfield” da poco assegnati all’esercito del Wyoming. Non si trattava, come qualcuno ha scritto, di armi a ripetizione tipo “Winchester” – carabina che l’esercito americano della Frontiera non ebbe mai in dotazione!” – bensì di un fucile monocolpo a retrocarica che riusciva a sparare un colpo ogni cinque secondi.

La vittoria finale nella lunga contesa arrise comunque ai Sioux e ai loro alleati. Stanco di perdere uomini e sostenere spese per tenere aperta una pista che era praticamente inservibile, il governo americano scese a trattative con Nuvola Rossa e decise di evacuare i forti. Dopo che le truppe si furono allontanate, gli Indiani si riversarono all’interno di Fort Kearny, invadendo camerate e alloggi. Sebbene qualcuno di essi avesse chiesto di utilizzare l’avamposto come recinto per i cavalli, la maggior parte dei capi optò per la sua distruzione.

Ad appiccare il fuoco al simbolo dell’invadenza dei Bianchi fu il condottiero cheyenne Piccolo Lupo, che poi celebrò con la sua gente il trionfo sulle Giacche Blu. Come sappiamo, si trattò di una vittoria temporanea, perché pochi anni dopo la contrada venne nuovamente invasa.  

Per me che ho descritto quegli eventi nel mio primissimo libro, questa vallata è come un tuffo nostalgico nel passato. Respirando l’aria pulita della zona e spaziando sui resti di Fort Kearny, mi figuro quanto dev’essere stata difficile la vita, soprattutto dei civili, nei lunghi mesi dell’inverno 1866-67.

Mentre mi aggiro, in pieno sole, fra le “aiuole” dove un tempo sorgevano gli edifici, la temperatura supera di nuovo i 35 gradi. E’ una giornata caldissima come al solito, con un cielo terso e una leggera brezza che giunge solo a tratti.

All’interno dell’agenzia, un’impiegata molto cortese mi spiega alcune cose sull’ex presidio, meravigliandosi che io conosca tanto bene questa pagina di storia. Quando, dopo essermi presentato e averle rivelato la mia passione per la storia americana, accenno a Carrington, Bridger, Fetterman e Nuvola Rossa, la ragazza prende un libro fra quelli che sono in mostra per i turisti e me lo mostra. “Conosce questo libro? Fu scritto da una donna vissuta qui all’epoca del massacro Fetterman. Il suo nome era Frances Grummond…”. La interrompo, con un sorriso, prendendo il libro. “Si, certamente. Si chiamava Frances Courtney ed era sposata al tenente Grummond, morto combattendo con Fetterman.  Anni dopo diventò la seconda moglie del colonnello Henry Beebe Carrington…”. Decido di acquistare il libro, che non esiste in versione italiana. “Ho un grande rispetto per Frances “Fanny” Courtney” aggiungo “come per molte altre donne della Frontiera a cui ho dedicato un mio libro due anni fa” (Domenico Rizzi, “Le schiave della Frontiera”, Firenze, 2003)

Usciamo di nuovo per immortalare la nostra visita con le immagini. Vorremmo trattenerci più a lungo, addentrandoci maggiormente nella vallata per vedere altre testimonianze storiche dell’epopea, ma abbiamo la macchina quasi in riserva e un Americano incontrato a Fort Kearny ci consiglia di tornare verso Sheridan, per rifornirci al distributore più vicino.

Questi territori sono immensi e spesso si devono percorrere molte miglia prima di incontrare un posto di ristoro o una pompa di benzina.

Lasciamo il forte e torniamo verso nord per una ventina di miglia, lasciandoci alle spalle la storica vallata.

Dopo la sosta e una frugale colazione nell’area di servizio che ci è stata indicata, ripartiamo verso sud, diretti a Casper, distante 243 chilometri, dove pernotteremo, prima di rimetterci in marcia. Infatti Denver dista da Sheridan 378 miglia e mezzo (oltre 600 chilometri) e noi siamo troppo stanchi per sopportare una “tirata” del genere.  Terminata la breve pausa, dunque, “on the road again”, diretti verso il cuore del Wyoming.

Attraversiamo ancora praterie, costellate di colline e canyons che si vedono a distanza, godendoci quest’ultimo scorcio di vecchio West in attesa che il nostro sogno si concluda.

A Casper non riusciamo a vedere molto, perché l’hotel che abbiamo prenotato si trova in una zona periferica, circondata dal verde ed in prossimità di un complesso sportivo che ospita anche un campo da baseball ed alcune piste per l’atletica. Tuttavia, possiamo concederci una lunga camminata nel meraviglioso parco che costeggia il ramo settentrionale del nostro amato fiume Platte, il maestoso corso d’acqua che scende verso lo Stato del Nebraska, tagliandolo per tutta la sua lunghezza prima di gettarsi nel “Grande Fangoso”, il Missouri.

Uomini come John Colter e Jim Bridger lo percorsero con barconi e canoe al tempo in cui in questa regione prosperava la caccia agli animali da pelliccia, perché il fiume rappresentava un’ottima via di collegamento per trasportare il bottino fino a Saint Louis (Missouri) da dove le pelli prendevano la via dell’Est.

Casper non ha una storia molto antica e il suo sviluppo avvenne quando era ormai prossima la fine della Frontiera, fissata convenzionalmente nell’anno 1894.

La città venne fondata nel 1888 da emigranti irlandesi, dopo che la ferrovia transcontinentale aveva già collegato da anni le città della Costa Atlantica all’estremo occidente californiano. A quell’epoca il Wyoming era ancora una via di transito per gli emigranti, ma nel suo territorio si stavano sviluppando sia le attività minerarie che l’allevamento del bestiame.

La cittadina, situata su un altipiano ad oltre 1600 metri di altitudine, fa parte della contea di Natrona ed ha attualmente 51.000 abitanti, oltre la metà dei quali discendono da immigrati tedeschi, irlandesi ed inglesi. La presenza di “hispanics”, più significativa che in altre aree delle Grandi Pianure, supera di poco il 5 per cento. Pochissime sono le persone di colore – neri e pellirosse – che insieme raggiungono il 2 e mezzo per cento.

Casper è in tutto una città moderna e funzionale, che concede poco al passato, se non per i rodei.

La vera curiosità è la denominazione data a questo insediamento, che si volle intitolare, secondo alcune fonti, al giovane sottotenente Caspar Collins dell’Undicesimo Cavalleria “Ohio”, caduto in battaglia contro i Cheyenne di Naso Aquilino vicino a Fort Platte Bridge (Wyoming) il 26 luglio 1865. Al termine di quella lunga battaglia, gli Indiani avevano ucciso e scotennato 28 soldati. Il nome della città sarebbe stato trascritto erroneamente come “Casper”, modificando la grafia originale del nome di Collins, che era “Caspar”.  

Mentre passeggiamo a poca distanza dall’albergo, vicino ad un museo che ospita un planetario, un branco di conigli selvatici sbuca improvvisamente da un’aiuola e si disperde in varie direzioni.

Sorrido con soddisfazione, constatando come la modernità e il passato  riescano a convivere qui, nonostante l’invadente supremazia tecnologica che ha trasformato il mondo in pochi decenni.

 

Presidio. Fort Kearny, l’”odiato presidio sul Little Piney”, si raggiunge facilmente percorrendo una strada secondaria che devia dall’autostrada. Si trova a circa 30 chilometri da Sheridan procedendo verso sud-est.

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Cliccate sulle foto per vederle ingrandite.

Sotto: La vallata in cui sorgeva Fort Philip Kearny

Domenico Rizzi all’ingresso di Fort Philip Kearny

La palizzata e ciò che rimane di Fort Kearny

Cannoni Howitzer al centro dell’ampio cortile del forte

Particolare di un cannone a Fort Kearny, vicino al plastico del forte

Le praterie del Wyoming in direzione di Casper

Domenico Rizzi nel parco di Casper, Wyoming. Il fiume alle spalle è il North Platte

 

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