I Navajos
ome gli Apache che li avevano preceduti due
secoli secoli prima, anche i Navajo si staccarono dagli altri popoli
del ceppo atapascano, abitanti l'odierno Canada, per emigrare verso
il Sud-Ovest. La data approssimativa dell'arrivo dei Navajo nel
territorio compreso tra i tre fiumi, Rio Grande, San Juan e
Colorado, è quella del 1050 d. C.
Come gli Apache, i Navajo erano in origine un popolo nomade e
guerriero, che integrava il suo sostentamento ottenuto con la
caccia, anche con incursioni contro i Pueblo prima, e poi anche
contro gli spagnoli.
Al contrario degli Apache il loro modo di vivere e la loro economia
si modificavano a seconda del contatto con i Pueblo e con gli
spagnoli: infatti adottarono certe attività come la tessitura, la
ceramica e l'agricoltura, dagli indigeni che a volte vivevano in
mezzo a loro. Inoltre, i Navajo non mangiavano subito le pecore che
ottenevano con le scorrerie sugli spagnoli, come facevano invece gli
Apache, ma le allevavano per ricavarne, oltre al cibo, anche la
lana, diventando dei veri esperti allevatori.
I Navajo avrebbero potuto così mantenersi autonomamente, ma
restavano comunque un popolo primitivo.
Quando i messicani si spinsero verso nord in frequenti scorrerie
contro i Navajo per rapire bambini da vendere come schiavi, i Navajo
reagirono energicamente e si vendicarono con incursioni ai villaggi
messicani. E questo ciclo continuò con soldati messicani che
arrivarono per punirli e Navajo che lasciavano i loro villaggi per
riprendere poi la vita di predoni non appena i soldati si
ritiravano.
Quando nel secolo XIX i giovani Stati Uniti cominciarono a portare
molta attenzione verso l'Ovest si ebbero le prime agitazioni con il
Destino Manifesto, e i Navajo attaccarono gli esploratori e i
mercanti anglo-americani che invadevano il loro territorio
attraverso le vie di Santa Fe e di Gila.
Poi, durante l'usurpazione e l'occupazione del Sud-Ovest da parte
degli americani, i Dine, che era il nome usato dai Navajo e che
voleva dire "la gente", sfidarono l'esercito degli Stati Uniti.
Nel 1846, durante la Guerra Messicana provocata dall'annessione del
Texas agli Stati Uniti, il colonnello Stephen Kearny guidò un
esercito di 1.600 uomini lungo il Sentiero di Santa Fe verso la
provincia messicana del Nuovo Messico. Durante la conquista delle
città messicane, tra cui Santa Fe, Kearny informò gli abitanti, sia
messicani che inglesi, che in futuro sarebbero stati protetti come
cittadini degli Stati Uniti, contro gli indiani che invece sarebbero
stati puniti per qualunque azione compiuta contro di loro.
I navajo, che come indiani non vennero considerati cittadini, non
ottennero le stesse protezioni contro le continue razzie che
eseguivano i messicani per avere schiavi, e anzi il risultato di
questa assoluta mancanza di giustizia fu che i nuovi conquistadores
iniziassero presto campagne militari contro gli indiani.
Il colonnello Doniphan organizzò i suoi volontari del Missouri in
tre colonne con un totale di trecento uomini. I Navajo non avevano
ancora mostrato ostilità contro le truppe americane, che queste
cominciarono le operazioni, adducendo la ragione che gruppi di
Navajo continuavano a rubare bestiame dai villaggi Pueblo e
messicani. Le truppe di Doniphan passarono dei momenti difficili
nelle alte zone del basso Plateau del Colorado durante i mesi
invernali. Pochi Navajo si fecero vedere e l'operazione di Doniphan
si ridusse in un'esercitazione di sopravvivenza contro la stagione
rigida come nemico. I Navajo si resero conto di quanto stava
accadendo, in quanto i loro esploratori riferivano che gli americani
erano venuti per restare. Firmarono un trattato quell'anno e un
altro nel 1849.
La situazione delle razzie e contro-razzie continuava comunque, e
dal 1850 in poi i militari lanciarono una serie di campagne non
decisive contro i Navajo. Il fulcro della contesa tra esercito e
indiani era rappresentato dal terreno da pascolo intorno a Fort
Defiance in una valle alla fine del Canyon Bonito. I soldati
volevano il terreno per i loro cavalli e siccome i Navajo
continuavano ad usarlo come facevano da generazioni, i soldati
cominciarono a sparare contro gli indiani che razziavano le mandrie
dell'esercito per recuperare le loro perdite.
Il 30 aprile 1860 i Navajo guidati da Manuelito e il suo alleato
Barboncito, assediarono Fort Defiance e quasi conquistarono il
posto, prima di essere respinti. Per vendicarsi il colonnello Edward
Canby condusse le truppe nelle montagne Chuska in cerca dei Navajo.
Questi attaccarono la colonna di fianco e fuggirono prima del
contrattacco dei bianchi. Era un insuccesso dei bianchi, ma siccome
gli indiani volevano badare ai loro campi e ai loro greggi per
assicurare cibo al popolo, i capi dei Navajo furono d'accordo nel
trattare una tregua che fu raggiunta nel 1861.
La fine della tregua, che durò ben poco, fu determinata da un
incidente verificatosi durante il periodo della Guerra Civile, in
occasione di una corsa di cavalli a Fort Fauntleroy. I Navajo
sostennero che un soldato aveva tagliato le redini di un loro
cavallo, ma i giudici militari non vollero ripetere la corsa. Gli
indiani si ribellarono, vennero bombardati e dodici di loro furono
uccisi.
Nel frattempo truppe confederate e dell'Unione combattevano per il
Nuovo Messico e verso la primavera del 1862 le giubbe grigie erano
state cacciate dalla regione e le giubbe blu, cioè la colonna
californiana, erano giunte per occupare il territorio.
James Carleton era stato designato nuovo comandante del dipartimento
del Nuovo Messico e rivolse innanzi tutto la sua attenzione sulla
pacificazione con gli indiani. Scelse come comandante Christopher
Carson.
Il problema consisteva, visto il persistere dei saccheggi e delle
scorribande degli Apache e dei Navajo, nel rimuovere gli indiani
dalle zone dell'ormai esteso insediamento messicano e
anglo-americano lungo le vallate e le piste. Come posto per il
trasferimento degli indiani fu scelto Bosque Redondo, nella valle
del fiume Pecos. Là, nella parte orientale del territorio, gli
indiani sarebbero stati sotto il controllo della guarnigione di Fort
Sumner che era molto ben fortificato.
Dopo contese con i Mescalero nel 1862, agli inizi del 1863 Carleton
e Carson rivolsero la loro attenzione ai Navajo. Carson inviò
offerte, e alcuni capi come Delgadito e Barboncito, che avevano
constatato l'efficiente campagna dell'esercito contro gli Apache,
furono favorevoli alla pace, ma non alla cessione dei loro territori
in cambio dei piccoli terreni non fertili delle pianure del Pecos,
posti troppo vicini ai loro nemici Mescalero. Così decisero di
seguire la via del combattivo Manuelito che non desiderava alcun
accordo con l'esercito sin dall'incidente di quella corsa coi
cavalli.
Carleton mandò un ultimatum ai Navajo il mese di giugno 1863, con
scadenza un mese dopo. Il termine passò e Carson mobilitò la sua
truppa di volontari del Nuovo Messico. Invece di effettuare
inseguimenti di gruppi di Navajo attraverso tortuosi canyon, Carson
lanciò un'offensiva crudele ma efficiente contro Dinetah, il "Paese
dei Navajo". I suoi uomini percorsero senza pietà il territorio,
confiscando bestiame, distruggendo campi e frutteti e vivendo con i
prodotti degli stessi indiani. Durante quella campagna, durata sei
mesi, i soldati uccisero solo 78 indiani su una popolazione stimata
di 12.000 individui ed ebbero pochissime vittime tra loro. Ma
ottennero lo scopo di sconvolgere il modo di vivere degli indiani e
di abbattere il loro morale.
Poi nel 1864 Carson fece un'azione contro l'inespugnabile Canyon
Chelly. Bloccò il Canyon che aveva pareti molto ripide da un lato
con soldati guidati dal capitano Albert Pfeiffer da est. Gli indiani
formarono sacche di resistenza e alcuni di loro gettarono massi
sulla rupe di Pfeiffer dai bordi del canyon, ma dopo poco tempo i
soldati snidarono i difensori e conquistarono il "sacro forte" dei
Navajo.
Verso la metà di marzo quasi 6.000 Navajo, affamati e demoralizzati,
si erano arresi all'esercito e iniziava così il loro trasferimento.
I soldati scortarono in una prima marcia forzata 2.400 Navajo
attraverso il Nuovo Messico. Alla fine dell'anno altri 2.000 indiani
si erano arresi e fu la resa più numerosa avvenuta in tutte le
guerre indiane. I 4.000 Navajo comandati da Manuelito fuggirono
verso i confini occidentali del loro territorio. Manuelito stesso,
il più intransigente dei capi navajo, cedette a quella guerra di
logoramento e si arrese a Fort Wingate il 1° settembre 1866.
Bosque Redondo fu un disastro per i Navajo: suolo poco fertile,
scarsi rifornimenti, malattie, ostilità dei Mescalero.
Finalmente nel 1868, dopo il trasferimento del generale Carleton,
una delegazione di capi navajo, tra cui Manuelito e Barboncito,
ottenne il permesso di andare a Washington per patrocinare la loro
causa e ottenne, firmando un nuovo trattato con gli ufficiali, una
riserva nelle montagne Chuska. I Navajo tornarono così nella loro
patria e cominciarono a rifarsi una vita senza più guerreggiare con
l'uomo bianco. |