La tappa finale
arebbe stato meraviglioso tentare un’escursione nel Wyoming occidentale.
Ne abbiamo parlato più di una volta, ma quando abbiamo raggiunto
Casper, dopo dieci giorni di marce quasi forzate in quattro Stati
diversi, cambiamo definitivamente idea.
L’obiettivo
sarebbe stato di spingerci fino a Cody, la città-museo di Buffalo
Bill, magari facendo una puntata al Parco Nazionale di Yellowstone,
che non è troppo distante da quella località. Tutto questo, però, ci
avrebbe allungato la via del ritorno di almeno 500 chilometri e la
tabella di marcia ci dice che da Casper a Denver vi sono già 235
miglia, con l’unica sosta prevista a Cheyenne (160 miglia) senza
pernottamento.
Con rammarico,
accettiamo di rispettare il programma originario e partiamo per la
capitale del Wyoming, raggiungendola in circa due ore e mezza dopo
avere attraversato praterie costellate di canyons e colline
rocciose.
La città è
collocata fra le Interstate 25 e 80 e porta il nome di una delle più
bellicose tribù delle praterie. Cheyenne non
esisteva ancora al tempo in cui gli emigranti transitavano sulla
Oregon-California Trail nel 1848-50. Venne infatti
fondata nel 1867 e il suo primo sindaco fu H.M. Cook; quindi diventò
stazione ferroviaria della Union Pacific Railroad e mèta importante
per i mandriani che trasferivano le loro mandrie dalla zona di San
Antonio nel Texas fino a Miles City, nel Montana. Questa pista, la
Northern Trail, meno celebrata della Chisholm Trail e della
Goodnight-Loving, ebbe comunque grande importanza fino agli Anni
Ottanta dell’Ottocento.
Sebbene meno
famosa di altre città, Cheyenne ospitò molte celebrità del West,
quali John “Portugee” Phillips e Texas Jack Omohundro. Tom Horn,
protagonista della campagna contro Geronimo nel 1885-86 e della
liberazione di Cuba nel 1898 , fu imprigionato qui nel 1903, con
l’accusa di avere assassinato un ragazzo quattordicenne. La sua vita
terminò miseramente con l’impiccagione, dopo che il governatore
dello Stato ebbe respinto la sua istanza di grazia, nonostante
l’intercessione di personaggi altolocati come il generale Nelson
Appleton Miles.
La leggenda
narra che anche le ossa del fuorilegge Butch Cassidy (ufficialmente
ucciso in Bolivia nel 1911, ma, secondo altre fonti, rifugiatosi in
Messico dopo l’avventura sudamericana) furono trasportate in un
luogo segreto di questa città.
Ma Cheyenne non
è importante solo per questi personaggi maschili.
Il Wyoming è
denominato ancora oggi “The Equality State” perché fu proprio nel
suo territorio che le donne ottennero per la prima volta i loro
diritti, anticipando di almeno mezzo secolo gli altri Stati USA ed i
più evoluti Paesi europei.
Nella piazza
antistante il palazzo del governo, vi sono un monumento ed una
lapide che ricordano Esther Mc Quigg Hobart Morris, il personaggio
femminile che nel 1869 diede un contributo fondamentale al
raggiungimento, da parte delle donne, di “tutti i diritti, doveri,
privilegi e responsabilità politiche dei cittadini maschi”. Nata
nello Stato di New York nel 1814, Esther si spense proprio a
Cheyenne il 2 aprile 1902, dopo una vita assai lunga.
E’ stata una
delle principali artefici, insieme ad Ann Eliza Webb e Fanny
Stenhouse, della liberazione delle donne in America e nel mondo.
Purtroppo,
quando si parla del West americano, il riferimento è quasi sempre ai
suoi aspetti folcloristici.
La maggior parte
della gente viene è attratta dalle danze dei Pellirosse in costume –
che si possono vedere anche a Milano o a Como, nell’ambito delle
manifestazioni promosse dalle pro-loco con finanziamenti di enti
pubblici e privati - o dalle esibizioni dei cow-boys in sella ad un
cavallo più o meno addomesticato, o in groppa ad un torello
scatenato per 8 secondi. Questo è il prodotto di una filosofia
prettamente consumistica, che condiziona ormai il modo di viaggiare
della gente: si bada all’esibizione in costume, a certe usanze
locali o al piatto tipico, piuttosto che cercare di comprendere la
realtà dei luoghi visitati attraverso la conoscenza dei loro
protagonisti storici.
La sosta a
Cheyenne dura per noi solo qualche ora.
In questo breve
lasso di tempo, dopo esserci rifocillati nel solito fast-food, ci
incamminiamo lungo le vie cittadine, che sono ampie e pulitissime e
si intersecano spesso ad angolo retto. Il centro abbina vestigia del
passato a palazzi ultramoderni, esattamente come a Casper e altrove.
Possiamo contemplare edifici maestosi e giardini ben curati e non si
riesce a scorgere un solo pezzo di carta o una lattina vuota sugli
ampi marciapiedi che fiancheggiano le vie.
Mi sento di
affermare, paragonando la cittadina ad alcune delle nostre città,
che il senso civico non è acqua fresca, ma richiede una lunga,
paziente formazione, coinvolgendo più generazioni.
Sotto un sole
implacabile ma gradevole, visitiamo buona parte della capitale,
situata a circa 2000 metri sull’altipiano, con appena 53.000
abitanti, mentre l’intera contea di cui fa parte supera di poco gli
81.000. La popolazione è anche qui prevalentemente “bianca”, nel
senso che il 42% discende da Inglesi, Tedeschi ed immigrati dei
Paesi Scandinavi. La presenza di “colored” (Neri) è l’1 e mezzo per
cento, quella di origine pellerossa soltanto lo 0,4%.
Scopriamo anche
a Cheyenne l’estrema cordialità degli abitanti, che ci sorridono
abitualmente e sono sempre pronti a fornirci informazioni o ad
offrirci un aiuto.
Entriamo in un
paio di negozi di abbigliamento, dove la merce reca prezzi più bassi
di quelli italiani e acquistiamo qualche capo di vestiario, oltre ai
consueti souvenir.
Ci viene detto
che alla periferia della città c’è un grande raduno di cow-boys
nell’imminenza di un rodeo. Infatti incontriamo mandriani in costume
tradizionale ed un signore alto e corpulento, accompagnato da due
donne vestite come ai tempi del West si lascia scattare delle foto
che al ritorno in patria formeranno uno dei tanti piacevoli ricordi
di questa meravigliosa avventura.
La lunga
camminata sotto il sole caldissimo – siamo già oltre il mezzogiorno
del 28 luglio – e la consapevolezza di dover percorrere altre cento
miglia per tornare a Denver ci convincono alla fine che sia meglio
salutare anche il Wyoming.
Il rientro nella
capitale del Colorado, dove abbiamo prenotato lo stesso albergo che
ci ospitò per due giorni al nostro arrivo in America, avviene a metà
pomeriggio. Scaricati i bagagli, non ci accontentiamo ancora e
riprendiamo più tardi a passeggiare per le strade cittadine,
cercando di scoprirne qualche altro segreto.
La sera ci
fermiamo in un’affollatissima via del centro per cenare. Dopo vari
tentativi nei numerosi ristoranti senza un solo tavolo libero,
riusciamo a sederci in un discreto fast-food, dove le spiritose
cameriere si mettono a ballare in gruppo al centro della sala,
attirando nella breve danza anche il mio amico.
Passeggiamo fino
a mezzanotte nella strada, tra un fiume di folla che non sembra
esaurirsi mai ed ascoltiamo un gruppo rock che sta tenendo un
concerto.
Poiché tutto il
mondo è paese, assistiamo anche all’arresto di un borseggiatore, che
viene fatto sdraiare da due agenti con la faccia al suolo, mani
dietro la schiena, come nei migliori telefilm americani. Poi
visitiamo altri due negozi, uno dei quali è gestito da una simpatica
famiglia proveniente dalla Mongolia, che all’inizio avevo creduto di
origine pellerossa. In effetti, i tratti somatici sono identici e
confermano l’origine asiatica degli Indiani d’America.
La nostra
escursione americana termina qui.
L’indomani
mattina facciamo i preparativi e riconsegniamo l’auto alla società
noleggiatrice.
Poi vi sarà la lunga attesa all’aeroporto per
l’imbarco, il volo di ritorno
passando sopra New York e l’Oceano
Atlantico, l’atterraggio a Malpensa, il rientro in treno a Milano in
un clima caldo e appiccicoso, certamente peggiore di quello
sopportato negli Stati Uniti
in queste due settimane. Al risveglio
della lunga dormita ristoratrice che segue il ritorno a casa, mi
soffermo a guardare con nostalgia il cappello da cow-boy che avevo
acquistato a Sheridan in un pomeriggio di pioggia. Ringrazio il
Cielo che non sia stato soltanto uno dei sogni che mi era spesso
capitato di fare in passato. Per diversi
giorni, parlando con gli amici, o durante le presentazioni dei miei
libri, ripensando al favoloso viaggio compiuto, mi sarà difficile
credere di essere ritornato davvero qui.
Ma ogni volta
che immagino quel grande mondo laggiù, sento dentro di me un
irresistibile richiamo.
E’ già tempo di
programmare il prossimo viaggio nel West!
***
Ringrazio tutti i lettori di queste mie puntate e sono a
disposizione per eventuali informazioni. Anche per chi volesse
richiedermi dei libri, la mia e.mail è:
abenaki@alice.it
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