Il sogno di Naso Romano
entì la violenza del colpo, non il dolore. La
fucilata lo centrò sopra la scapola destra, gli strappò l'aria dai
polmoni e lo disarcionò, precipitandolo nel fiume. Il contatto con
l'acqua gli impedì di svenire e, sempre stranamente estraneo al
dolore, si alzò e cominciò a camminare verso riva, vagamente
consapevole delle fucilate che gli fischiavano intorno.
Vide alcuni guerrieri tornare indietro per
venirgli in soccorso, poi si sentì afferrare per le braccia e allora
il dolore esplose in tutta la sua violenza e gli fece perdere i
sensi.
Quando si riprese era adagiato nell'erba,
all'ombra di un albero. Aveva qualcosa fasciato strettamente attorno
al busto che gli impediva ogni movimento. Accanto a lui qualcuno
disse qualcosa e un attimo dopo gli diede da bere. Naso Romano
riuscì appena a piegare il collo, l'intero busto sembrava
insensibile.
La battaglia intanto continuava, sentiva il
boato dei grossi fucili ad avancarica e le detonazione più secche
dei fucili a ripetizione, ma il fuoco era diminuito molto, e non si
sentivano più le grida dei giovani guerrieri che andavano
all'attacco. Non ce l'avrebbero mai fatta. Tutti gli uomini bianchi
avevano fucili a ripetizione e tantissime munizioni. Attaccarli in
massa allo scoperto era stato avventato e molti Cheyenne erano
precipitati nel fiume, uno dietro l'altro.
Quando anche il secondo attacco era stato
respinto dai soldati, i giovani guerrieri si erano rivolti a lui
perché li guidasse alla vittoria. Lui era il più grande guerriero
Cheyenne, non avrebbe potuto fallire, come non aveva mai fallito
prima d'ora. Ma stavolta era diverso e quando aveva spinto avanti il
cavallo per guidare gli uomini al fiume, Naso Romano aveva avuto
paura (solo i morti e i pazzi non hanno paura).
La sua medicina, quella che lo aveva sempre
protetto da frecce e pallottole non aveva più potere e lui sapeva
già che quella sarebbe stata la sua ultima battaglia.
Quando il medicine-man aveva compiuto il rito
per lui, anni prima, era stato preciso sul da farsi. Ogni singola
istruzione andava seguita alla lettera e lui aveva sempre obbedito
scrupolosamente, fino a poco tempo prima. Nella tenda degli amici
Sioux aveva mangiato, fumato e parlato con gli alleati
dell'invasione degli uomini bianchi. Solo alla fine alzando
casualmente gli occhi sulla donna che aveva preparato il cibo era
rimasto impietrito dall'orrore.
Naso Romano non avrebbe mai dovuto mangiare
cibo venuto a contatto con il metallo e la donna aveva tagliato il
pane con un coltello e lo aveva servito con una forchetta. Un
utensile dei bianchi, per giunta. La sorte gli era sembrata ancora
più amara e beffarda.
Anche gli amici Cheyenne che erano con lui
avevano visto, e sul loro volto aveva visto dipinto lo sgomento. Lui
era rimasto immobile ma non aveva detto niente per non offendere la
sacra ospitalità dei suoi fratelli Lakota. Alla fine del pasto aveva
ringraziato educatamente i suoi anfitrioni ed era uscito con le
gambe che si muovevano incerte verso il cavallo.
Poi erano arrivati i bianchi. Un piccolo
numero, ma bene armati, lì nel loro territorio. Su una collina le
donne e i bambini si erano appostati in grande numero per seguire la
battaglia, incitando i guerrieri con i loro canti. Davanti alle loro
donne, i guerrieri, specie i più giovani, erano ben decisi a
dimostrare tutto il loro coraggio e dopo aver abbattuto o disperso i
tutti i cavalli dei soldati avevano caricato furiosamente. Ma era
stato inutile. I bianchi, nascosti, su un piccolo isolotto al centro
del fiume, al riparo dietro ai loro stessi cavalli morti avevano
spazzato tutto intorno a loro come una tempesta di neve in inverno.
Naso Romano giaceva sdraiato all'ombra
dell'albero. Continuava a non sentire nulla, là dove era stato
colpito; tutta la realtà sembrava come attenuata, sfocata. Gli
spari, le urla dei combattenti, i lamenti dei feriti… Sentiva solo
il fruscio del vento tra le foglie a coprire tutto.
Guardò in alto il cielo blu intenso ed
improvvisamente fu bambino. Era in una radura in cui una piccola
radura sfociava in un laghetto il cielo era lo stesso e anche la
giornata, calda e ventilata sembrava la stessa. Lui era seduto su
una pietra e guardava l'acqua che scorreva pigramente giù dalla
parete rocciosa. Poco più in là sedeva suo nonno, gli occhi chiusi
ed il volto rivolto verso il sole. Era stata una bellissima giornata
e lui e il nonno avevano giocato, fatto il bagno e pescato nel corso
d'acqua. Ora il nonno si asciugava al sole, silenzioso e solenne
come sempre, i lunghi capelli grigi sulle spalle, unico particolare
a tradire la sua età.
"Nonno?" Il vecchio rimase in silenzio.
"L'altra notte quando i Pawnees sono entrati nell'accampamento…
Ecco… Ho avuto paura." Il nonno continuò a rimanere in silenzio. "Io
voglio diventare un grande guerriero e i guerrieri non hanno
paura…."
Dopo una lunga pausa, sempre rimanendo
immobile, l'uomo disse: "Solo i morti e i pazzi non hanno paura."
Questa volta anche Naso Romano era rimasto in
silenzio, fermo a guardare davanti a sé il vortice dell'acqua. Poi,
dopo un po' aveva parlato di nuovo: "Nonno. Quel guerriero che è
morto l'altra sera… Dove è andato… Voglio dire, Il grande mistero…
Com'è?.
Il nonno socchiuse gli occhi e si girò verso di
lui. Fece un largo gesto con la mano ad indicare la radura
silenziosa e l'acqua che cadeva cristallina dalla cascata. "É come
questo" - disse - "solo che non hai mai paura."
Naso Romano aveva annuito e poi era tornato a
guardare il laghetto davanti a sé. Poi fu di nuovo l'ombra
dell'albero, il busto immobilizzato e gli spari là, lungo il fiume.
Guardò ancora il grande blu del cielo della sua ultima giornata, poi
sospirò e chiuse gli occhi.
Naso Romano ricominciò a sognare.
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